Economia

Un altro mondo è possibile

Il tema guida per la seconda edizione del ciclo di serate Un altro mondo è possibile è l’economia. Partendo dalla recente crisi economica che ha colpito il mondo intero, la bottega di commercio equo e solidale Shongoti Onlus organizza a Erba quattro serate per capire meglio i motivi reali del crollo finanziario, conoscerne le conseguenze e pensare una modalità sostenibile e consapevole per un futuro migliore.

Intervista a Nando Dalla Chiesa

La XV Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie si celebra a Milano sabato 20 marzo 2010.

«Il tema che porremo al centro della Giornata – spiegano gli organizzatori di Libera – sarà la dimensione finanziaria delle mafie. Troppo spesso si licenzia frettolosamente ancora oggi il problema mafie come qualcosa che riguarda solo alcune regioni del Sud Italia. Sappiamo per certo che non è così, che oggi le mafie investono in tutto il mondo e che nel Nord Italia ci sono importanti cellule di famigerati clan, che riciclano denaro sporco, investono capitali nell’edilizia e nel commercio, sono al centro del narcotraffico, sfruttano attraverso lavoro nero. La corruzione, oggi nuovamente a livelli altissimi come sottolineato dalla Corte dei Conti, è un fenomeno presente in misura crescente dove ci sono maggiori possibilità di business: è dunque il Nord tutto a doversi guardare da questi fenomeni di penetrazione di capitali illeciti».
Sull’argomento abbiamo intervistato Nando Dalla Chiesa, presidente onorario di Libera.
Il 20 marzo è la XV Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime di mafia: qual è il suo significato?
Questa è una giornata di grande valore morale nella storia del paese, è la giornata che ricorda tutte le vittime delle organizzazioni mafiose e questa memoria è impressa in tutta la storia d’Italia perché parte dalla fine dell’Ottocento e, per quel che riguarda la storia della repubblica, si va dai sindacalisti uccisi negli anni Quaranta in Sicilia fino ai magistrati, agli esponenti della società civile, ai giornalisti a cui si è cercato di tappare la bocca o di fermare la tastiera. Ci sono esponenti delle forze dell’ordine, politici e amministratori. Sono nomi che rimessi uno in fila all’altro, come accade solo in questa manifestazione, ricostruiscono la scia di sangue che percorre la storia della nostra democrazia che va ricordata per portare ad una maggiore responsabilità di chi sente fare quei nomi: per questo giornata della Memoria e anche dell’Impegno
Perché quest’anno proprio a Milano?
La manifestazione si svolge ogni anno in una città diversa, non è la prima volta che viene scelta una città del nord, ci sono già state Torino e Modena. Quest’anno Milano, però, ha un significato  particolare: la Lombardia e il suo capoluogo sono sotto attacco da parte delle organizzazioni mafiose, ma l’opinione pubblica e la classe dirigente milanese e lombarda sembrano non rendersene conto o non vogliono vederlo. Si tratta quindi di far tornare per un giorno Milano capitale morale del paese e pensare che da questa affermazione di responsabilità collettiva nasca una nuova capacità di tenere lontane le organizzazioni mafiose, in particola la ‘ndrangheta, dalla società dall’economia e dalle istituzioni lombarde.
Quali sono le attività a rischio mafia in Lombardia?
Sono tantissime, non più soltanto il gioco d’azzardo, le discoteche e i luoghi del divertimento, ma vanno dal ciclo del cemento allo smaltimento dei rifiuti tossici alla sanità. Si tratta di luoghi di investimento importanti che, fra l’altro, intrecciano professioni e bisogni sociali diffusi – basta pensare alla casa e alla salute – che per questo rischiano di trovare indirettamente delle cinture di consenso anche involontarie e in intenzionali, ma che poi pesano: bisogna fare presto!
Che responsabilità hanno avuto la classe politica e i partiti nello sviluppo della mafia al Nord, in territori non tradizionali e che ruolo dovrebbero avere per contrastarlo?
Dal punto di vista del “dovrebbero avere”, quello che dovrebbero fare è schierarsi come una falange contro le organizzazioni mafiose, difendere le città e i cittadini. Purtroppo non lo fanno a volte per calcoli di convenienza e di quieto vivere e anche per valutazioni superficiali; non c’è calcolo, c’è semplicemente inadeguatezza culturale e civile però un paese non può permettersi di fronte a questi avversari una classe dirigente così.
La domanda che spesso si fanno i cittadini comuni è: cosa posso fare io, cosa possiamo fare noi nella nostra quotidianità per combattere questo sistema che tende ad essere invisibile per proliferare?
Queste organizzazioni, segnatamente la ‘ndrangheta, sono state a lungo rimosse dalla coscienza collettiva e questo è stato il loro alleato principale: noi dobbiamo sconfiggere questo alleato. Si tratta di una guerra e noi possiamo battere il nemico cominciando a battere questo suo fortissimo alleato.
L’Italia è il paese in cui sono nate le organizzazioni mafiose, però quelle italiane non sono le uniche presenti sul nostro territorio: come mai anche organizzazioni straniere si sono insediate qui?
Sono arrivate qui perché abbiamo avuto fenomeni migratori repentini che sono stati utilizzati come maschera dalle organizzazioni malavitose e sono diventanti il terreno ideale per esercitare dei reati: primo tra tutti proprio il traffico di esseri umani per entrare in Italia. Inoltre il nostro è un paese nel quale la legalità è sempre incerta e dunque, vedendo quello che fanno le organizzazioni criminali italiane, si può a ragione ritenere che ci siano anche altri spazi se si riesce a rimanere sott’acqua e non farsi vedere troppo.
C’è una speranza nel futuro della lotta dell’antimafia?
La speranza c’è sempre dipende semplicemente dalle forze che si riescono a mettere in campo. Oggi più che mai bisogna rendere esplicito il problema e crearne consapevolezza. Questo si può fare ma richiede un grande sforzo di sensibilizzazione e di impegno civile per oltrepassare la barriera dell’indifferenza, dell’inerzia o dell’incapacità e superficialità dei partiti e dei mezzi di informazione di massa. [Tommaso Marelli, ecoinformazioni]

Flex – insecurity

Una quarantina di persone hanno partecipato, giovedì 18 marzo alla Cascina Masseè di Albate, all’incontro organizzato dall’Associazione per la sinistra di Como col docente universitario Stefano Sacchi, co-autore di una ponderosa ricerca, sviluppatasi nell’arco temporale di tre anni e sintetizzata nel libro Flex insecurity, perché in Italia la flessibilità diventa precarietà.

La serata è stata introdotta dal direttore della rivista Valori, Andrea di Stefano, partendo dalla constatazione che il mondo del lavoro è investito da fenomeni devastanti, che ancora non sono compresi pienamente, in quanto si realizzano dinamiche produttive del tutto nuove, sconosciute allo stesso sindacato. Un esempio viene da una recente ricerca commissionata dai sindacati del commercio della Brianza, che ha messo in evidenza un sistema di gestione degli spazi commerciali all’interno degli ipermercati, che porta come conseguenza una modifica delle forme contrattuali, funzionale al mantenimento dei margini di profitto e decisamente poco attenta ai diritti dei lavoratori.
Una situazione che non ha eguali in Europa e che è figlia di una deregulation spinta del sistema produttivo.
Proprio partendo da questa peculiarità italiana, Stefano Sacchi ha approfondito con un lungo intervento i temi della ricerca (vedi agenzia stampa di ieri) insistendo in modo particolare sull’aspetto dell’estensione dell’area della precarietà anche ai lavoratori a tempo indeterminato.
In sostanza, non appare corretta l’identificazione della precarietà con la flessibilità: i due concetti si intrecciano, all’interno di un mercato del lavoro nel quale le protezioni sociali sono comunque assai carenti per tutti, ed inesistenti per almeno 1.600.000 lavoratori.
Le scelte del governo disegnano infatti un welfare a macchia di leopardo, con largo utilizzo della cassa integrazione in deroga, senza previsione di un reddito minimo garantito (in Europa, solo Ungheria e Grecia fanno altrettanto!) e senza una rete di garanzie esigibili, quella che i ricercatori definiscono “pavimento di diritti”.
Quali alternative sono possibili? Un salario minimo uguale per tutti, derogabile in meglio dai contratti di lavoro, un sistema contributivo omogeneo per diversi tipi di contratto, e soprattutto una “indennità di terminazione” utile per scoraggiare la rotazione dei lavoratori su uno stesso posto.
Con quali risorse? Sacchi ha evidenziato, tra l’altro, lo spreco legato alle pensioni di invalidità civile erogate a soggetti abbienti: da un riordino in questo comparto, si potrebbero ricavare 7 miliardi da impiegare per le misure proposte.
Gli interventi dal pubblico hanno posto l’accento soprattutto sulla questione della formazione professionale – vista come passaggio fondamentale per far coincidere domanda ed offerta – e della tassazione delle rendite come strumento importante per reperire risorse da destinare alle protezioni sociali.
Tema, quest’ultimo, ripreso in conclusione da Di Stefano per evidenziarne la centralità, in quanto unica alternativa praticabile ai tagli della spesa pubblica, che vanno contrastati in quanto non farebbero altro che peggiorare le condizioni di flex-insecurity così ben evidenziata dalla ricerca. [Massimo Patrignani, ecoinformazioni]

Dopo l’ultimo testimone. La memoria e il suo uso pubblico

Alla Biblioteca comunale di Como l’Istituto di storia contemporanea Pier Amato Perretta giovedì 21 gennaio 2010 alle 20.30 invita all’incontro con David Bidussa che dialogherà con il sen. Luciano Forni e alcuni studenti delle scuole secondarie di secondo grado sul significato della memoria oggi, sul rapporto tra storia e memoria sul contributo dei testimoni e sull’uso politico della storia.

«Quello che si intendeva affrontare attraverso il Giorno della memoria tende immediatamente a tradursi in “uso politico del passato”. Ossia un’operazione che propone una lettura del presente attraverso la scelta di un particolare del passato, ma in relazione agli interessi che si hanno qui e ora.»
«Dunque la memoria va anche tutelata rispetto a se stessa, al suo oggetto, e non solo alla narrazione di quell’oggetto. La memoria è un “corpo fragile” – che rischia facilmente di distruggersi o di dissolversi se non si allestiscono convenienti strategie per la sua conservazione e per il suo trattamento, critico e analitico».  Per informazioni 031.306970.

Leggi l’intervento di David Bidussa sui provvedimenti della ministra Gelmini di discriminazione degli studenti “stranieri”. Leggi l’intervento di David Bidussa sul razzismo dopo i fatti di Rosarno.

Ci salveranno i fulmini e il deserto?

Ci salveranno i fulmini e il deserto? È l’interrogativo ironico e surreale che dà il titolo al libro di Maria Letizia Grossi presentato alla libreria Punto Einaudi venerdì 11 dicembre per l’iniziativa, aperta da Maria Ambrosoli, presidente dell’Università popolare Auser, con un’introduzione critica di Marco Lorenzini e un dialogo con la scrittrice condotto da Rosa De Rosa.

Si tratta di una raccolta di nove racconti scritti in epoche diverse dall’autrice, insegnante di lettere per oltre un ventennio, redattrice della rivista ècole, impegnata nell’associazione Il Giardino dei Ciliegi di Firenze e nella Società Italiana delle Letterate e animatrice di un corso di lettura e scrittura creativa alla Libreria delle Donne di Firenze. Un orizzonte cupo e chiuso è lo sfondo sul quale si muovono i personaggi che riescono comunque a sognare, a immaginare un futuro risarcimento ai danni del presente. Le protagoniste sono tutte donne vive, quotidiane, creature semplici, ma straordinarie, sono mogli, madri, hanno la gastrite, non hanno terminato gli studi, cercano le ragioni del vivere, non si rinchiudono in se stesse nonostante le difficoltà e le assurdità della vita (la loro che assomiglia moltissimo alla nostra…) e del rapporto con gli altri e il filo conduttore è proprio la modalità in cui le protagoniste femminili si barcamenano nella realtà trovando ciascuna un suo modo personale surreale per sopravvivere nel caos del tempo. Gli uomini ne escono maluccio: aggressivi, gretti, svampiti, superficiali tranne che ne Il Guardiano, unico testo in cui il genere maschile si riscatta nella figura di uno psicoterapeuta tenero e sensibile che sulla tomba della moglie Ines si sforza di ricordare il tono particolare della sua risata, il suo gesticolare o la sua postura consolato dal Guardiano portoghese che afferma con saggezza: «Il tempo se ne va, ma lascia il suo succo, come in una bottiglia. […] La saudade non fa disperare. Ci fa sentire la lontananza, ma anche la persistenza. Conserva il succo. Siamo noi la bottiglia». I luoghi sono i topos della memoria, non un semplice fondale per le vicende degli attori, ma parte di loro stessi e parte corporea della stessa autrice, sono luoghi reali del vissuto (Firenze, Caserta, Altavilla Irpina), del passato e del non ritorno (Lattaquié in Siria), ma anche luoghi dell’anima e del desiderio. Non manca una suggestione tutta comasca con un cenno al Baradello: «È bella la prima mattina in questa parte di Lombardia che si avvicina al lago. Il monte con la torre in primo piano si alza lentamente dalla nebbia e si lascia bagnare dal sole, prima gli alberi in alto, sottili e vibranti dentro il fervore della luce iniziale, poi più giù i pendii folti come una pelliccia verde». Se la specie umana si dimostra inadeguata nel risolvere i problemi ecco gli oggetti animarsi in una sorta di realismo magico che si manifesta in alcuni elementi della natura (il vento del deserto che impedisce una guerra) o il bancomat che vuole riordinare la storia rimediando ai danni del capitalismo. Altri prodigi surreali accadono nel racconto ecologico Moltiplicazioni in cui coltellini da frutta e cucchiaini vagamente sogghignanti sono gli iniziatori di una inquietante autoclonazione di tutti i manufatti umani che, già sovrabbondanti nella normale quotidianità, strabordano e si stratificano in uno scenario apocalittico in cui le persone vanno qua e là come insetti impazziti, urlano, ma non riescono a comunicare nel frastuono assordante. Una creatura riaffiorata da un passato mitologico, come una sorta di coscienza tardiva, osserva: «Gli oggetti erano troppi già da prima, non vi siete accorti che ne stavate fabbricando troppi?» e quando finalmente un tecnico riesce a interrompere World Multiplications, il programma maledetto che ha proiettato le proprie funzioni dalla virtualità alla realtà, l’immondezzaio del troppo, l’enorme bubbone deforme viene sgombrato e convogliato in appositi centri di incenerimento predisposti in prossimità di campi nomadi, mentre le eccedenze vengono spedite al terzo mondo. Attuale anche l’analisi del difficile rapporto nelle coppie di culture diverse in Scambi culturali all’alba del millennio, una sorta di scrittura terapeutica per elaborare dure esperienze autobiografiche dell’autrice: l’innamoramento, la buona disponibilità, la curiosità di conoscere l’altro da sé non sono sufficienti se la barriera da superare è la mancanza di rispetto. Nella postfazione il doveroso tributo ai maestri Domenico Starnone, Elena Gianini Belotti, Antonio Tabucchi, Josè Saramago, Virginia Woolf, Anna Maria Ortese. E la risposta al quesito del titolo: «L’ironia è un utile mezzo per prendere distanza dagli avvenimenti dolorosi, ma anche un modo per calarsi nei fatti e nella politica e attaccare quello che sulla terra è oppressione e violenza dei pochi sui molti. Consapevole che nella realtà né fulmini né il deserto né i computer né i bancomat o le allergie ci toglieranno le castagne dal fuoco, mi dichiaro comunque speranzosa». Maria Letizia Grossi, Ci salveranno i fulmini e il deserto?, Luciana Tufani Editrice, pp. 192, euro 12. [Antonia Barone, ecoinformazioni]

La Giunta della Camera di commercio di Como

camera commercioIl Consiglio della Camera di Commercio  il 12 novembre a Villa del Grumello ha eletto la nuova Giunta camerale. 

Completate le nomine dopo la rielezione il 27 ottobre di Paolo De Santis.  I membri della Giunta neo-eletta sono: Fulvio Alvisi (artigianato), Gianmario Anzani (commercio), Attilio Briccola (industria), Valentino Carboncini (industria), Giorgio Carcano (industria), Giovanni Carmignani (agricoltura), Andrea Camesasca (turismo), Mauro Frangi (cooperazione), Nello Parravicini (artigianato).

Mercato bene comune

isolalogoDomenica 20 settembre 2009 dalle ore 14 alle ore 17 a L’isola che c’è si è svolto l’incontro Mercato bene comune, un confronto tra soggetti che praticano azioni sociali solidali, sul tema della crisi economica e dei nuovi modelli possibili di economia e di società.

I relatori di questa iniziativa, che ha fatto da introduzione ad altri quattro incontri che si svolgeranno sullo stesso tema da ottobre a febbraio 2010, sono stati Claudia Fraschi (presidente del gruppo cooperativo Cgm Welfare Italia), Bruno Amoroso (docente di Economia internazionale e dello sviluppo all’università di Roskilde in Danimarca), Tonino Perna (docente di Sociologia economica all’università di Messina); la conduzione del dibattito è stata affidata a Emilio Novati (presidente di Altreconomia e di Equo mercato). Il dibattito interessante, nelle relazioni e negli stimoli venbuti dal pubblico (più di 150 persone sono passate dal tendone del dibattito), ha affrontato una questione di fondo che è stata molto dibattuta dal terzo settore nel corso dell’ultimo anno di crisi mondiale: come è possibile trasformare il variegato mondo dell’economia sociale e solidale, da economia complementare al mercato capitalistico e spesso ruota di scorta del welfare statale in crisi, in un nuovo paradigma capace di fare sistema e di dialogare con quella parte del mondo profit che ha forti legati sociali e di identità culturale con i territori? Il dibattito, che è partito dall’analisi della crisi mondiale, ha fatto emergere alcuni nodi tematici (rapporto tra pratiche solidali e comunità dei territori, incontro tra pratiche di difesa e di promozione dei diritti e costruzione di un mercato come luogo di relazioni) e alcuni nodi critici (debolezza culturale del pensiero solidale che non è abituato a fare i conti con le grandi domande dell’economia, frammentazione delle iniziative).
I dibattiti di ottobre sul commercio equo, quello di novembre sulla dimensione economica del volontariato, quella di gennaio sulla dimensione sociale dell’impresa cooperativa, quella di febbraio sulla dimensione politica dell’economia solidale, avranno il compito di approfondire i temi nei settori e proveranno a dare risposte culturali e politiche alla domanda di cambiamento dell’economia e della società che viene dalle esperienze di economia solidale. [Marco Lorenzini, ecoinformazioni]

18 mila persone a L’isola che c’è

isolalogoLa Fiera de L’isola che c’è si conferma come più seguito appuntamento provinciale dell’altra economia, quella della solidarietà e delle relazioni.

Dopo la giornata di sabato 19 dove pure, nonostante la pioggia, molti erano stati i visitatori, domenica 20 settembre il Parco comunale di Villa Guardia è stato animato da una folla superiore persino a quella delle precedenti edizioni. La stima fatta dagli organizzatori del numero complessivo dei visitatori  nelle due giornate, calcolato in base alle copie distribuite della Pagine arcobaleno, raggiunge quota 18 mila. Il primo bilancio dell’iniziativa che quest’anno ha evidenziato un’organizzazione meglio strutturata mette in luce la soddisfazione degli espositori, l’attenzione e la partecipazione dei visitatori alle molte occasioni offerte dal programma culturale, la rinnovata capacità del variegato insieme delle realtà presenti di tessere tra loro relazioni che anche al di là della Fiera potranno generare nuove collaborazioni e importanti attività comuni.

Centinaia di partecipanti alla prima giornata de L’isola che c’è

isolalogoSi è aperta sabato 19 settembre al Parco comunale di Villa Guardia (Co) la sesta edizione della Fiera provinciale delle relazioni e delle economie solidali.

All’ingresso i partecipanti hanno trovato Le pagine arcobaleno 2009, frutto della collaborazione de L’isola che c’è con la redazione di ecoinformazioni.
Tante anche quest’anno le occasioni di incontro di informazione e di partecipazione offerte dalla Fiera con una fitta serie di seminari, laboratori, animazioni, spettacoli che si sono svolti nella prima giornata e continueranno domenica 20 settembre.

Neppure la pioggia sembra fermare i tanti che voglio entrare in contatto con un’economia altra, diversa da quella dello sfruttamente del lavoro e della natura. La prima giornata infatti pur facendo registrare nelle prime ore per la pioggia una partecipazione inferiore allo scorso anno si è ravvivata nel pomeriggio quando centinaia di visitatori hanno riempito i percorsi che si snodano tra gli stand dei 150 espositori e affollato il ristorante e lo spazio ristoro della Casa dei popoli.

Tutte le informazioni sul rpogramma della Fiera sul sito dell’associazione www.lisolachece.org

La lingua dell’isola

image002L’intervento di Antonia Barone e Gianpaolo Rosso che apre l’edizione 2009 de Le pagine arcobaleno.

Una delle caratteristiche che dà il segno della reale innovazione introdotta da L’isola che c’è nella cultura e nella politica lariana sta nell’evidente corto circuito tra due speranze apparentemente antitetiche che, invece, contemporaneamente segnano l’attività dell’associazione.
Da un lato la volontà di sviluppare un legame forte con la terra, con l’agricoltura locale per realizzare quella filiera corta capace di garantire il ripristino di un positivo e fecondo rapporto di amicizia e stima tra produttori e consumatori. Dall’altro la capacità di promuovere una filiera molto più lunga, in grado di metterci in relazione con persone e prodotti di ogni parte del mondo, quella del Commercio equo e solidale.
Così le zucchine prodotte in Brianza parlano la stessa lingua dei tappeti del Marocco. È la lingua della simpatia e della solidarietà nella quale ogni parola serve a comunicare, non rozzamente a esprimere semplicemente la propria identità presuntuosamente ritenuta migliore di altre.
Lo stesso linguaggio è quello che abbiamo parlato tutti insieme, ciascuno con la propria arricchente peculiarità, sabato 5 settembre a Cernobbio al forum di Sbilanciamoci! dal titolo significativo Uscire dalla crisi con un nuovo modello di sviluppo. L’impresa di un’economia diversa, che si è svolto contemporaneamente al seminario Ambrosetti dove i grandi dell’economia, pur affondando nel pantano della crisi da loro creata, hanno continuato a ripetere le loro altisonanti e arroganti certezze.
Noi abbiamo scelto la lingua de L’isola con la quale cerchiamo di scrivere ogni anno le Pagine arcobaleno. In questa lingua, la stessa del Pensare globalmente, agire localmente, c’è anche il futuro.
Il tempo giusto per immaginare un pianeta Terra popolato ovunque da persone sobriamente felici.