Elezioni comunali/ Antipolitica in lista

Bacco

Decifrare quello che c’è dietro i nomi di fantasia delle liste delle prossime elezioni comunali richiede un esercizio ermeneutico quasi proibitivo. Per Bacco. Insieme per Bacco. Con Bacco. Progetto Bacco. Bacco in comune. Noi e voi per Bacco ecc.

Poi scorri i nomi e spesso le cose si chiariscono un poco. Nella trama delle alleanze e delle contrapposizioni arrivi a intuire tenaci faide locali, vecchi e nuovi conflitti tra le famiglie o all’interno dei clan, terreni che aspettano di essere resi edificabili, resistenze di vecchi capataz che si mimetizzano, dopo lunghe e spesso poco onorate carriere di sindaco, tra i soldati semplici delle liste pur di non mollare la presa, villeggianti venuti a portare la civiltà nelle valli lariane, più una varia umanità affetta da patologie narcisistiche che trovano nella campagna elettorale e nelle chiacchiere da bar che la accompagnano un’occasione imperdibile per esaltarsi.
Ci sono curiosità destinate a rimanere tali. Perché mai a Novedrate (3mila abitanti) c’è un solo candidato e a Ponna (263) ce ne sono quattro. Oppure se non sia vero che alcune liste di “giovani” siano “finte”, depositate solo per evitare il rischio di rimanere sotto la soglia del quorum richiesto per la validità del voto. Ma è inutile affannarsi. La più difficile delle domande è semmai dove sia finita la politica. Come sia stato possibile passare da elezioni in cui, anche nei paesi più piccoli, era tutto un pullulare di scudi crociati, soli nascenti, falci e martelli, mani che si stringono e cerchi intrecciati (comunisti, socialisti, indipendenti) e persino qualche fiamma tricolore –tutti però in bianco e nero – a una completa rimozione di simboli e slogan “politici”. Tutta colpa dei partiti, che pure di colpe ne hanno (avute) parecchie? Dalla dissoluzione delle forze politiche, dal loro quasi totale rarefarsi sui “territori”, è sorto un ceto di amministratori – perché di questo si tratta, di un “ceto” -, un sottobosco impegnatissimo in mille enti e consorzi, che avrà voce in capitolo non solo per comporre il Consiglio provinciale ma forse persino il Senato. Un ceto che ha solo da guadagnare dal non dover più rispondere a nessuno, che si vede sgravato, diversamente dal passato, dall’onere della coerenza e dal peso di dover guardare al proprio Comune come parte di un contesto più ampio. Poi c’è una società largamente corriva con il localismo diffuso a piene mani, anche come risposta alla crescente difficoltà di “capire”, all’analfabetismo politico di ritorno che ha investito nel giro di una generazione la società italiana, ma anche alla paura di confrontarsi con un mondo percepito come “grande e terribile”. E, ovviamente a quello che solitamente si definisce “populismo”.
Che la metamorfosi del voto amministrativo abbia davvero rappresentato un passo avanti dal punto di vista etico e nella qualità dei risultati, che il passaggio dalla “democrazia dei partiti”, pur con tutti i limiti e gli eccessi di quella stagione, alla “democrazia delle opinioni pubbliche” locali, sia stato davvero un buon affare per l’Italia e per il nostro territorio (parlo di quello di Como) è cosa tutta da dimostrare. Di sicuro, un effetto è quello di indurre molti a pensare che le beghe e gli esibizionismi che si confronteranno nel voto non sono affare loro. [Emilio Russo]

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