Chi è il maestro del lupo cattivo?

gasparriUna platea quasi tutta femminile, costituita per due terzi da ragazze adolescenti, ha riempito mercoledì 13 novembre la sala dell’Auditorium Giuseppe Scacchi della Camera di commercio per l’incontro con Ico Gasparri, fotografo, artista sociale, autore del libro Chi è il maestro del lupo cattivo? L’immagine della donna nella pubblicità stradale. Milano 1990 – 2011 [edito in proprio dall’autore, 240 pagg., 15 euro].

«La realtà sociale ci dimostra che alle donne, la metà dei cittadini, resta ancora una lunga strada da percorrere per collocarsi in posizione di uguaglianza in rapporto agli uomini. Gli ostacoli con i quali si confrontano le donne sono direttamente correlati ai ruoli definiti da determinati stereotipi, che le pongono in una situazione d’inferiorità, sottomissione e dipendenza dagli uomini generando violenza». Questa considerazione ha fatto decidere all’Università popolare di proporre, in collaborazione con il Comitato per la promozione dell’Imprenditoria femminile di Como, tre incontri dedicati alla violenza di genere e alla cultura di violenza: Chi è il maestro del lupo cattivo? con Ico Gasparri, il 13 novembre; Violenza maschile – libertà femminile, con Grazia Villa, il 20; Violenza di genere e i centri antiviolenza, con esponenti di Telefono donna, il 27. [Scarica e diffondi il volantino]

Il primo dei tre appuntamenti, coordinato da Maria Rita Molteni, ha dato il via alle numerose iniziative che si svolgeranno a Como fino al 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.

Gasparri, convinto che alcune delle «radici culturali della violenza sulla donna siano rintracciabili nella pubblicità stradale», ha scelto la macchina fotografica come strumento di lotta «contro la cultura imperante della violenza sulla donna sui muri e nei nostri cuori».

Il titolo spiega molto bene il suo punto di vista: «[…] i lupi cattivi − cioè gli stupratori dei più vari livelli, dagli omicidi/ femminicidi alle mani morte sul metrò − hanno pur bisogno di un maestro o di una serie di maestri che impartiscano il cattivo esempio e la cattiva lezione. Stupratori non si nasce».

Gasparri sostiene di non aver affrontato il problema in quanto maschio, ma ammette «Forse stavo iniziando […] quel percorso politico di affermazione di un nuovo patrimonio di valori per i maschi italiani. Un patrimonio fatto di rispetto, di condivisione, di mitezza di ascolto, di apprendimento e non di potere, né di forza, violenza o imbroglio». Il rammarico è che in sala non ci siano ragazzi maschi ad ascoltarlo (forse bisognerebbe che queste iniziative si svolgessero a scuola nell’orario curricolare) e che gli adulti maschi si contino sulle dita di una sola mano. Ennesima dimostrazione che la nostra società fatica a rendersi conto che il problema della violenza sulle donne è una questione maschile.

Quando, nel 1990, Gasparri si trasferisce a vivere a Milano e inizia a fotografare la città prova una sensazione di fastidio derivante «da un messaggio tragico e incredibilmente indisturbato che si ficcava nei miei obiettivi ogni volta che alzavo la mira per fotografare le architetture: la femmina al muro. E che femmina! E che muro!». Un bombardamento di immagini sulle fiancate dei tram, sulle facciate dei cantieri, sulle case private, perfino sui monumenti, perfino sul Duomo. Migliaia di donne nude, provocanti, allusive, una città invasa da sederi, seni, cosce, labbra. «Centinaia di corpi femminili in sovraesposizione: “femmine al muro” veicolano la donna «come oggetto, consumabile, addirittura commestibile!». Sono immagini «a cui nessuno pare più far caso», ma sono un potente veicolo per la costruzione dell’immaginario collettivo di uomini e donne, soprattutto giovani.

Il libro è composto da due parti. Diario, narra la ricerca che ha portato alla nascita della prima mostra fotografica, nel 2004. Analisi propone alcune interpretazioni delle pubblicità, riporta interviste a pubblicitari e cittadini, scambi di corrispondenza e rimanda a 311 fotografie, raggruppate in tre gallerie, visibili sul sito.

Il volume, pubblicato a novembre 2011, si affianca all’omonimo progetto, partito nel 1990 e costituito da una mostra fotografica itinerante con oltre 70 opere, conferenze e seminari per adulti e studenti (la raccomandazione di Gasparri è quella di iniziare in terza media, prima che sia troppo tardi) e un laboratorio teatrale. Strumenti preziosi per indagare sull’immagine collettiva con cui la donna viene rappresentata nel nostro paese dai pubblicitari, maschi o donne che siano.

Le foto proiettate nel corso dell’incontro sono state scattate a Milano, dove il fenomeno è più vistoso (intere pareti di palazzi alti 30 metri) e più frequente, ma l’allarme riguarda anche Como.

La pubblicità stradale è l’unico mezzo di comunicazione a cui non possiamo sottrarci. È pubblica. È grande. È ufficiale: i manifesti portano il timbro del sindaco del Comune in cui sono esposti. È importante che le istituzioni prendano le distanze dall’uso di immagini che veicolano messaggi degradanti che, attraverso stereotipi, tendono a collocare le donne in ruoli di subalternità. A Milano nel giugno 2013 è stata approvata una delibera di Giunta sugli Indirizzi fondamentali in materia di pubblicità discriminatoria e lesiva della dignità della donnaPresto anche a Como ci sarà un provvedimento analogo. Un gesto simbolicamente importante con cui la coalizione di centrosinistra che governa la città affermerà «Non in nome mio». [Celeste Grossi per ecoinformazioni]

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