
Il mare comune
Anticipiamo per i nostri lettori e le nostre lettrici l’editoriale di Andrea Rosso dell’edizione di giugno del mensile ecoinformazioni che sarà in distribuzione a Che il Mediterraneo sia al circolo Arci Mirabello di Cantù il 25 e 26 giugno. Leggi il programma.
Nessun progetto di società può fare a meno di una diffusa coscienza di luogo. E questa non si produce senza una conoscenza profonda e diretta dell’ambiente naturale. Se questo avverrà il Mediterraneo potrà essere un laboratorio ambientale, culturale, sociale e politico capace di suggerire al pianeta un nuovo modo di vivere. L’unica strada percorribile è cercare e coltivare convergenze lungo le coste di un mare comune. Allenando la mente, «agli ibridi, agli incroci, alle identità che non amano la purezza e la pulizia, ma conoscono da tempo la mescolanza» (Franco Cassano) . “Convergenza” non vuol dire “identità”. E siccome non c’è un altro mare al mondo nel quale le relazioni tra sponde opposte sono state così intense e continue per secoli, è qui che va tentato l’esperimento.
È un mare quasi chiuso, caldo, salato e povero. La massa degli esseri viventi che lo abitano è relativamente piccola, ma la di versità delle specie è tra le più alte del pianeta. È uno spazio uniforme, dalpunto di vista biologico: dalla loro finestra aperta sul mare Kamal, Bertrand, Aicha, Michele guardano più o meno la stessa macchia mediterranea, stesse piante e animali, stessi ecosistemi, stessi legami antichi con la natura, stessi problemi. 150 milioni di persone di 24 Stati vivono lungo la fascia costiera e altri 275 milioni la vivono da turisti, essendo in tutto il mondo vincente l’idea che il Mediterraneo possa essere solo un Luna Park dove si mangia bene. Tutti i fenomeni di degrado nascono qui, avvelenando un mare fragile. E tornano invariabilmente a riva, fin dentro le nostre cellule.
E poi, e soprattutto, le guerre. Da ogni parte del pianeta i padroni del mondo partecipano attivamente, anzi soffiano sul fuoco, a caccia di risorse, combattendosi per interposto conflitto, mentre i fondali siricoprono di migliaia di cadaveri di migranti. Ma la questione dei conflitti mediterranei ha un aspetto strutturale, ancora più cupo. Il Mediterraneo è oggi un “medioceano”, cioè l’area di interposizione tra il mare indo-pacifico e il mare atlantico, il chevuol dire tra Cina e Stati uniti d’America. È un mare
strumentale, un mare di mezzo tra interessi globali contrapposti. Non più una posta in gioco, ma un campo di battaglia.
Il Mediterraneo potrà morire per asfissia, secontinuerà achiudersinella suapresunta identità, oppure per smarrimento, se capitolerà di fronte a una cultura planetaria, senza lingue e pensieri originali, senza un legame con il territorio. Non ci sono soluzioni semplici, ma una cosa è certa: sono ipocrite le lacrime di chi si dispera per un mare morente senza sapere che cosa, esattamente, sta perdendo. [Andrea Rosso, ecoinformazioni]
