Politica internazionale

Stranieri, migranti: cittadini/ Emigrati, immigrati, migranti


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Il pomeriggio di mercoledì 13 dicembre, la sede dell’Associazione Carducci (in via F. Cavallotti 7 a Como) ha ospitato Emigrati, immigrati, migranti, seconda e ultima parte della lezione Stranieri, migranti: cittadini proposto da Fabio Cani e Gerardo Monizza nell’ambito di Auser Università popolare.

Partendo da dove il discorso era stato interrotto la settimana precedente (qui il resoconto), il dialogo condotto dai relatori ha illustrato i movimenti di popolazioni avvenuti a Como dal XVI secolo fino ai giorni nostri.
Al tardo Cinquecento  – primo Seicento comasco risalgono documenti che attestano casi (uno accertato; probabilmente non l’unico) di schiavitù e l’istituzione (1576) di una “contrada delli Ebrei” [il tratto dell’attuale via Indipendenza compreso tra via Luini e via Vittorio Emanuele, ndr], popolazione assai esigua ma decisamente malvista. Lo stesso si può dire per gli zingari: nonostante la presenza di gruppi rom o sinti dediti perlopiù alla metallurgia, benché nomadica, abbia rappresentato un dato costante per secoli sul territorio di Como, a essi erano infatti attribuite le peggiori dicerie, che trovano eco nella retorica del conservatorismo più xenofobo del giorno d’oggi e che spiegano l’azione persecutoria nei loro confronti, da entrambi i lati del confine italo-elvetico. Con buona pace del luogo comune che descriveva (e descrive) i “cingari” come rapitori di bambini, in Svizzera erano essi stessi a vedersi portare via i figli, con il pretesto di sottrarli alla cultura delle famiglie.

Tra il XVII e la fine del XVIII secolo –  la Rivoluzione Francese costituisce uno “spartiacque” simbolico in tal senso – cambia la percezione dei significati e dei significanti “migrante”, “straniero”, “occupante”. La dominazione spagnola narrata anche nei Promessi sposi di Manzoni non renderà giustizia all’effettiva efficienza dei governatori iberici; al contrario, l’autorità austriaca sarà oltremodo idealizzata. Si hanno comunque più informazioni dell’occupazione militare asburgica rispetto a quella spagnola: nel corso delle Cinque giornate del 1848, ci sarebbero stati tra gli 800 e i 1000 soldati al servizio di Vienna, provenienti da aree diverse di un impero vasto e multietnico e portatori di diverse lingue e diverse culture.
In questi stessi anni va affermandosi l’idea di nazione, concetto che in Italia rimarrà a lungo assai nebuloso e ambiguo, come ambiguo rimarrà il distinguo tra ciò che “può” o “non può” essere attribuibile a un'” identità italiana”. Del resto, nel periodo compreso tra il XVII e il XIX secolo, la futura provincia di Como si configura come territorio di diffusa emigrazione, peraltro legata all’attività professionale più che a una situazione di indigenza economica, e considerata come un’opportunità piuttosto che come un problema, come dimostrano le lettere inviate alle famiglie da comaschi e ticinesi emigrati in Germania, in Russia, in Svizzera o in altri paesi europei, che pur con qualche difficoltà di adattamento a diverse tradizioni, sembrano interagire agevolmente con le comunità ospitanti. Alle emigrazioni di professionisti dal territorio comasco – ticinese – intelvese è legata la tradizione dei Magistri cumacini, che pur avendo qualche fondamento storico, sarebbe stata in buona parte “mitizzata” da una narrativa politica romantica, finalizzata a giustificare un’identità nazionale in nuce.

Gli emigranti del comasco e del Ticino sono soprattutto uomini adulti, che lasciano i paesi natii periodicamente, oppure definitivamente. All’estero, riescono comunque a costruire relazioni solidaristiche gli uni con gli altri, spesso sfruttando vincoli parentali: succede così che la cooperativa di consumo di Nesso sarà fondata nel 1897 non nel paese lariano, ma a Zurigo. Esiste comunque anche una migrazione femminile, di giovani donne impiegate al servizio di notabili con residenza sul lago o nelle campagne, che spesso si trasferiscono tra diverse località europee. La Germania sembra essere il principale paese di destinazione di emigrate ed emigrati lariani, seguita da altri paesi europei; alcuni si trasferiranno però in altre zone d’Italia. Contemporaneamente alle emigrazioni continueranno però a verificarsi immigrazioni, per esempio dall’Italia meridionale o dalla Svizzera, come attestato da tradizioni altrimenti considerabili “esotiche” sulle sponde del Lario.

Con il passare del tempo, intanto, l’emigrazione lariana si “scardina” dalla connotazione professionale specifica, facendosi più indifferenziata e allargando il proprio spazio di manovra: è stato stimato che tra gli anni Ottanta del XIX secolo e la prima guerra mondiale, circa cinquantamila degli emigranti italiani imbarcati  – spesso definitivamente – verso le Americhe e l’Australia, circa cinquantamila fossero originari della zona. Prosegue però anche la tendenza opposta di Como (e dintorni) come destinazione dei flussi migratori; per esempio i profughi istriani e dalmati che saranno ben accolti sul territorio; più tardi, anche immigrati veneti o sardi riusciranno a integrarsi con relativa facilità. Non altrettanta bendisposizione incontreranno i nuovi arrivati dalla seconda metà del Novecento, prima dall’Italia meridionale e poi da Asia e Africa. I numeri di tali immigrazioni sono di fatto risibili se paragonati a quelli di grandi città italiane o (soprattutto) di altri paesi europei, eppure incontreranno una malcelata ostilità che sarà poi sfruttata da alcuni ben noti movimenti politici reazionari. Esistono limitate documentazioni fotografiche dell’immigrazione a Como (ani cita il fotoreportage del canturino Gianni Paini, realizzato per l’inchiesta di Domenico Verga a riguardo); rilevazioni statistiche sono invece state realizzate da Acli, che nel 1985 registrava 308 lavoratori stranieri in provincia di Como, 66 dei quali residenti nel capoluogo, provenienti soprattutto dall’allora Jugoslavia, dalla Spagna, dalla Svizzera e dalle Filippine. Tali dati riguardano immigrati stranieri regolarizzati, ma nei primi anni Novanta, con ‘insorgere dell'”emergenza Ticosa”, il numero dei clandestini risulta comunque limitato. Ben diverso è il caso per i frontalieri italiani in Ticino, che già a metà degli anni Settanta superavano le 30 000 persone, e che sarebbero considerevolmente aumentati negli anni successivi (almeno fino al 1971).

Che “la storia non si faccia con i numeri”, concludono Cani e Monizza, è vero fino a un certo punto: al netto di interpretazioni irrazionali e/o strumentali, esse possono rivelare la reale dimensione di un fenomeno come la migrazione in uscita o in entrata, evidenziando di contrasto tutti i fraintendimenti in buona e in cattiva fede. A proposito di fede, essa può contribuire a spiegare le modalità con cui una certa minoranza riesce a integrarsi nella comunità locale: tema che ecoinformazioni aveva già affrontato nel 2010 (nel settimanale 406, pag.24-28) e che, fatti i dovuti aggiornamenti statistici, caratterizza ancora in modo significativo le interazioni con, tra, ed entro i gruppi etno-religiosi di cui si compone la popolazione comasca. Di nuovo, una lettura ragionata dei dati può aiutare a sedare gli allarmismi; mentre cifre fuori contesto e classificazioni maniacali, come quelle che interessano i migranti/ rifugiati/ esuli/ richiedenti asilo/profughi/ “clandestini”, possono sortire effetti opposti e raramente positivi. [Alida Franchi, ecoinformazioni]

Già online sul canale di ecoinformazioni i video di Daniel Lo Cicero.

Guarda sul canale di ecoinformazioni anche tutti gli altri video di Daniel Lo Cicero dell’iniziativa.

12 dicembre/ “I diari della Tigre bianca” all’Università dell’Insubria

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Da studenti a video-maker nel segno dell’interculturalità: martedì 12 dicembre alle 15, nell’Aula Magna del Chiostro di S. Abbondio, a Como, sarà proiettato il documentario I Diari della Tigre Bianca, realizzato dagli studenti del Corso di laurea in Mediazione Interlinguistica e Interculturale dell’Università degli Studi dell’Insubria, durante un soggiorno studio in Cina nel 2016. L’ingresso è libero ed è aperto a tutta la cittadinanza.

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15 dicembre/ La persecuzione dei Rohingya

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Lo spazio Parini (via G. Parini, 6) a Como ospiterà, nella serata di venerdì 15 dicembre (a partire dalle 20,45), l’incontro La persecuzione dei Rohingya, in cui si parlerà delle persecuzioni etno-religiose subite dalla minoranza musulmana del Myanmar.
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Missione in Nagorno Karabakh/ Intervista a Rossella Pera


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Rossella Pera è insegnante all’istituto Giovanni Pascoli di Como, consigliera comunale a Fino Mornasco e partecipante attiva a Iusy [International Union of Socialist Youth], con cui, lo scorso mese di settembre, ha partecipato a una missione diplomatica nel Nagorno Karabakh, un’area del Caucaso segnata da una prolungata situazione di conflitto.  (altro…)

15 ottobre / Bulgarograsso / “Awadhifo. Storia di un grazie sotto il cielo del Congo” al circolo Arci Guernica. Una sintesi dell’intervista a Emanuele Pini

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Emanuele Pini, docente dell’Istituto superiore “Matilde di Canossa”, è tornato di recente da un’esperienza volontaria di un anno nella Repubblica democratica del Congo (ex Zaire, ex Congo belga, ndr), motivato da una precedente esperienza in Uganda. In attesa dell’incontro con aperitivo previsto al circolo Arci Guernica di Bulgarograsso per le 18 di domenica 15 ottobre, Alida Franchi ha condotto con lui un’intervista per ecoinformazioni, di cui potete leggere qui un estratto. La versione integrale sarà pubblicata sul settimanale di ecoinformazioni numero 593, previsto per la settimana 16-22 ottobre.

Un anno in Africa: perché?
«Nel 2015 sono partito per un mese di volontariato in Uganda. Questa prima esperienza africana mi ha spinto ad affrontarne una seconda più “immersiva” e di trascorrere un anno a Ariwara, nella Repubblica Democratica del Congo [Rdc da ora in poi, ndr], facendo affidamento alla stessa associazione con ero stato in Uganda [Voica Onlusndr]. In un anno ho svolto le mansioni più diverse per conto dell’ospedale locale, amministrato dall’ordine di suore che era partner in loco del mio progetto di volontariato; comunque mi è capitato di ricoprire brevemente il mio ruolo “di default”, quello di insegnante di latino».

Partendo, eri pronto a ciò che ti aspettava?
«Non proprio! Ho affrontato un breve percorso propedeutico con altri volontari, che però sarebbero rientrati dopo poche settimane. Solo sul posto ho imparato a integrarmi nella comunità locale, e come unico bianco certo non passavo inosservato… soprattutto all’inizio è stata una sfida cambiare abitudini, ma l’atteggiamento che ho incontrato è stato positivo, soprattutto una volta che ho imparato a esprimermi in lingala, la lingua africana parlata anche da quelle parti, e in lùgbara, il dialetto locale. Ho trovato degli amici tra i locali che mi hanno preso in simpatia: ero diventato un “Lugbara bianco”, per così dire…»

Ti è capitato di viaggiare? Che impressioni hai avuto di Ariwara e del Congo?
«Perlopiù rimanevo a Ariwara, che si trova vicino al confine ugandese e non lontano dal Sudan del Sud, ma mi è capitato di recarmi occasionalmente in altre località tra Rdc e Uganda, e nel mese di marzo mi sono preso quattro settimane per visitare il mio paese ospitante.
Ariwara è una piccola comunità relativamente tranquilla e coesa, in cui la Chiesa svolge un’importante funzione di aggregazione sociale, per quanto riguarda i servizi e il tempo libero. C’è però una forte connotazione sincretica nella cultura locale, in cui riti e simbologie di varie correnti cristiane, dell’Islam e dei culti animisti tribali si commistionano in modo interessante e complesso. Poligamia e stregoneria, per fare due esempi, sono elementi radicati della vita pubblica. Mi sono sentito accolto e mi sono affezionato alla comunità mia ospite, ma ho anche osservato elementi critici sia dal punto di vista strettamente sociale, almeno da un punto di vista occidentale – come il forte assetto patriarcale, la stigmatizzazione dei bambini “anomali” e delle loro madri, un alcoolismo incontrollato – , sia legati all’aspetto politico-amministrativo. Mi hanno colpito negativamente l’aggressività e la corruzione delle forze dell’ordine, e c’è pochissima attenzione del governo di Kinshasa verso gli investimenti pubblici, cosa drammaticamente evidente nella sanità e nelle infrastrutture.
Formalmente, la Rdc è una “repubblica democratica” semipresidenziale, nei fatti, l’establishment del presidente Joseph Kabila si avvicina di più a un modello para-dittatoriale. Questo tipo di governo, che poggia su una rete di rapporti clientelari, ha interesse a evitare l’interazione di oppositori reali o potenziali, perciò cerca di dissuadere gli espatri e i contatti con le comunità congolesi in Europa o all’estero, mentre è incoraggiata l’immigrazione, che proviene soprattutto dal Sud Sudan. Esistono enclaves finanziarie ed economiche di occidentali e di cinesi che si concentrano nelle metropoli e nei pressi di alcune miniere, ma l’altissima instabilità politica ha un effetto deterrente sugli investimenti esteri».


Da due mesi sei di nuovo in Europa. Come ti senti?
«Mi colpisce negativamente quella che ormai avverto come… inautenticità: la stessa razionalità che qui governa la realtà, mi sembra, rende le interazioni umane fredde e “meccaniche”, distanti anni luce dalla vitalità a cui mi ero abituato – anche con qualche difficoltà iniziale – in Congo e a Ariwara, la cui comunità mi ha accettato serenamente e dove – magari non subito – farei volentieri ritorno dai miei amici.».
[Alida Franchi, ecoinformazioni]

11 ottobre / Montrouge / Como partecipa alla mostra Jce

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Si trasmette il comunicato stampa emanato dall’assessorato alla Cultura del Comune di Como sulla partecipazione della città all’esposizione artistica Jce – jeune création européenne, la cui tappa di apertura è prevista per mercoledì 11 ottobre a Montrouge, cittadina francese poco distante da Parigi. Collaborano: Comune di Como  – Assessorato alla cultura, Jce – Jeune Création Européenne. Biennale d’art contemporain e Gai – Giovani artisti italiani.

BIENNALE D’ARTE CONTEMPORANEA
JCE JEUNE CRÉATION EUROPÉENNE
Al via l’edizione 2017 – 2019
Prenderà il via l’11 ottobre a Montrouge (Francia) la prima tappa della mostra JCE Jeune Création Européenne, la biennale d’arte contemporanea europea a cui partecipa anche la Città di Como.

La mostra presenta le opere di 56 artisti provenienti da sette paesi europei, che spaziano in tutte le forme dell’arte visiva: dalla pittura alla scultura, dall’installazione alla videoarte, dal disegno alla fotografia, in una molteplicità di linguaggi e tecniche.

La Città di Como, partner della biennale dal 2013, attraverso una selezione attivata
dall’Assessorato alla Cultura su scala nazionale tramite il GAI Circuito dei Giovani Artisti Italiani, ha scelto gli otto artisti italiani che partecipano con una loro opera alla biennale:
1. Enne Boi, pseudonimo di Niccolò Mascheroni, nato nel 1989 a Cantù, vive e lavora tra Gent (Belgio) e Como
2. Paolo Ciregia, nato a Viareggio nel 1987, vive e lavora a Massa Carrara
3. Andrea Fontanari, nato nel 1996, vive e lavora in provincia di Trento
4. Lorenzo Guzzini, nato a Recanati nel 1983, vive e lavora a Como
5. Francesco Levy, nato nel 1990 a Livorno, vive e lavora fra Livorno, Firenze e Venezia
6. Simone Mangione, nato nel 1988 a Como, vive e lavora tra Como e Milano
7. Jacopo Mazzonelli, nasce a Trento nel 1983, dove vive e lavora
8. Alba Zari, nata nel 1987 a Bangkok, vive e lavora a Trieste

Dopo Montrouge, la mostra si sposterà a Hjorring (Danimarca), Cesis (Lettonia), Cluj (Romania), per giungere poi a Como a febbraio 2019, continuare a Figueras (Spagna) e concludersi ad Amarante (Portogallo).

«Questa biennale rappresenta una realtà unica nel suo genere e un’opportunità peculiare per il nostro territorio – commenta l’assessore al Marketing territoriale del Comune di Como, Simona Rossotti – Si sviluppa su un circuito internazionale che mette in rete le città europee e le valorizza a partire dal comune denominatore dall’arte contemporanea. Tra gli obiettivi condivisi dalle città partner e di particolare interesse per Como, c’è l’apertura a una valorizzazione più ampia del territorio, che contemplerà nel prossimo futuro anche temi diversi».

JCE Jeune Création Européenne è un grande progetto internazionale, ideato nel 2000 dalla città francese di Montrouge al fine di creare opportunità di condivisione e confronto fra gli scenari artistici dell’Unione Europea. Fra gli obiettivi principali vi è quello sostenere la rete fra le città che promuovono il lavoro di giovani artisti emergenti, contribuire a scoprire nuovi talenti e a difendere la libera circolazione d’idee.

Il principio ispiratore della JCE è quello di offrire un’occasione di visibilità per gli artisti all’inizio della carriera, attraverso l’esposizione delle proprie opere in una mostra collettiva biennale itinerante nei paesi europei partner, coadiuvata da residenze artistiche, un catalogo e un sito internet pensato come una galleria virtuale evolutiva.

Per informazioni
Assessorato alla Cultura
Comune di Como
tel. 031 252057
cultura@comune.como.it

Consulta il comunicato stampa in pdf

Arci / Catalogna: è un affare europeo

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Con un comunicato stampa intitolato Catalogna: è un affare europeo, Arci prende le distanze dai metodi repressivi attuati dal governo di Madrid verso il referendum per l’indipendenza catalana, avvenuto domenica 1 ottobre. Referendum illegale ai sensi della Costituzione spagnola, ma pur sempre espressione pacifica di una volontà condivisa da migliaia di persone.

«Condanniamo la violenza della Policia National e della Guardia Civil sulla popolazione inerme ai seggi in Catalogna domenica 1 ottobre ed esigiamo che si faccia luce sulle responsabilità politiche di una aggressione che non può trovare cittadinanza in uno Stato europeo del ventunesimo secolo.

 Il fatto che, per la attuale Costituzione spagnola, il referendum fosse illegale in alcun modo giustifica la violenza contro una grande e nonviolenta espressione di partecipazione popolare.

 I problemi politici si risolvono con la politica.

 Facciamo appello urgente a una mediazione internazionale, per trovare una soluzione condivisa attraverso il dialogo e l’accordo, che eviti il ricorso ad atti unilaterali.

 Chiediamo al governo spagnolo e a quello catalano di facilitare la ricerca di tale soluzione, alle forze politiche e sociali di tutta Europa di sostenere questo obiettivo.

 L’Unione Europea, che interferisce in permanenza in scelte essenziali dei propri paesi membri, non può continuare a ripetere che il conflitto aperto fra la Catalogna e il governo spagnolo è un affare interno di uno stato.

 E’ un affare europeo, non solo perché il destino della Spagna e della Catalogna avranno influenza su tutta l’Europa, ma perché il modello di democrazia e di convivenza in Europa è questione che riguarda tutti e tutte.

 E’ interesse di tutto il continente trovare modi per dirimere la questione in modi pacifici, avanzati, produttori di maggiore democrazia, diritti, partecipazione».

Francesca Chiavacci – Presidente Nazionale ARCI
Martina Carpani – Rete della Conoscenza
Andrea Torti – Link Coordinamento Universitari
Francesca Picci – Unione degli Studenti
Rossella Muroni – Presidente Nazionale Legambiente
Nicola Fratoianni – Segretario Sinistra Italiana
Giuseppe Civati – Segretario Possibile
Arturo Scotto – Articolo 1 MDP Movimento Democratico e Progressista
Maurizio Acerbo – Segretario Rifondazione Comunista
Roberto Musacchio – L’Altra Europa con Tsipras
Lorenzo Marsili – DiEM 25
Roberto Morea – Transform Italia
Alfiero Grandi – presidenza Associazione Rinnovamento Sinistra
Vincenzo Vita – presidente  ARS
Alfonso Gianni – direttivo Coordinamento Democrazia Costituzionale
Monica Di Sisto – Fairwatch
Marco Bersani – Attac Italia
Silvia Stilli – Portavoce AOI
Daphne Buellesbach – European Alternatives
Domenico Rizzuti – Forum per la Cittadinanza Mediterranea
Nicola Vallinoto – Comitato Centrale Movimento Federalista Europeo
Lamberto Zanetti – Istituto studi sul Federalismo Paride Beccarini
Roberto Castaldi – CesUE Centro Studi Unione Europea
Vittorio Bardi – Associazione Sì Energie Rinnovabili
Marco Revelli – sociologo
Francesca Fornario – giornalista
Moni Ovadia – artista

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