
Contro le disuguaglianze perché il Mediterraneo sia
Como è una città che solo nel 2016 si è tardivamente scoperta città di frontiera, una frontiera di sogni e paura, una frontiera in uscita di cui si continua a parlare troppo poco.
Ci sono volute centinaia di persone accampate nel prato antistante la stazione San Giovanni perché le cittadine e i cittadini iniziassero a domandarsi e a chiedere conto alle istituzioni cittadine come mai di fronte a un fenomeno strutturale si continuassero a fare scelte emergenziali (a Como anche il freddo è considerato un’emergenza).
A distanza di 6 anni Como ha ancora persone che dormono in strada e chi ha un letto in dormitorio, di giorno, comunque, non ha un posto dove stare.
L’intento generoso di chi nel 2016 a Como ha tentato di dare sollievo momentaneo a quanti vivevano in una condizione di grave disagio è stato un gesto utile per chi conserverà di quei giorni non solo il ricordo delle difficoltà, ma anche l’esperienza concreta di una cittadinanza sensibile e attiva. È stato utile, ma non risolutivo per chi è rimasto qui e per la maggior parte delle giovani e dei giovani che non avevano scelto la nostra città come destinazione finale di un viaggio verso pace e futuro, ma come transito verso la Germania, attraverso la Svizzera. Impedire di varcare la frontiera è un comportamento che va contro il principio della libera circolazione delle persone, uno dei pilastri su cui si dovrebbe fondare l’Europa.
Errore di sistema
Giusi Nicolini, nel 2016 sindaca di Lampedusa e Linosa, disse: «Questo è il momento in cui o ci salviamo tutti o non si salva nessuno. Il vero pericolo non sono i profughi, è questa Europa, la sopravvivenza stessa dell’Europa».
L’Europa in questi anni non si è salvata. Verso il fenomeno complesso dei flussi migratori l’Europa non è stata in grado di proporre un progetto di accoglienza degno della sua storia di patria dei diritti. Non è stata in grado di garantire il diritto umano ad un progetto di vita autonoma, che implica il diritto alla libertà di movimento.
Le scelte europee sono andate in altra direzione: si sono alzati muri, chiusi porti, sono state eretti chilometri di filo spinato a protezione di una fittizia sicurezza economica. Si fa la guerra.
Quando milioni di persone fuggono disperatamente dalle loro terre, anche a costo di essere male accolte o addirittura di morire per la strada, la prima cosa da fare è chiedersi dove e come il sistema di governo del pianeta si è inceppato. L’errore è di sistema.
Barriere
Como come Lampedusa, Como come Ventimiglia, Como come Trieste, Como come Gorizia. Como, come tutte le altre città di frontiera, è chiamata a reggere l’impatto di una questione epocale, il fenomeno della migrazione di milioni di persone in fuga da guerre, violenza, povertà, crisi climatica o solo in cerca di un futuro diverso da quello di destino, spesso determinato proprio dalle politiche del primo mondo che disperatamente interi popoli cercano ora di raggiungere senza trovare accoglienza, ma frontiere.
Perché non è solo quella geografica che separa il territorio comasco da quello svizzero, sono tante le frontiere che trova chi riesce a raggiungere Como: frontiere linguistiche, culturali, economiche, sociali.
Monocultura della mente
Sabir è il titolo che abbiamo scelto di dare al Festival diffuso sulle culture mediterranee che organizziamo noi di Arci, insieme a Caritas Italiana, Acli, Cgil, con la collaborazione di ASGI – Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione e Carta di Roma(l’ottava edizione del Festival si è tenuta a maggio a Matera, dopo Lampedusa, Pozzallo, Siracusa, Palermo, Lecce). Sabir è la lingua franca mediterranea, un idioma “di servizio” parlato in tutti i porti del Mediterraneo fino al XIX secolo. La variante più diffusa di questa lingua era costituita da un lessico italiano per il 65-70%, spagnolo per il 10 %, con parole di altre lingue mediterranee, arabo, catalano, sardo, greco, occitano, siciliano e turco.
Ma a Como, non si parla Sabir. Qui a Como la monocultura della mente, egoistica e identitaria, impedisce di cogliere la ricchezza che è sempre venuta dai popoli in movimento e dalle culture che portavano con sé. Questo territorio è già multietnico ma non è ancora diventato multiculturale.
Noi di Arci ci impegniamo a spezzare il binomio paura/sicurezza attraverso cui si negano libertà e spazi di democrazia. La sicurezza basata sul controllo e sulla militarizzazione del territorio non ci rassicura. Sicurezza per noi è vivere in comunità accoglienti perché fondate su rispetto, ascolto e riconoscimento reciproci.
Nella nostra città, nei quartieri e nelle strade che abitiamo, vogliamo accanto a noi nuovi cittadine e cittadini liberi dall’ombra della clandestinità, dallo sfruttamento del lavoro nero, dai circuiti della criminalità. Non donne e uomini spaventati, lontani da casa, tra estranei che non capiscono la loro lingua, che non affittano loro una casa, che non li assumono in regola.
Cambiare la narrazione
L’Arci è tra i soggetti fondatori di Como senza frontiere, una rete nata nel 2016, impegnata a modificare la percezione del fenomeno migratorio. Per cambiare la percezione occorre cambiare la narrazione e dunque occorre più informazione.
Tra le iniziative giornalistiche meritano particolare attenzione l’Associazione Carta di Roma, fondata nel dicembre 2011 per dare attuazione al protocollo deontologico per una informazione corretta sui temi dell’immigrazione, siglato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti (CNOG) e dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI) nel giugno del 2008 e il Forum delle Giornaliste del Mediterraneo organizzato nel 2021 da Giulia (GIornaliste Unite Libere Autonome) – libera associazione di donne giornaliste il cui intento è difendere la democrazia e la libertà di informazione – e da Pangea. Dal Forum sono emerse molte piste di lavoro
per sviluppare le 5 tematiche proposte dall’Agenda europea DPS-WPS Donne Pace e Sicurezza: conflitti ideologici, sociali, politici, religiosi, ambientali.
Disuguaglianze
“Le pandemie hanno sempre costretto gli esseri umani a rompere con il passato e a immaginare il loro mondo da capo. Questa non è diversa. È un portale, un cancello tra un mondo e un altro. Possiamo scegliere di attraversarlo trascinandoci dietro le carcasse del nostro odio, dei nostri pregiudizi, l’avidità, le nostre banche dati, le nostre vecchie idee, i nostri fiumi morti e cieli fumosi. Oppure possiamo attraversarlo con un bagaglio più leggero, pronti a immaginare un mondo diverso. E a lottare per averlo”. Ha scritto Arundhati Roy nell’aprile 2020.
Per un po’ ci siamo illuse e illusi che fosse possibile, poi il capitalismo si è rapidamente riorganizzato e ha scelto la guerra per ristabilire il suo ordine.
Gli effetti distorsivi della globalizzazione hanno prodotto disuguglianze, amplificate da pandemia e guerra. Intervenire per riequilibrare la distribuzionne della ricchezza è urgente. In Italia il 10% delle persone detiene il 50% della ricchezza. La torta è distribuita male. È urgente promuovere la giustizia sociale e ambientale.
Noi dell’Arci ne abbiamo parlato a Equa ad aprile, quando a Bergamo si è svolta la prima iniziativa in preparazione del congresso nazionale.
Le migrazioni rendono palese, anche a Como, l’inadeguatezza del modello economico liberista globale e pongono con urgenza l’indispensabilità del radicamento di nuove politiche sui diritti delle persone, sui diritti universali, sui diritti di tutti e di tutte.
Como, la città in cui ho scelto di vivere, città Messaggera di Pace, esponente di spicco degli Enti locali per la Pace,
dovrebbe scegliere un percorso che – partendo dalla Carta di Lampedusa dove sono sanciti i principi senza i quali verrebbe tradito il senso stesso del termine civiltà – a partire dall’esperienza sviluppata con l’attivismo dell’Arci, di Como senza frontiere, di cittadini e cittadine inizi ad affrontare il fenomeno migratorio, prendendo atto che non esiste alcuna emergenza, non c’è nulla di imprevisto o occasionale, straordinario o episodico, ma si tratta di trarre spunto dalle criticità da affrontare per rielaborare un modello più avanzato di convivenza di tutti e tutte e restare umani.
Dobbiamo salvarci, come diceva Albert Einstein, da quella malattia strana che colpisce i bianchi, ma fa fuori i neri. [Celeste Grossi, Arci, dall’intervento a Che il Mediterraneo sia il 25 giugno a Cantù]
Guarda tutti i video di Che il Mediterraneo sia il 25 giugno all’Arci Mirabello di Cantù.