
Como San Giovanni/ L’amico di Teresa ha un’auto veloce
In questi giorni Como sta vivendo una situazione straordinaria, data la presenza di numerosi migranti nei pressi della stazione san Giovanni, che sperano di passare tra le maglie di un’Europa blindata e raggiungere la Germania.
L’amico di Teresa ha un’auto veloce, e lei si è immaginata tante volte di salirci e scappare dalla miseria. Si è ubriacata di questa fantasia. Ma la miseria era reale, la velocità dell’auto no. O per lo meno, non era abbastanza da prendere il volo.
È sempre difficile sfiorare le persone, laddove la mera cronaca e la letteratura sentimentale raggiungono lo stesso effetto: oblio, assuefazione alla tragedia, emozioni da consumarsi al pari di un bel momento. Ma non si può restare nemmeno immobili, e così si deve provare a trovare una via di mezzo. Non credo che basti italianizzare un nome, inserirlo in una storia, per proteggere una donna dalle telecamere avide di audience facile e contemporaneamente trasmettere qualcosa, ma credo che sia il caso di parlare di lei. Di come ci si sia accorti della sua auto, che forse l’ha abbandonata al confine con la Svizzera, di come tante persone si stiano prendendo cura della sua persona, di chi condivide la sua situazione.
Da venerdì 22 luglio a mercoledì 28 sono stati coordinati gruppi di volontari, per facilitare gli spostamenti dei migranti per la cena nella mensa di Rebbio. Io sono stato in stazione le sere di domenica, lunedì e martedì, ed è lì che l’ho conosciuta. Una donna dal viso allungato, lo sguardo sorridente ma che induce rispetto (le dev’essere servito da ponte per attraversare il Mediterraneo); una storia complessa. Diversamente dalla sua omonima afroamericana, star del rock-blues, il suo amico potrebbe essere uno scafista, che le ha dato false speranze e un gommone stracolmo, per sfidare la sorte in bilico sul mare. Oppure suo marito, che ha intrapreso con lei questa fuga dalla violenza, per poi arenarsi in un carcere libico. Quella Libia che si è quasi portata via la gamba di un sedicenne in stampelle, che mi parla in una delle sei lingue che padroneggia, mi interroga curioso e mi confessa il suo amore per lo studio. Sei lingue. Sei vocabolari culturali differenti, con cui poter sussurrare suggerimenti per i problemi complessi che il mondo occidentale non sa risolvere, problemi come l’inclusione e la giustizia sociale, la tutela delle minoranze; il soffocare lento dei modelli di valori, che genera degli “orfani di ideali” che cercano compensazione negli estremismi e violenze. Speriamo non lo deportino con i bus diretti a Taranto. Speriamo davvero che con il suo passo zoppicante riesca a raggiungere la Germania.
Intanto in stazione il nostro compito è semplice, radunare i migranti in attesa del pulmino della Croce rossa e, nel caso serva, dare dei passaggi con le nostre macchine. È così semplice che ci si concede il tempo di stare con i ragazzi, fare due tiri a pallone, dargli qualche informazione utile. Porto a Rebbio quattro eritrei, non c’è esattamente una lingua comune con cui fare una conversazione completa. Gli canto Fast Car, mi lasciano il nome di un musicista della loro terra.
Teresa ha un figlio di nove anni, quando arriviamo ha appena finito di mangiare. Gioca con chiunque incroci i suoi occhi, tiene alto il morale dei più grandi, ridistribuisce il cibo offertogli ai suoi coetanei. Mi offre una mela. Sarebbe perfetto per gestire un’emergenza sotto controllo come questa, dove la risposta della città avrà fatto impallidire i poveri fascisti delle prime provocazioni, ma dove una rete solida eviterebbe il disperdersi delle buone volontà dei singoli. Se la legge europea gli desse l’opportunità di diventare grande qui, potrebbe tornare a Como e lavorare nella cooperazione, insegnarci a perdere sempre e solo il tempo necessario.
Senza lasciare appassire la spontaneità che crea meraviglie, come mercoledì sera. Ero lontano di qualche ora dalla città, e ignaro di tutto pensavo a un live di Tracy Chapman, nel quale canta una versione lenta del suo brano più famoso. Un pubblico vastissimo estasiato dagli arpeggi di chitarra romantici, ma evidentemente pronto a tradirla quando Teresa passa tra loro. Poi i video di una jam session grandemente partecipata, le testimonianze, lei e suo figlio che ballano tra i fotogrammi. Tanti hanno suonato per lei mentre non c’ero, sono orgoglioso della mia città.
Quindi, se fosse necessario, caricheremo tutti sull’auto di Teresa e la porteremo a destinazione a spinta. [Stefano Zanella, ecoinformazioni]
[Foto alla Stazione di Claudio Fontana]
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