Sono profondamente convinto che occasioni come quella offerta da La Palestina della convivenza siano potenti motori di riflessione e di dialogo interculturale: lo ricordavo nel portare il saluto della Città, l’11 maggio nell’ex chiesa di San Francesco
Sono queste, opportunità innanzitutto di conoscenza e di condivisione delle sofferenze di un popolo che ancora oggi non ha una sua terra, nonostante lo Stato della Palestina sia stato riconosciuto come “osservatore” dall’Onu nel novembre scorso.
Il percorso storico che la mostra ha proposto e la tavola rotonda di Rebbio hanno consentito di capire meglio le tradizioni e la cultura palestinese e hanno dato anche molte risposte alle domande che spesso ci poniamo sulle responsabilità di una situazione oggi drammatica, che ci appare profondamente ingiusta e lesiva dei diritti. Come non restare turbati dai dati forniti nei recenti rapporti di Unicef ed Onu sulle violazioni nei confronti dei bambini palestinesi, sulle condizioni terribili vissute nei campi profughi? Sono condizioni inaccettabili che pongono seri interrogativi alla comunità internazionale.
Personalmente mi sono sentito interrogato dai volti intensi delle immagini esposte: donne, bambini, anziani, espressione della storia, della quotidianità e della coralità di un popolo che attende da troppo tempo una soluzione.
Sembra oggi che a livello internazionale il dialogo stia ripartendo con la missione Kerry e non posso che condividere quanto il 1° luglio Enrico Letta, come capo del Governo italiano, ha detto proprio a Ramallah in un significativo primo viaggio fuori dall’Europa: «L’Italia non lascerà mai solo il popolo palestinese e l’impegno per raggiungere la pace lo accompagneremo con il nostro aiuto e la nostra presenza sempre».
Ed è qui che dobbiamo interrogarci su come sia stato e sia così difficile pensare e sostenere l’unica soluzione perseguibile, quella di due Stati che convivono pacificamente.
Forse ha giocato un ruolo pesante anche quel silenzio che ha lasciato per troppo tempo soli i due protagonisti: ci ammoniva in questo senso il Presidente della comunità palestinese in Lombardia.
Combattere l’indifferenza (che è l’“essenza della disumanità”, ci ricordava George Bernard Shaw, perché ci toglie quel tratto indispensabile che è la facoltà di indignarsi), combattere l’indifferenza è il messaggio che ci ha lasciato questa iniziativa, non casualmente collegata a quella di pochi giorni successiva di “Intrecci di popoli”. E quanto a quest’ultima, non posso non ricordare con emozione il dialogo sincero e l’abbraccio fraterno tra il sindaco di Nablus e il vice sindaco di Netanya a cui abbiamo assistito, o meglio partecipato, nella nostra sala consiliare.
Occasioni per conoscere, per conoscersi, per costruire relazioni di pace. [Mario Lucini, sindaco di Como]
* Sindaco di Como.