Ripudia la guerra

[Foto Luigi Nessi, ecoinformazioni]

L’intervento di Celeste Grossi alla Festa per la Repubblica il 2 giugno al Monumento alla Resistenza Europea a Como. «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo».

[Foto Massimo Borri per ecoinformazioni]

«Teresa Mattei, la più giovane tra le ventuno donne elette all’Assemblea Costituente, è sempre stata una donna libera. Nel 1938 era stata espulsa dalle scuole del Regno perché antifascista e nel 1955 dal Partito Comunista perché antistalinista. Mi fa piacere ricordarla in questo 2 giugno perché proprio in occasione di un’altra Festa della Repubblica, nel 2006, rilasciò un’intervista alla trasmissione Radio 3 Mondo nella quale raccontò, tra le altre cose, un episodio accaduto al momento della votazione dell’Articolo 11 della Costituzione: «Al momento della votazione per l’Articolo 11, cioè quello contro la guerra – “L’Italia ripudia la guerra”, è stato scelto il termine più deciso e forte – tutte le donne che erano lì, ventuno, siamo scese nell’emiciclo e ci siamo strette le mano tutte insieme, eravamo una catena, e gli uomini hanno applaudito». […] «per questo, quando ora vedo tutti questi mezzucci per giustificare i nostri interventi italiani nelle varie guerre che aborriamo, io mi sento sconvolta perché penso a quel momento, penso a quelle parole e penso che se non sono le donne che difendono la pace prima di tutto non ci sarà un avvenire per il nostro paese e per tutti i paesi del mondo».

Tra quei “mezzucci”, come li chiamò nel 2006 Teresa Mattei, ci sono missioni di guerra camuffate come “interventi militari umanitari” (Kosovo, 1999, Afghanistan 2001, dove sono ancora presenti 895 militari che dovrebbero gradualmente rientrare nei prossime mesi, in Iraq dove ci sono oltre 1000 persone e dove il governo italiano si è candidato a guidare dall’anno prossimo una nuova missione al posto degli Usa), c’è la produzione di armi (in cui la Lombardia “eccelle”) e la vendita di armi.

L’Italia esporta annualmente sistemi militari e di sicurezza per 5 miliardi di euro all’anno, ma importiamo apparecchiature mediche per 7 miliardi (secondo dati Istat). Un saldo positivo per le armi, un deficit per la sanità.

Nel Pnrr, approvato frettolosamente e senza una reale discussione democratica né in Parlamento, né nel paese il sistema militare industriale – che già oggi fonda i suoi profitti maggiori nell’esportazione di armamenti nelle aree più a rischio del pianeta – cresce ulteriormente. L’esatto contrario degli obiettivi di “rinascita” dichiarati dal Next Generation EU. Nel mese di maggio del 2021 abbiamo assistito ad un’azione concentrica tesa a smantellare norme e procedure nazionali sulle esportazioni di armi e di sistemi militari, in particolare la Legge 185/90. Facilitare le esportazioni di armamenti viene enfatizzata come un’operazione “strategica” per il “rilancio” dell’economia nazionale e la competitività dell’industria militare. A parte le motivazioni etiche, le argomentazioni sono pretestuose: il comparto armiero, secondo dati diffusi nei primi giorni di maggio vale meno dell’1 per cento sia del prodotto interno lordo (Pil) sia delle esportazioni nazionali sia del tasso occupazionale. Un settore marginale per l’economia italiana assorbe un flusso sovradimensionato di fondi pubblici grazie ad un diffuso e acritico sostegno dei partiti politici più rappresentati in Parlamento.

Invece di modificare leggi e ridurre controlli, bisognerebbe valutare in modo accurato il rispetto delle norme nelle esportazioni militari e il loro impatto devastante sulle popolazioni e nelle zone di conflitto armato. Perché alla “diplomazia degli affari” non può essere sacrificata la difesa dei diritti umani conquistati dalle democrazie.

Bisognerebbe interrompere la cooperazione militare dell’Italia con Israele (divenuta legge della Repubblica 94/ 2005) che stabilisce una cooperazione a tutto campo, sia tra le forze armate che tra le industrie militari, comprese attività che restano segrete perché soggette all’«Accordo di sicurezza». L’Italia che ha già fornito a Israele 30 caccia Aermacchi della Leonardo, per l’addestramento dei piloti, ora può fornirgli una nuova versione, l’M-346 FA (Fighter Attack), che è particolarmente adatta a «missioni in aree urbane», dove caccia pesanti «vengono spesso utilizzati in missioni poco paganti e con alti costi operativi». L’ideale per i prossimi bombardamenti israeliani su Gaza, che potranno essere effettuati con «un costo per ora di volo che si riduce fino all’80%», e saranno molto «paganti», ossia uccideranno molti più civili palestinesi, tra cui bambine e bambini.

Ai recenti bombardamenti dell’esercito israeliano su Gaza, hanno preso parte 80 caccia, inclusi gli avanzati F-35 di quinta generazione della statunitense Lockheed Martin, alla cui produzione partecipa anche l’Italia quale partner di secondo livello.

Bisognerebbe smettere di rafforzare un regime autoritario come quello egiziano, fornendogli mezzi militari, per dare subito seguito alla dichiarazione del Consiglio per i diritti umani dell’Onu, sottoscritta anche dall’Italia. Dal 2013 in Egitto sono stati imprigionate oltre 60 mila persone per motivi politici e oltre mille persone sono morte nelle carceri. La richiesta di porre fine alla sistematica violazione dei diritti umani di attivisti, dissidenti pacifici, giornalisti, politici e avvocati, di verità e giustizia per Giulio Regeni, di liberazione di Patrick Zaki è molto debole se con il regime egiziano si continuano a fare affari.

Bisognerebbe interrompere il sostegno militare ed economico italiano alla Libia, mosso dalla scelta di esternalizzare le frontiere per controllare i flussi migratori in partenza dal Nordafrica. La scelta di Tripoli come destinazione della sua prima visita di Stato all’estero fatta da Mario Draghi, le nove visite del ministro Di Maio, la visita a Roma del 31 maggio del primo ministro libico dimostrano la scelta di un rapporto privilegiato con un paese instabile dove vengono costantemente violati i diritti umani.

Recenti sentenze della Magistratura hanno sancito le norme di legge per limitare la vendita di armi e la protezione umanitaria al di sopra di qualsiasi ipotesi di profitto economico.

A febbraio 2021 il Giudice per le indagini preliminari presso la Procura di Roma ha deciso che deve proseguire l’inchiesta nei confronti dei dirigenti di Rwm Italia, filiale italiana del produttore di armi tedesco Rheinmetall AG, e degli alti funzionari dell’Autorità nazionale per l’esportazione di armamenti (Uama), l’agenzia del ministero degli Esteri che autorizza l’esportazione di armi per il ruolo che avrebbero avuto in un attacco aereo della coalizione internazionale guidata da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti in un villaggio nel Nord-Ovest dello Yemen dove in sei anni di conflitto le violenze sono aumentate, così come le violazioni dei diritti umani.

Chiediamo che il Parlamento analizzi con attenzione le Relazioni governative sulle esportazioni di sistemi militari, apra un confronto ampio ed approfondito sulla Legge 185/90 per migliorarla e studi urgentemente misure idonee ad avviare la differenziazione produttiva e la conversione a fini civili delle industrie del settore della difesa, come già richiesto dalla normativa vigente.

Ai parlamentari tutti, e in particolare alle donne diciamo: siate liberi, libere, come Teresa Mattei, ispiratevi a lei e proponete modifiche migliorative alla Legge 185/90. Forse la Legislatura finirà presto, ma avrete segnato un cambiamento vero, ridato dignità al Parlamento, onorato la Costituzione e lasciato un segno nella nostra Storia repubblicana. Come Teresa Mattei. [Celeste Grossi]

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