Pochi al presidio antirazzista
Solo qualche decina di persone ha partecipato al presidio antirazzista che si è svolto al parcheggio dell’ippocastano vicino alla stazione di Como Borghi sabato 4 luglio dalle 15 con cibo bevande e musica organizzato dal Gruppo politico territoriale.
Poche persone al primo appuntamento in città organizzato dal Gruppo politico territoriale. Scarsa anche l’adesione all’iniziativa dei molti gruppi che a Como sono attivi contro il razzismo e la xenofobia. Il testo del volantino Solidarietà a tutti i migranti, contro sfruttamento e oppressione diffuso dagli organizzatori del presidio.
«Giovedì 2 luglio è stato definitivamente approvato il cosiddetto “pacchetto sicurezza”, l’ennesimo provvedimento discriminante volto a peggiorare la condizione di migliaia di uomini e donne, la cui vita è costantemente subordinata alla legge del profitto. In quanto categorie deboli e facili da colpire, dopo gli attacchi a lavoratori e studenti, ora i migranti vengono resi ancora più ricattabili. I governanti offrono così ai padroni carne da sfruttamento che non può permettersi di protestare o di ribellarsi, tanto è facile la delazione o la denuncia, tanto è alto il prezzo da pagare. Per essere sicuri che lo straniero si senta estraneo e sempre sotto attacco, vengono incentivate le forme di (in)giustizia sommaria dei cittadini, che possono organizzarsi in ronde e provvedere a portare da soli gli attacchi a chiunque non rientri nei loro canoni. Fino ad oggi la detenzione nei Cie (Centri di identificazione ed espulsione) poteva durare al massime 30+30 giorni, mentre il nuovo pacchetto sicurezza la protrae fino a 180 giorni. Questi sono un altro strumento nelle mani dello stato, strutture detentive dove vengono reclusi i cittadini stranieri sprovvisti di regolare titolo di soggiorno. Le “forze dell’ordine” presidiano lo spazio esterno di tali strutture e dovrebbero entrare nelle zone dove vivono i detenuti solo su richiesta degli enti gestori in casi eccezionali e di emergenza, ma di fatto spesso viene loro consentito l’ingresso per applicare la politica del “pugno duro”, con minacce e violenze, alle quali non seguono nemmeno le cure più basilari.. Riteniamo fondamentale ricordare come le inadeguate condizioni igenico-sanitarie, il sovraffollamento, le continue violenze e l’assenza di diritti all’interno di queste strutture hanno provocato un susseguirsi di rivolte da parte dei detenuti, sostenute anche dall’esterno con mobilitazioni ed azioni di solidarietà per i reclusi. D’ora in poi basterà il solo fatto di essere clandestino per commettere un reato. Da aggravante per gli altri crimini, ora chi non ha il permesso di soggiorno diventa già punibile con multe dai 5000 ai 10000 euro. Se, a livello nazionale, i CIE sono la massima espressione delle politiche repressive, razziste e discriminatorie, a livello locale negli ultimi mesi abbiamo invece assistito alla nascita di riprovevoli provvedimenti “anti-clandestini”, voluti da alcuni sindaci per incoraggiare i propri concittadini a segnalare la presenza di migranti irregolari. Pensiamo a Cantù, dov’è stato istituito un numero verde per denunciare clandestini, attività svolta anche dall’ufficio “di controllo di polizia giudiziaria” aperto pochi mesi fa a Turate. La loro funzione è quella di raccogliere le segnalazioni (prevalentemente anonime) dei cittadini e verificarle per poi far scattare verifiche e controlli nei confronti di quei migranti sospettati di essere irregolari. E: evidente che questi provvedimenti non sono casi isolati, ma fanno parte di quel contesto politico che negli ultimi tempi si sta delineando in tutto il Paese ( e in tutto l’occidente), un contesto incentrato sempre di più sull’intolleranza, sul razzismo, voluto da chi vuole creare divisioni tra gli sfruttati e mettere i poveri gli uni contro gli altri. Facendo leva sulla paura del diverso, viene messa in atto ogni giorno questa sequenza dì provvedimenti demagogici, da dare in pasto alla stampa (basti pensare alla militarizzazione di zone come via Milano alta e via Leoni o alla recente proposta di alcuni consiglieri comunali comaschi di vietare ai migranti di ritrovarsi nei parchi pubblici). Tornando sui piano nazionale, l’ultimo eclatante episodio di queste politiche risale a qualche giorno fa. Stiamo parlando del rimpatrio immediato dei 227 migranti provenienti dalla Libia e lì rispediti senza nemmeno aver toccato terra. L’inumana e inaccettabile decisione del governo italiano di rimpatriare forzatamente centinaia di persone fuggite dalla miseria, dall’oppressione e dalle torture è l’ennesima dimostrazione del clima di intolleranza e di razzismo che si sta creando in questo Paese. Non si tratta di più di fingere un interesse “obbligato” di fronte alle tragedie che colpiscono altri esseri umani, bensì di scegliere apertamente e consapevolmente di ignorare tali tragedie, in nome di una ripresa dell’economia meno dannosa possibile (per i ricchi, ovviamente). Poi, può anche succedere che Nabruka, dopo aver saputo di dover essere rimpatriata in Tunisia, si suicidi dentro il Cie di Ponte Galena, a Roma. Ma la decisione di una donna di togliersi la vita piuttosto che dover tornare nel suo Paese d’origine non interessa al governo dei potenti, disposto ad uccidere pur di avere qualche migrante in meno nel proprio territorio.
Ora più che mai ribadiamo la nostra solidarietà a tutti coloro che arrivano da qualunque parte del mondo sperando in una vita migliore, ma trovano intolleranza, razzismo, sfruttamento e reclusione».Solo qualche decina di persone ha partecipato al presidio antirazzista che si è svolto al parcheggio dell’ippocastano vicino alla stazione di Como Borghi sabato 4 luglio dalle 15 con cibo bevande e musica organizzato dal Gruppo politico territoriale.
Poche persone al primo appuntamento in città organizzato dal Gruppo politico territoriale. Scarsa anche l’adesione all’iniziativa dei molti gruppi che a Como sono attivi contro il razzismo e la xenofobia. Il testo del volantino Solidarietà a tutti i migranti, contro sfruttamento e oppressione diffuso dagli organizzatori del presidio.
«Giovedì 2 luglio è stato definitivamente approvato il cosiddetto “pacchetto sicurezza”, l’ennesimo provvedimento discriminante volto a peggiorare la condizione di migliaia di uomini e donne, la cui vita è costantemente subordinata alla legge del profitto. In quanto categorie deboli e facili da colpire, dopo gli attacchi a lavoratori e studenti, ora i migranti vengono resi ancora più ricattabili. I governanti offrono così ai padroni carne da sfruttamento che non può permettersi di protestare o di ribellarsi, tanto è facile la delazione o la denuncia, tanto è alto il prezzo da pagare. Per essere sicuri che lo straniero si senta estraneo e sempre sotto attacco, vengono incentivate le forme di (in)giustizia sommaria dei cittadini, che possono organizzarsi in ronde e provvedere a portare da soli gli attacchi a chiunque non rientri nei loro canoni. Fino ad oggi la detenzione nei Cie (Centri di identificazione ed espulsione) poteva durare al massime 30+30 giorni, mentre il nuovo pacchetto sicurezza la protrae fino a 180 giorni. Questi sono un altro strumento nelle mani dello stato, strutture detentive dove vengono reclusi i cittadini stranieri sprovvisti di regolare titolo di soggiorno. Le “forze dell’ordine” presidiano lo spazio esterno di tali strutture e dovrebbero entrare nelle zone dove vivono i detenuti solo su richiesta degli enti gestori in casi eccezionali e di emergenza, ma di fatto spesso viene loro consentito l’ingresso per applicare la politica del “pugno duro”, con minacce e violenze, alle quali non seguono nemmeno le cure più basilari.. Riteniamo fondamentale ricordare come le inadeguate condizioni igenico-sanitarie, il sovraffollamento, le continue violenze e l’assenza di diritti all’interno di queste strutture hanno provocato un susseguirsi di rivolte da parte dei detenuti, sostenute anche dall’esterno con mobilitazioni ed azioni di solidarietà per i reclusi. D’ora in poi basterà il solo fatto di essere clandestino per commettere un reato. Da aggravante per gli altri crimini, ora chi non ha il permesso di soggiorno diventa già punibile con multe dai 5000 ai 10000 euro. Se, a livello nazionale, i CIE sono la massima espressione delle politiche repressive, razziste e discriminatorie, a livello locale negli ultimi mesi abbiamo invece assistito alla nascita di riprovevoli provvedimenti “anti-clandestini”, voluti da alcuni sindaci per incoraggiare i propri concittadini a segnalare la presenza di migranti irregolari. Pensiamo a Cantù, dov’è stato istituito un numero verde per denunciare clandestini, attività svolta anche dall’ufficio “di controllo di polizia giudiziaria” aperto pochi mesi fa a Turate. La loro funzione è quella di raccogliere le segnalazioni (prevalentemente anonime) dei cittadini e verificarle per poi far scattare verifiche e controlli nei confronti di quei migranti sospettati di essere irregolari. E: evidente che questi provvedimenti non sono casi isolati, ma fanno parte di quel contesto politico che negli ultimi tempi si sta delineando in tutto il Paese ( e in tutto l’occidente), un contesto incentrato sempre di più sull’intolleranza, sul razzismo, voluto da chi vuole creare divisioni tra gli sfruttati e mettere i poveri gli uni contro gli altri. Facendo leva sulla paura del diverso, viene messa in atto ogni giorno questa sequenza dì provvedimenti demagogici, da dare in pasto alla stampa (basti pensare alla militarizzazione di zone come via Milano alta e via Leoni o alla recente proposta di alcuni consiglieri comunali comaschi di vietare ai migranti di ritrovarsi nei parchi pubblici). Tornando sui piano nazionale, l’ultimo eclatante episodio di queste politiche risale a qualche giorno fa. Stiamo parlando del rimpatrio immediato dei 227 migranti provenienti dalla Libia e lì rispediti senza nemmeno aver toccato terra. L’inumana e inaccettabile decisione del governo italiano di rimpatriare forzatamente centinaia di persone fuggite dalla miseria, dall’oppressione e dalle torture è l’ennesima dimostrazione del clima di intolleranza e di razzismo che si sta creando in questo Paese. Non si tratta di più di fingere un interesse “obbligato” di fronte alle tragedie che colpiscono altri esseri umani, bensì di scegliere apertamente e consapevolmente di ignorare tali tragedie, in nome di una ripresa dell’economia meno dannosa possibile (per i ricchi, ovviamente). Poi, può anche succedere che Nabruka, dopo aver saputo di dover essere rimpatriata in Tunisia, si suicidi dentro il Cie di Ponte Galena, a Roma. Ma la decisione di una donna di togliersi la vita piuttosto che dover tornare nel suo Paese d’origine non interessa al governo dei potenti, disposto ad uccidere pur di avere qualche migrante in meno nel proprio territorio.
Ora più che mai ribadiamo la nostra solidarietà a tutti coloro che arrivano da qualunque parte del mondo sperando in una vita migliore, ma trovano intolleranza, razzismo, sfruttamento e reclusione».

Poche persone al primo appuntamento in città organizzato dal Gruppo politico territoriale. Scarsa anche l’adesione all’iniziativa dei molti gruppi che a Como sono attivi contro il razzismo e la xenofobia. Il testo del volantino Solidarietà a tutti i migranti, contro sfruttamento e oppressione diffuso dagli organizzatori del presidio.
«Giovedì 2 luglio è stato definitivamente approvato il cosiddetto “pacchetto sicurezza”, l’ennesimo provvedimento discriminante volto a peggiorare la condizione di migliaia di uomini e donne, la cui vita è costantemente subordinata alla legge del profitto. In quanto categorie deboli e facili da colpire, dopo gli attacchi a lavoratori e studenti, ora i migranti vengono resi ancora più ricattabili. I governanti offrono così ai padroni carne da sfruttamento che non può permettersi di protestare o di ribellarsi, tanto è facile la delazione o la denuncia, tanto è alto il prezzo da pagare. Per essere sicuri che lo straniero si senta estraneo e sempre sotto attacco, vengono incentivate le forme di (in)giustizia sommaria dei cittadini, che possono organizzarsi in ronde e provvedere a portare da soli gli attacchi a chiunque non rientri nei loro canoni. Fino ad oggi la detenzione nei Cie (Centri di identificazione ed espulsione) poteva durare al massime 30+30 giorni, mentre il nuovo pacchetto sicurezza la protrae fino a 180 giorni. Questi sono un altro strumento nelle mani dello stato, strutture detentive dove vengono reclusi i cittadini stranieri sprovvisti di regolare titolo di soggiorno. Le “forze dell’ordine” presidiano lo spazio esterno di tali strutture e dovrebbero entrare nelle zone dove vivono i detenuti solo su richiesta degli enti gestori in casi eccezionali e di emergenza, ma di fatto spesso viene loro consentito l’ingresso per applicare la politica del “pugno duro”, con minacce e violenze, alle quali non seguono nemmeno le cure più basilari.. Riteniamo fondamentale ricordare come le inadeguate condizioni igenico-sanitarie, il sovraffollamento, le continue violenze e l’assenza di diritti all’interno di queste strutture hanno provocato un susseguirsi di rivolte da parte dei detenuti, sostenute anche dall’esterno con mobilitazioni ed azioni di solidarietà per i reclusi. D’ora in poi basterà il solo fatto di essere clandestino per commettere un reato. Da aggravante per gli altri crimini, ora chi non ha il permesso di soggiorno diventa già punibile con multe dai 5000 ai 10000 euro. Se, a livello nazionale, i CIE sono la massima espressione delle politiche repressive, razziste e discriminatorie, a livello locale negli ultimi mesi abbiamo invece assistito alla nascita di riprovevoli provvedimenti “anti-clandestini”, voluti da alcuni sindaci per incoraggiare i propri concittadini a segnalare la presenza di migranti irregolari. Pensiamo a Cantù, dov’è stato istituito un numero verde per denunciare clandestini, attività svolta anche dall’ufficio “di controllo di polizia giudiziaria” aperto pochi mesi fa a Turate. La loro funzione è quella di raccogliere le segnalazioni (prevalentemente anonime) dei cittadini e verificarle per poi far scattare verifiche e controlli nei confronti di quei migranti sospettati di essere irregolari. E: evidente che questi provvedimenti non sono casi isolati, ma fanno parte di quel contesto politico che negli ultimi tempi si sta delineando in tutto il Paese ( e in tutto l’occidente), un contesto incentrato sempre di più sull’intolleranza, sul razzismo, voluto da chi vuole creare divisioni tra gli sfruttati e mettere i poveri gli uni contro gli altri. Facendo leva sulla paura del diverso, viene messa in atto ogni giorno questa sequenza dì provvedimenti demagogici, da dare in pasto alla stampa (basti pensare alla militarizzazione di zone come via Milano alta e via Leoni o alla recente proposta di alcuni consiglieri comunali comaschi di vietare ai migranti di ritrovarsi nei parchi pubblici). Tornando sui piano nazionale, l’ultimo eclatante episodio di queste politiche risale a qualche giorno fa. Stiamo parlando del rimpatrio immediato dei 227 migranti provenienti dalla Libia e lì rispediti senza nemmeno aver toccato terra. L’inumana e inaccettabile decisione del governo italiano di rimpatriare forzatamente centinaia di persone fuggite dalla miseria, dall’oppressione e dalle torture è l’ennesima dimostrazione del clima di intolleranza e di razzismo che si sta creando in questo Paese. Non si tratta di più di fingere un interesse “obbligato” di fronte alle tragedie che colpiscono altri esseri umani, bensì di scegliere apertamente e consapevolmente di ignorare tali tragedie, in nome di una ripresa dell’economia meno dannosa possibile (per i ricchi, ovviamente). Poi, può anche succedere che Nabruka, dopo aver saputo di dover essere rimpatriata in Tunisia, si suicidi dentro il Cie di Ponte Galena, a Roma. Ma la decisione di una donna di togliersi la vita piuttosto che dover tornare nel suo Paese d’origine non interessa al governo dei potenti, disposto ad uccidere pur di avere qualche migrante in meno nel proprio territorio.
Ora più che mai ribadiamo la nostra solidarietà a tutti coloro che arrivano da qualunque parte del mondo sperando in una vita migliore, ma trovano intolleranza, razzismo, sfruttamento e reclusione».