Giorno: 19 Marzo 2010

Intervista a Nando Dalla Chiesa

La XV Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie si celebra a Milano sabato 20 marzo 2010.

«Il tema che porremo al centro della Giornata – spiegano gli organizzatori di Libera – sarà la dimensione finanziaria delle mafie. Troppo spesso si licenzia frettolosamente ancora oggi il problema mafie come qualcosa che riguarda solo alcune regioni del Sud Italia. Sappiamo per certo che non è così, che oggi le mafie investono in tutto il mondo e che nel Nord Italia ci sono importanti cellule di famigerati clan, che riciclano denaro sporco, investono capitali nell’edilizia e nel commercio, sono al centro del narcotraffico, sfruttano attraverso lavoro nero. La corruzione, oggi nuovamente a livelli altissimi come sottolineato dalla Corte dei Conti, è un fenomeno presente in misura crescente dove ci sono maggiori possibilità di business: è dunque il Nord tutto a doversi guardare da questi fenomeni di penetrazione di capitali illeciti».
Sull’argomento abbiamo intervistato Nando Dalla Chiesa, presidente onorario di Libera.
Il 20 marzo è la XV Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime di mafia: qual è il suo significato?
Questa è una giornata di grande valore morale nella storia del paese, è la giornata che ricorda tutte le vittime delle organizzazioni mafiose e questa memoria è impressa in tutta la storia d’Italia perché parte dalla fine dell’Ottocento e, per quel che riguarda la storia della repubblica, si va dai sindacalisti uccisi negli anni Quaranta in Sicilia fino ai magistrati, agli esponenti della società civile, ai giornalisti a cui si è cercato di tappare la bocca o di fermare la tastiera. Ci sono esponenti delle forze dell’ordine, politici e amministratori. Sono nomi che rimessi uno in fila all’altro, come accade solo in questa manifestazione, ricostruiscono la scia di sangue che percorre la storia della nostra democrazia che va ricordata per portare ad una maggiore responsabilità di chi sente fare quei nomi: per questo giornata della Memoria e anche dell’Impegno
Perché quest’anno proprio a Milano?
La manifestazione si svolge ogni anno in una città diversa, non è la prima volta che viene scelta una città del nord, ci sono già state Torino e Modena. Quest’anno Milano, però, ha un significato  particolare: la Lombardia e il suo capoluogo sono sotto attacco da parte delle organizzazioni mafiose, ma l’opinione pubblica e la classe dirigente milanese e lombarda sembrano non rendersene conto o non vogliono vederlo. Si tratta quindi di far tornare per un giorno Milano capitale morale del paese e pensare che da questa affermazione di responsabilità collettiva nasca una nuova capacità di tenere lontane le organizzazioni mafiose, in particola la ‘ndrangheta, dalla società dall’economia e dalle istituzioni lombarde.
Quali sono le attività a rischio mafia in Lombardia?
Sono tantissime, non più soltanto il gioco d’azzardo, le discoteche e i luoghi del divertimento, ma vanno dal ciclo del cemento allo smaltimento dei rifiuti tossici alla sanità. Si tratta di luoghi di investimento importanti che, fra l’altro, intrecciano professioni e bisogni sociali diffusi – basta pensare alla casa e alla salute – che per questo rischiano di trovare indirettamente delle cinture di consenso anche involontarie e in intenzionali, ma che poi pesano: bisogna fare presto!
Che responsabilità hanno avuto la classe politica e i partiti nello sviluppo della mafia al Nord, in territori non tradizionali e che ruolo dovrebbero avere per contrastarlo?
Dal punto di vista del “dovrebbero avere”, quello che dovrebbero fare è schierarsi come una falange contro le organizzazioni mafiose, difendere le città e i cittadini. Purtroppo non lo fanno a volte per calcoli di convenienza e di quieto vivere e anche per valutazioni superficiali; non c’è calcolo, c’è semplicemente inadeguatezza culturale e civile però un paese non può permettersi di fronte a questi avversari una classe dirigente così.
La domanda che spesso si fanno i cittadini comuni è: cosa posso fare io, cosa possiamo fare noi nella nostra quotidianità per combattere questo sistema che tende ad essere invisibile per proliferare?
Queste organizzazioni, segnatamente la ‘ndrangheta, sono state a lungo rimosse dalla coscienza collettiva e questo è stato il loro alleato principale: noi dobbiamo sconfiggere questo alleato. Si tratta di una guerra e noi possiamo battere il nemico cominciando a battere questo suo fortissimo alleato.
L’Italia è il paese in cui sono nate le organizzazioni mafiose, però quelle italiane non sono le uniche presenti sul nostro territorio: come mai anche organizzazioni straniere si sono insediate qui?
Sono arrivate qui perché abbiamo avuto fenomeni migratori repentini che sono stati utilizzati come maschera dalle organizzazioni malavitose e sono diventanti il terreno ideale per esercitare dei reati: primo tra tutti proprio il traffico di esseri umani per entrare in Italia. Inoltre il nostro è un paese nel quale la legalità è sempre incerta e dunque, vedendo quello che fanno le organizzazioni criminali italiane, si può a ragione ritenere che ci siano anche altri spazi se si riesce a rimanere sott’acqua e non farsi vedere troppo.
C’è una speranza nel futuro della lotta dell’antimafia?
La speranza c’è sempre dipende semplicemente dalle forze che si riescono a mettere in campo. Oggi più che mai bisogna rendere esplicito il problema e crearne consapevolezza. Questo si può fare ma richiede un grande sforzo di sensibilizzazione e di impegno civile per oltrepassare la barriera dell’indifferenza, dell’inerzia o dell’incapacità e superficialità dei partiti e dei mezzi di informazione di massa. [Tommaso Marelli, ecoinformazioni]

Flex – insecurity

Una quarantina di persone hanno partecipato, giovedì 18 marzo alla Cascina Masseè di Albate, all’incontro organizzato dall’Associazione per la sinistra di Como col docente universitario Stefano Sacchi, co-autore di una ponderosa ricerca, sviluppatasi nell’arco temporale di tre anni e sintetizzata nel libro Flex insecurity, perché in Italia la flessibilità diventa precarietà.

La serata è stata introdotta dal direttore della rivista Valori, Andrea di Stefano, partendo dalla constatazione che il mondo del lavoro è investito da fenomeni devastanti, che ancora non sono compresi pienamente, in quanto si realizzano dinamiche produttive del tutto nuove, sconosciute allo stesso sindacato. Un esempio viene da una recente ricerca commissionata dai sindacati del commercio della Brianza, che ha messo in evidenza un sistema di gestione degli spazi commerciali all’interno degli ipermercati, che porta come conseguenza una modifica delle forme contrattuali, funzionale al mantenimento dei margini di profitto e decisamente poco attenta ai diritti dei lavoratori.
Una situazione che non ha eguali in Europa e che è figlia di una deregulation spinta del sistema produttivo.
Proprio partendo da questa peculiarità italiana, Stefano Sacchi ha approfondito con un lungo intervento i temi della ricerca (vedi agenzia stampa di ieri) insistendo in modo particolare sull’aspetto dell’estensione dell’area della precarietà anche ai lavoratori a tempo indeterminato.
In sostanza, non appare corretta l’identificazione della precarietà con la flessibilità: i due concetti si intrecciano, all’interno di un mercato del lavoro nel quale le protezioni sociali sono comunque assai carenti per tutti, ed inesistenti per almeno 1.600.000 lavoratori.
Le scelte del governo disegnano infatti un welfare a macchia di leopardo, con largo utilizzo della cassa integrazione in deroga, senza previsione di un reddito minimo garantito (in Europa, solo Ungheria e Grecia fanno altrettanto!) e senza una rete di garanzie esigibili, quella che i ricercatori definiscono “pavimento di diritti”.
Quali alternative sono possibili? Un salario minimo uguale per tutti, derogabile in meglio dai contratti di lavoro, un sistema contributivo omogeneo per diversi tipi di contratto, e soprattutto una “indennità di terminazione” utile per scoraggiare la rotazione dei lavoratori su uno stesso posto.
Con quali risorse? Sacchi ha evidenziato, tra l’altro, lo spreco legato alle pensioni di invalidità civile erogate a soggetti abbienti: da un riordino in questo comparto, si potrebbero ricavare 7 miliardi da impiegare per le misure proposte.
Gli interventi dal pubblico hanno posto l’accento soprattutto sulla questione della formazione professionale – vista come passaggio fondamentale per far coincidere domanda ed offerta – e della tassazione delle rendite come strumento importante per reperire risorse da destinare alle protezioni sociali.
Tema, quest’ultimo, ripreso in conclusione da Di Stefano per evidenziarne la centralità, in quanto unica alternativa praticabile ai tagli della spesa pubblica, che vanno contrastati in quanto non farebbero altro che peggiorare le condizioni di flex-insecurity così ben evidenziata dalla ricerca. [Massimo Patrignani, ecoinformazioni]

Poetry Slam

Un successo la serata di Poetry Slam che si è svolta giovedì 18 marzo nella libreria di via Volta, dove si sono presentati diciotto concorrenti di tutte le età, dai 17 agli oltre 70 anni, che si sono  sfidati di fronte ai settanta presenti.

L’appuntamento fa parte della rassegna Poesia di voci – Invenzioni Letture Confronti Suoni organizzata da Università Popolare con La Casa della poesia di Como e NodoLibri. Lo slam-master Simone Savogin ha spiegato le regole ai partecipanti, ognuno dei quali aveva a disposizione tre minuti per leggere e recitare una o più poesie originali da lui composte, che venivano poi valutate da una giuria di cinque persone estratte a sorte dal pubblico.
Sono arrivati in finale Fabio Fusi, Maria Grazia Duval, Maddalena Frigerio, Alfonso Maria Petrosino e Marco Bin, giovane autore milanese che si è aggiudicato il premio della competizione. Il clima di gioia e rispetto che si è creato nelle tre ore di rime e versi ha davvero eletto la poesia come vera vincitrice della serata.

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