Grazia Naletto, Mattia Palazzi, Tino Colacillo, Mauro Meggiolaro a Sbilanciamoci!

Grazia Naletto, presidente di Lunaria, si sofferma su alcune delle proposte della campagna, in particolare sulle politiche pubbliche di protezione sociale.

«A fronte di 16 miliardi di euro stanziati per gli F35 e 1 miliardo di euro circa tra il 1999 e il 2010 per la costruzione degli ex Cpt, oggi Cie (centri di identificazione ed espulsione), solo 5,9 miliardi l’anno vengono destinati alla spesa sociale dei Comuni.

Proprio in una fase di crisi dobbiamo fare uno sforzo in più per frenare quell’operazione che tende ad alimentare il conflitto tra cittadini italiani e cittadini che provengono da altri Paesi. Si è di fatto riusciti a far passare l’idea che in un momento di crisi l’adozione di politiche inclusive si pone in antitesi alla garanzia dei diritti dei cittadini italiani. È un modello di cittadinanza settecentesco. I conflitti che iniziano a sorgere a livello locale aumenteranno: come nel caso dell’accesso dei bambini alle mense scolastiche, si mette in discussione il diritto dei migranti a stare nel nostro paese

Le risorse delle politiche di contenimento ammontano infatti come minimo a un miliardo, mentre le risorse per l’inclusione sociale sono minime.

Nel 1999, a questo riguardo, fu istituito il Fondo per le politiche migratorie: allora furono stanziati circa 54 milioni di euro, nel 2007 il governo di centrosinistra volle attivare nuovamente il suddetto fondo e stanziò 50 milioni di euro, con una popolazione straniera aumentata in maniera esponenziale». Cosa fare dunque per ribaltare questo modello?

«Tagliare le spese per i Cie: sono strutture che assorbono moltissime risorse, senza raggiungere i fini per i quali vengono costruiti, considerato che meno della metà delle persone detenute viene espulsa. Sono inoltre gestiti tutti da organizzazioni private, costituendo un giro d’affari che potrebbe essere investito in modo più efficace. La legge 94/2009, l’accordo di integrazione che vincola il diritto a rimanere nel nostro territorio con il permesso a punti, comporta ad esempio l’obbligo di  conoscenza della lingua italiana ma non stanzia neanche un euro per l’organizzazione di corsi ad hoc. Ovvero, se ne occuperà il volontariato, e lo stato userà parte dei fondi comunitari per far gestire anche questo tipo di servizi da organizzazioni non sempre e non proprio non profit.

Riteniamo inoltre che siano centrali i provvedimenti di regolarizzazione dei migranti irregolari:  244mila collaboratrici domestiche sono già state regolarizzate ma altre migliaia di persone che lavorano nell’edilizia, nella piccola impresa, nell’agricoltura hanno vista negata tale possibilità, che avrebbe per altro un’immediata rilevanza economica(250 milioni di euro è “fruttata” allo Stato la regolarizzazione delle badanti lo scorso anno). Infine, è necessaria l’adozione di una normativa che consenta realmente di ridurre il lavoro nero».

Sempre a proposito di welfare, Mattia Palazzi di Arci Lombardia, ritiene fondamentale «intravedere una nuova alleanza sociale. Oggi pare evidentemente minoranza l’idea secondo la quale occuparsi della propria comunità significa impegno politico. L’aspetto più cruento di questa crisi lo vedremo nel 2011, con la manovra 2010 e i relativi tagli agli enti locali (3,4 miliardi alle Regioni, 1 miliardo e mezzo sul 2011 ai Comuni). Ciò significa che anche chi se l’è cavata fino ad ora, vedrà tra pochi mesi gli effetti della crisi a casa sua, nei trasporti, negli asili, nell’offerta culturale del territorio…Questi saranno processi reali ai quali si associa la minore capacità di reazione del Terzo settore: c’è il rischio di una gara al ribasso sull’erogazione dei servizi sociali, culturali etc. O siamo in grado di non correre questo rischio, sviluppando la dimensione della comunità, oppure faremo sempre più fatica a proporre alternative anche non rivoluzionarie ma illuminate perché saranno sempre soluzioni che difficilmente riusciranno a comunicare con la maggioranza dei cittadini. Dobbiamo provare a riconnettere e rilanciare le iniziative del Terzo settore, provare ad allearci con le autonomie locali, proprio oggi che si parla di federalismo. Le comunità devono ridiventare protagoniste della realizzazione dei loro desideri: mettiamo sul piatto della discussione anche un nostro punto di vista sul federalismo, stringiamo un’alleanza con gli enti locali che ancora oggi cercano di produrre un’alternativa concreta nel territorio. Lì si giocherà una partita importante nei prossimi mesi. Sottolineiamo – e comunichiamo – infine come le nostre proposte non significano l’indebitamento dello Stato ma la possibilità, già oggi, di fare scelte diverse che non indeboliscono il Paese e la sua economia»

E un elemento fondamentale viene giocato, in questo quadro, dal sistema scolastico ed educativo. Il quadro del mondo dell’università, in particolare, è stato illustrato da Tino Colacillo, dell’Unione universitari.

«Assistiamo all’aziendalizzazione dell’università. Si cerca di espellere gli studenti, rendere difficile l’accesso, le fasce più deboli, si cerca di far entrare il mercato, riducendo gli spazi di democrazia del sistema all’interno»

Tre sono le emergenze del mondo dell’università, per Colacillo. La prima è costituita dai «finanziamenti agli atenei: nessun governo negli ultimi quindici anni ha deciso grandi stanziamenti, mai l’università è stata vista come il possibile volano dell’economia, della società. Nel 2008 la situazione è precipitata, non si riesce più a mantenere il sistema stesso degli atenei, è impossibile la programmazione. Questa situazione si scarica sugli studenti, o tramite un calo della qualità dei servizi o attraverso una maggiore tassazione. Il ddl Gelmini avrà quindi effetti diretti sull’organizzazione dell’ateneo, togliendo al senato accademico tutti i poteri di gestione e li sposta sul consiglio d’amministrazione, l’organo economico, e i Cda saranno composti in parte – 4 componenti su 11 – da esterni. E la didattica potrebbe così essere influenzata da interessi privati. Il rettore, poi, avrà molti più poteri e verrà ridotta la rappresentanza studentesca».

Quindi, la ricerca, con i tagli, gli stipendi dei ricercatori precari…

Infine, «il diritto allo studio: con il ddl Gelmini viene tolto il reddito come elemento-chiave per l’attribuzione di borse di studio. Per queste ragioni, occorrerà, nei prossimi mesi, costruire insieme la mobilitazione e far diventare centrale questo tema».

Mauro Meggiolaro, della Fondazione Banca Etica, presenta il progetto di azionariato critico: «abbiamo deciso di comprare una manciata di azioni di Eni e Enel, le più attaccate da associazioni e  movimenti soprattutto per le loro attività nel Sud del mondo, che hanno un’alta partecipazione da parte dello Stato (più del 30 per cento). Così possiamo chiedere conto allo Stato di come investe i nostri soldi, i soldi di tutti. Come azionista, inoltre, ti si aprono molte porte, rispetto ai movimenti, alle Ong o alla società civile: è stato ad esempio possibile far incontrare i manager di Enel con i rappresentanti di un movimento di una regione della Patagonia dove l’azienda italiana vorrebbe costruire cinque dighe, che si oppongono a tale progetto. E a volte si ottengono anche risultati…Con l’Eni ci siamo divertiti ancora di più: siamo riusciti a far pubblicare dal Wall street journal i risultati di una nostra ricerca su un particolare progetto di estrazione in Congo. Da allora regolarmente Eni chiede di incontrarci e risponde alle nostre domande.

In materia di governance, poi, abbiamo creato un sito e andremo in assemblea per indicare quali sono i nostri candidati per il CdA di Eni, che è berlusconizzato. Anche Sbilanciamoci! potrebbe aiutarci ad indicare alcuni di questi nomi sui quali convogliare l’interesse dei cittadini e degli investitori». [BB, ecoinformazioni]

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