Israele contro l’occupazione russa. E la Palestina?

Due pesi e due misure. Da una settimana nel mondo, e quindi anche in Palestina, echeggiano come non mai parole come diritto internazionale, diritto all’autodeterminazione dei popoli, diritti umani, sanzioni, Onu eccetera. Ovviamente il tutto è riferito all’Ucraina.

Per i palestinesi da oltre settant’anni queste parole sono prive di significato. Il mondo è stato a guardare passivamente i crimini di Israele nei Territori palestinesi occupati, a Gerusalemme est, a Gaza, da ultimo a Sheikh Jarrah. Quel mondo che oggi inorridisce dinanzi alle vittime civili ucraine e ai bombardamenti di scuole e palazzi ha per decenni guardato imperturbabile le immagini dei bombardamenti a Gaza nel 2008/2009, 2012, 2014,2021 con migliaia di uccisi e feriti. Non si è scosso neppure quando le vittime civili (donne, vecchi e bambini, giornalisti, personale sanitario) venivano colpite non per errore (cosiddette vittime collaterali) ma deliberatamente perchè inquadrate nel mirino di cecchini in una gara di precisione criminale. Anche questo è avvenuto a Gaza durante la Grande marcia del ritorno del 2018/2019.

Quel mondo che oggi resta estasiato dinanzi alla capacità di resistenza del popolo ucraino che da una settimana resiste all’esercito russo è rimasto per oltre 70 anni indifferente dinanzi alla resistenza del popolo palestinese oppure ha aderito alla narrativa sionista e l’ha chiamata terrorismo.

Il mondo compatto sta applicando sanzioni alla Russia, sanzioni di tutti i tipi; la Palestina a lungo ha chiesto vanamente l’applicazione di sanzioni ad Israele. Ieri l’Assemblea generale dell’Onu ha condannato a larghissima maggioranza l’ intervento della Russia. La stessa Assemblea per decenni ha emanato decine e decine di risoluzioni di condanna dell’occupazione sionista, ha ribadito il diritto al ritorno dei profughi, ha chiesto il ritiro dai Territori occupati. Anche il Consiglio di sicurezza dell’ONU è intervenuto nel 2016 con la risoluzione n. 2334 e ha condannato l’occupazione della Palestina. Queste richieste e queste condanne sono però rimaste sempre lettera morta.

Perfino la Corte penale internazionale nel caso dell’Ucraina si è attivata autonomamente al quinto giorno di intervento russo, quella stessa Corte che per anni ha tenuto in un cassetto il fascicolo Palestina assumendo la carenza della propria giurisdizione e solo recentemente infine si è attivata e ha aperto un’indagine contro Israele per crimini di guerra e contro l’umanità.

Insomma due pesi due misure.

Si potrebbero citare centinaia di altri esempi di disparità di trattamento. Sul fronte mediatico potremmo ricordare il caso di Patrick Zaki, vittima di una lunga carcerazione in Egitto. Per Zaki si è mobilitato il mondo e l’Italia in particolare. Sappiamo tutto di lui, conosciamo sua madre, la fidanzata, l’avvocata, la docente universitaria e a ogni udienza restiamo in trepida attesa della decisione dei giudici egiziani. Per Zaki si è parlato di carcere senza accusa ma non è vero. Una contestazione di reato gli viene mossa, sicuramente infondata e ridicola ma almeno lui e la sua avvocata hanno qualcosa da cui difendersi. Nelle carceri israeliane attualmente oltre 520 palestinesi sono detenuti in detenzione amministrativa, cioè senza capo di accusa e quindi senza possibilità di difesa. Di loro non sappiamo nulla, neanche il nome. E la carcerazione può essere rinnovata di 6 mesi in 6 mesi all’infinito. Nel 2020 furono emessi 1114 ordini di detenzione amministrativa; nel 2021, sino a Giugno, 759. Mai una reazione.

Sempre sul fronte mediatico possiamo ricordare il clamore per la concessione nel 2018 della medaglia d’oro al valor militare alla Brigata ebraica, massima onorificenza concessa in precedenza solo alla Brigata Maiella con una sostanziale differenza: la Brigata ebraica ha operato per meno di due mesi ( marzo/aprile 1945) ed è stata impegnata in qualche scaramuccia in riva al Senio; la Brigata Maiella, operativa sin dal novembre 1943, ha risalito l’Italia partendo dall’Abruzzo e liberando le Marche, l’Emilia Romagna e il Veneto sino ad Asiago, per entrare infine trionfalmente a Bologna il 21 aprile 1945. Due esperienze belliche ben diverse accomunate dalla stessa onorificenza! Qualcuno ha osato dire che la Brigata ebraica ha contribuito alla liberazione dell’Europa quando ha perseguito solo finalità propagandistiche e nazionalistiche.

Per tornare ai giorni nostri, sempre sul fronte mediatico, possiamo ricordare la foto di Polina, bambina di 10 anni, sulla prima pagina del Corriere della sera del 1° marzo con la seguente didascalia: ”falciata dalle raffiche dei fucili d’assalto delle forze speciali russe a Kiev”( lo stesso giornale poi parlerà di morte sotto i bombardamenti). Mai si è vista la foto di un bambino o di una bambina palestinese falciati dai fucili dell’esercito israeliano eppure nel 2008/9, nei 22 giorni di “Piombo fuso”, ne furono ammazzati oltre 300; tra 500 e 580 in “Margine protettivo” e 65 nella primavera dello scorso anno. Numeri impressionanti ma non  una foto di un bambino ammazzato in prima pagina.

Significative anche le richieste di dissociazione dall’intervento russo. Al direttore d’orchestra russo Gergiev viene chiesta la condanna dell’intervento armato e, a fronte del suo silenzio, viene estromesso dalla Scala, dalla Filarmonica di Monaco di Baviera e tutti i suoi impegni in Europa e negli Stati Uniti vengono annullati. Gli atleti paraolimpici russi e bielorussi vengono estromessi dai giochi olimpici. A nessun artista, atleta o politico israeliano è mai stata chiesta la dissociazione dagli eccidi commessi da Israele. Le case editrici russe e gli autori russi sono stati espulsi dalle fiere del libro europee quando, invece, Israele fu ospite d’onore alla Fiera del libro di Torino e fu presente con numerosi autori al Salon du livr di Parigi nel 2008; la sua presenza fu tenacemente difesa dagli organizzatori.

Se passiamo al fronte giudiziario assistiamo a un elastico concetto dello Stato di diritto. Israele, come noto, si rappresenta da sempre come l’unica democrazia del Medio Oriente. Recentemente la Polonia e l’Ungheria sono state condannate dall’Unione europea per il mancato rispetto di una delle norme fondamentali dello Stato di diritto: l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. Alla Polonia è stata inflitta la sanzione di 1 milione di euro al giorno per non avere sospeso le disposizioni relative alla Camera disciplinare della Corte suprema, una sorta di organo di controllo della magistratura; successivamente la Corte di giustizia europea ha respinto il ricorso di Polonia ed Ungheria contro il meccanismo di condizionalità, cioè quel meccanismo che vincola l’erogazione dei fondi europei al rispetto dello Stato di diritto. Le conseguenze sul piano economico sarebbero pesantissime per i due Paesi avviati da tempo verso una deriva reazionaria, autoritaria e illiberale.

Autonomia della magistratura vuol dire sia che la magistratura deve essere libera di contrastare l’orientamento politico dell’esecutivo sia che, all’opposto, non deve essere una sua “longa manus”.

Ebbene, se in Polonia ed in Ungheria assistiamo al tentativo di imbavagliare o quantomeno controllare la magistratura, in Israele abbiamo una magistratura che è strumento consapevole dell’occupazione, della repressione e del progetto sionista. In particolare, l’Alta corte di giustizia, su temi fondamentali per l’esistenza di Israele quale Stato ebraico come il diritto di cittadinanza, si è più volte pronunciata con sentenze che poi si sono rivelate propedeutiche rispetto alla legge sullo Stato nazione del 2018. Questa legge mette nero su bianco che il diritto all’autodeterminazione spetta solo agli ebrei con buona pace di chi ebreo non è. Una osmosi tra giudiziario, esecutivo e legislativo che non incide minimamente sul mantra per cui Israele è l’unica democrazia del Medio Oriente. E mentre l’Europa si attiva con pesanti sanzioni contro Polonia ed Ungheria, l’ONU nulla eccepisce rispetto alle violazioni ben più gravi di Israele.

Chissà se in Palestina conoscono Fassino. Che c’entra Fassino? C’entra. Perché se i palestinesi sapessero che cosa ha detto Fassino il 6/7/2021 nel corso di una audizione di vari giuristi avanti alla Commissione esteri della Camera da lui presieduta capirebbero il perché della loro continua discriminazione. In quella audizione si discuteva di Palestina e Corte penale internazionale. Fassino, nel trarre le conclusioni, ha introdotto a sorpresa il tema Jugoslavia. Questa la sua tesi: il diritto internazionale deve essere subalterno alla politica; non solo, ma eventuali processi o comunque interventi della magistratura possono danneggiare la ricerca della pace. Qui ha introdotto l’esempio della ex Jugoslavia dove i processi sono stati successivi alla fine delle ostilità sul terreno.

Fassino affronta con disinvoltura il tema del rapporto tra politica e diritto internazionale per concludere che, in caso di conflitto tra queste due categorie, deve prevalere la politica. Quindi il diritto internazionale, strumento volto a risolvere pacificamente i conflitti, deve soccombere dinanzi agli interessi economici e geopolitici del momento nel caso in cui questi interessi vadano a contrastare le norme di diritto.

Israele ha condannato l’occupazione russa: la guerra, ha detto, non è strumento per risolvere i conflitti. Ne sa qualcosa lo Stato ebraico e parla con la competenza di chi sulle guerre proprie o per procura ha costruito la propria potenza.

Ed allora, palestinesi, sappiate: in Ucraina politica e diritto coincidono; in Palestina no. Il diritto allora soccombe e prevale la politica che autorizza e legittima quanto in Ucraina è condannato. [Ugo Giannangeli]

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