Sergio Rebora

Arte/ A Rancate le opere di Valeria Pasta Morelli e delle pittrici tra Otto e Novecento

La nuova mostra della Pinacoteca Züst di Rancate, in Canton Ticino, affronta con le consuete attenzione e delicatezza un tema centrale per l’arte moderna, ovvero il rapporto tutt’altro che semplice e pacifico tra diffusione dei modelli comunicativi e la loro affermazione pubblica.

Ovvero: nella seconda metà dell’Ottocento, il “fare arte” comincia a uscire dai ristretti ambiti degli operatori professionisti o dei dilettanti delle classi più elevate; la diffusione della scolarizzazione e della cultura, l’affermazione sociale di nuovi ceti e di nuovi ambiti territoriali, la progressiva e sempre più rapida evoluzione dei modelli di comportamento provoca una nuova attenzione ai linguaggi artistici (o – se si preferisce – a diversi modelli di comunicazione, tendenzialmente più liberi e legati ai sentimenti). Non a caso, spesso, al centro di questa tendenza “popolare” stanno nuove figure sociali che proprio in questi decenni a cavallo dei due secoli acquisiscono una nuova consapevolezza. Sono molte donne a impegnarsi in questo nuovo sforzo di rappresentazione e di comunicazione: nuove scrittrici, nuove musiciste, nuove artiste. Ma i freni della società tradizionale sono ancora molto forti: solo raramente le loro opere riescono ad essere conosciute, più spesso restano in ambito familiare o personale, espressione di una promozione individuale e non ancora di un riconoscimento di genere.

È questo (detto in estrema sintesi) lo sfondo su cui si colloca la mostra dedicata dalla Pinacoteca Züst a Valeria Pasta Morelli (e ad altre pittrici del suo tempo) e intitolata Arte e diletto. Il diletto è appunto il ripiegamento su una dimensione privata di un’aspirazione pubblica, ma non bisogna commettere l’errore di ritenere che sia poco: il diletto è già una conquista, a fronte di tutto ciò che era imposto come un dovere (quando non una condanna).

Valeria Pasta è una delle poche ticinesi che nella seconda metà dell’Ottocento si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, grazie a una posizione sociale di tutto rispetto (proviene da una famiglia di Mendrisio ormai solidamente affermata; suo padre Carlo è medico e imprenditore, suo zio Bernardino pittore). Negli studi artistici rivela notevoli doti, ma il matrimonio con un alto funzionario dell’esercito italiano la riporta all’interno di un orizzonte familiare, a un ruolo di sposa e di madre che contempla l’arte solo come attività marginale, come “diletto”, appunto. Ciò non significa che le sue opere, cui continuerà ad applicarsi per tutta la vita, siano dilettantesche: per quanto non tutte dello stesso livello, mostrano indubbie qualità e alcune sono decisamente interessanti.

La mostra di Rancate, curata da Mariangela Agliati Ruggia, Stefania Bianchi e Sergio Rebora, propone questa vicenda personale di notevole significato sullo sfondo del contesto familiare (e territoriale) e su quello dell’ambiente culturale. L’esperienza di Valeria Pasta Morelli non fu infatti unica: non poche altre donne seguirono nello stesso periodo o nei decenni immediatamente seguenti parabole di vita e di interessi analoghe. Marie-Louise Audemars Manzoni, Giovanna Béha Castagnola, Adele Andreazzi, Olga Clericetti, Elisa Rusca, Antonietta Solari e Regina Conti sono nomi oggi quasi del tutto sconosciuti (ma qualcuna di loro guadagnò in passato una certa rinomanza), ma comunque espressione di una ricerca di espressione artistica e di affermazione sociale che provocò un progressivo mutamento nel ruolo e nell’immagine delle donne. E l’esposizione di Rancate è una testimonianza essenziale per il riconoscimento dell’importanza di questo mutamento, anche in aree “periferiche”, come il Canton Ticino tra Otto e Novecento (ma il discorso non sarebbe diverso se fatto sul Comasco o la Brianza).

Una nota ulteriore garantisce, poi, del ruolo non effimero di queste ricerche. Le opere di Valeria Pasta Morelli sono giunte in donazione alla Pinacoteca di Rancate (per volontà dell’erede dell’artista) proprio a seguito del lavoro di valorizzazione delle memorie locali svolto in tutti questi anni, con un’attenzione particolare a temi poco frequentati (come la storia delle donne).

Un esempio in più, se mai ce ne fosse bisogno, che la memoria di un territorio non è data una volta per tutte, ma va “costruita” con un lavoro continuo.

[Fabio Cani, ecoiformazioni]

Valeria Pasta Morelli, La famiglia Morelli

 

Due immagini dell’allestimento della mostra:

 

Arte e diletto.

Valeria Pasta Morelli (1858-1909) e le pittrici del suo tempo

a cura di Mariangela Agliati Ruggia, Stefania Bianchi, Sergio Rebora

Rancate (Mendrisio), Pinacoteca Züst

27 marzo – 26 agosto 2018

Orari: martedì-domenica 9-12, 14-17 (da marzo a giugno); 14-18 (luglio e agosto); lunedì chiuso

Ingresso: CHF/euro 10, ridotto CHF/euro 8

Info: 004191 8164791, http://www.ti.ch/zuest

Mostre/ La donna, le arti e la moda dell’Ottocento a Rancate

La Pinacoteca Züst di Rancate continua la sua esplorazione del mondo ottocentesco, aggiungendo, nell’indagine sulla figura femminile, all’approccio artistico anche la chiave interpretativa della moda. (altro…)

Fotografia/ Varese d’epoca, senza nostalgia

Varese valorizza la collezione civica di fotografie storiche con una piccola, esemplare mostra al Castello di Masnago, sede dei Musei Civici.

Poco più di cento fotografie d’epoca, esposte con eleganza e misura, evidenziano i cambiamenti della città e del territorio varesino negli ultimi centocinquant’anni (le immagini più antiche sono effettivamente datate al 1867), non solo e non tanto per ciò riguarda le modificazioni “fisiche” degli ambienti, quanto soprattutto per quel che attiene alla percezione. Scorrere queste vedute e questi ritratti (tutte le immagini sono esposte in originale) significa in effetti mettersi dalla parte di chi le ha riprese, ed avere la possibilità – per una volta – di guardare Varese come la percepivano alla fine dell’Ottocento o nei primi decenni del Novecento…

Non a caso la fotografia – scelta come promozione della mostra e copertina del volume pubblicato – scattata da Francesco Fidanza all’inizio della “via sacra” che porta al Sacro Monte esibisce, oltre ad alcuni astanti immortalati senza troppa posa, anche una bancarella e una rudimentale insegna pubblicitaria che ricorda l’apertura di una nuova osteria, talmente vicina alla cappella da sembrarne parte.

Oppure si possono considerare i molti scatti degli anni Trenta, evidentemente rivolti alla celebrazione dei fasti locali del regime (che rinnovò non poco l’asaetto di Varese), ma che nondimeno esprimono una precisa atmosfera.

L’esposizione, quindi, procede con notevole rigore scientifico, e anche con molto affetto, ma senza nostalgie di maniera, mostrando come si possa mettere a frutto un patrimonio di documentazione storica non esorbitante ma di notevole interesse. (Di passaggio, il cronista proveniente da Como non ha potuto fare a meno di chiedersi che cosa si potrebbe fare con i ben più imponenti archivi fotografici comaschi, che – nonostante i molti sforzi e i molti spunti di studio – giacciono tuttora quasi dimenticati.)

Insomma, la mostra varesina merita sicuramente una visita, approfittando anche dell’incantevole ambientazione nelle antiche sale del Castello e del parco circostante.

In occasione dell’esposizione, realizzata dai Musei Civici di Varese grazie anche alla collaborazione di Italia Nostra – Sezione di Varese e al contributo della Fondazione Comunitaria del Varesotto e del comitato culturale del Centro Comune di Ricerca di Ispra, è stato anche pubblicato un volume di grande formato, ben più di un catalogo: qui sono raccolte non solo le riproduzioni di moltissime immagini, ma anche saggi di approfondimento e un esauriente dizionario biografico di tutti i professionisti coinvolti nella produzione di fotografie a Varese dalla metà dell’Otto alla metà del Novecento.

Un modello a cui guardare, senza aspirare a inutili gigantismi.

[Fabio Cani, ecoinformazioni]

 

Immagini nel tempo, Fotografi e fotografie a Varese tra ‘800 e ‘900

a cura di Daniele Cassinelli, Sergio Rebora, Giorgio Sassi

Fino al 2 luglio 2017

Varese, Castello di Masnago, via Cola di Rienzo 42 (parcheggio in via Monguelfo)

Orari: martedì-domenica ore 9.30-12.30, 14-18; chiuso lunedì

Ingresso: 4 euro, ridotto 2 euro, scuole 1 euro.

Info: 0332.820409 facebook.com/castellodimasnago

Roma e le sue antiche fotografie in mostra a Ligornetto

MuseoVela_Lucediroma
Si chiude domenica 19 giugno la mostra Con la luce di Roma, allestita al Museo Vela di Ligornetto e dedicata a una ampia selezione di antiche fotografie della città eterna raccolte nella collezione di Marco Antonetto di Lugano.

 

L’esposizione riveste più di un motivo di interesse.

Intanto la vasta raccolta di immagini permette uno sguardo “alternativo” sulla straordinaria ricchezza di monumenti e di scorci di Roma; diverso perché precedente molte delle trasformazioni che hanno di fatto “omologato” il nostro approccio alla romanità e diverso perché, evidentemente, determinato da regole assai differenti dalle nostre. La stagione che vede l’affermazione della fotografia (dal 1840 al 1870) è, di fatto, un lungo periodo di ricerca, in cui, anche negli utilizzi più semplici della nuova tecnica (com’è certamente il suo uso a fini vedutistici), si tentano diverse strade, alcune in linea con la tradizione della pittura, altre invece decisamente nuove. È quindi di estremo interesse ricercare, in queste immagini di grande fascino, anche le tracce della sperimentazione artistica e tecnica e, alla fine, dell’affermazione di un modo “turistico” di guardare ai più famosi panorami dei sette colli.

Contemporaneamente le vedute, alcune di incredibile ricchezza di dettagli, permettono anche di verificare alcuni aspetti cui, in genere, si presta poca attenzione: i capolavori dell’antichità classica prima degli interventi novecenteschi di restauro, per esempio, oppure l’inserimento di elementi moderni nel bel mezzo della più antica storia (un solo suggerimento: cercate, se ne avete voglia, il particolare con il ponte moderno sospeso su funi per completare l’antico “ponte rotto”: uno squarcio di contemporaneità nel bel mezzo del pittoresco!).

Non di minor interesse la questione delle tecniche. Infatti, come dovrebbe essere ormai noto, invece che di “fotografia” bisognerebbe parlare, fin dal momento della sua “invenzione”, di “tante fotografie”: tra dagherrotipia (il procedimento di Daguerre) e calotipia (il procedimento di Fox Talbot), per esempio, non c’è quasi nulla in comune, nonostante che esse siano state messe a punto quasi contemporaneamente. Bene: la mostra di Ligornetto è anche l’occasione per verificare dal vivo queste tante differenze tecniche (e la saletta in cui sono messe in evidenza è un piccolo capolavoro di chiarezza).

Una mostra di grande godibilità, quindi, e al tempo stesso di grande profondità.

 

Domenica 19 giugno, alle 10.30, il finissage aggiunge una ciliegina sulla torta: la presentazione di un volume, fresco di stampa, dedicato alla storia della fotografia, questa volta a Genova. Curato da Elisabetta Papone e Sergio Rebora, il volume contribuisce in un modo ulteriormente diversificato alla conoscenza dell’origine e dell’affermazione della fotografia, approfondendo le vicende biografiche e professionali delle tante, tantissime persone che a Genova scelsero di Vivere d’immagini (come recita il titolo del volume). [Fabio Cani, ecoinformazioni]

MuseoVela-Lucediroma-catalogo

Il catalogo della mostra

 

MuesoVela-LucediRoma-CastelSantAngelo

James Anderson, Veduta del Tevere con Castel Sant’Angelo, una delle immagini in mostra.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: