A Binago una buona notizia: il mondo si può cambiare
Sabato 8 maggio 2010, nel Cinema teatro Moderno dell’Oratorio San Giuseppe di Binago, si è svolto l’incontro con Ernesto Olivero, fondatore del Sermig (Servizio Missionario Giovani) e dell’Arsenale della Pace di Torino. Il tema era I poveri non ci lasceranno dormire («E ci manderanno all’inferno», aggiunge, serio, Olivero).La serata è stata organizzata dal Gruppo adolescenti e giovani della Parrocchia di Binago, che ha voluto offrire a tutti un’occasione per riflettere sul mondo silenzioso, spesso invisibile, delle vecchie e nuove povertà: dalla povertà di un senzatetto a quella di una gioventù senza ideali.
La serata si è svolta in due momenti fondamentali: prima l’incontro con Olivero, che ha raccontato la sua esperienza e si è reso disponibile a un confronto, una sorta di dibattito, sorto spontaneo nella platea. A seguire, la Cena dei popoli, dove “il mondo è stato invitato a tavola”: non si è trattato di gustare specialità etniche, ma di sperimentare l’iniquità nella distribuzione delle risorse nel nostro mondo. Un mondo che il fondatore del Sermig e i suoi giovani non hanno accettato, si sono messi insieme e hanno deciso di cambiarlo.
Le parole di Olivero – settant’anni, corporatura minuta, primo laico sposato ad aver fondato un ordine religioso, amico discreto di Giovanni Paolo II – sono disarmanti, come lo è la bontà, direbbero al Sermig: lo slogan, infatti, recita proprio così, «La bontà è disarmante». Olivero si esprime con semplicità, confessa di non essere un buon oratore, non ama parlare in pubblico, ammette che a scuola era stato bocciato per dieci volte! Senza falsa modestia, il padre del Sermig spiega che nella propria vita non ha mai fatto nulla di straordinario. Afferma di essere sempre stato messo sulla strada da scegliere, di essere sempre stato guidato: dalla vita, dagli incontri, da Dio.
Il relatore precisa di trovarsi al di là di ogni ideologia e di ogni corrente intellettuale: l’ordine da lui fondato è fatto semplicemente di cristiani e il cristiano dialoga con tutti, senza confini e senza propaganda.
Ripercorre poi, brevemente, la storia del Sermig: dal gruppo giovani missionario, sorto nel 1964 in supporto al Servizio missionario diocesano, fino al miracolo dell’Arsenale, antica fabbrica di armi trasformata in casa di accoglienza, Pace e speranza, a partire dal 1983. Un cammino umile e straordinario, che porta oggi la Fraternità del Sermig ad avere 2800 interventi e progetti di collaborazione e sviluppo in 89 Paesi nei cinque continenti. I numeri del Sermig sono impressionanti, ma Olivero ne riferisce con pacatezza e modestia, quasi sotto voce. Non parla di grandi successi o di decisioni epocali: parla sempre della mano di Dio, dell’istinto di Dio, che agisce in noi.
“Pace” e “speranza”, appunto, sono le parole chiave del Sermig. Si può aggiungere “intelligenza”: Olivero insiste sulla necessità di vedere il mondo così com’è, con 30.000 morti di fame ogni giorno, e sulla necessità di vedere questo mondo con gli occhi di Dio, per cui questi 30.000 morti sono fratelli di ognuno di noi. Sono affare nostro. L’atto del vedere ci interroga e ci provoca: così è accaduto al relatore, impiegato di banca, sposato con Maria, tre figli. Un giorno un ragazzo extracomunitario gli chiede, col dito puntato: «Ma tu dove dormi stasera?». Quella sera Olivero non torna a casa, Dorme alla Stazione di Torino, vede l’inferno. La sua vita cambia: decide che non delegherà più tutto agli altri, capisce che i poveri sono un problema di ognuno di noi, che «il cristiano è uno che si fa gli affari degli altri». Questo prova – spiega – che la vita cambia lentamente, senza fare nulla di eccezionale, senza grandi slanci di emotività. L’unica cosa decisiva è indossare «gli occhiali di Dio», cominciare a vedere.
Ecco la realtà che la Cena dei popoli ci mette davanti agli occhi. I dati sulla povertà che spesso scorrono monotoni (30.000 morti di fame ogni giorno nel mondo; 89 % nazioni povere contro 11 per cento ricche; 80 per cento di risorse in mano al 20 per cento della popolazione e 80 per cento della popolazione con il 20 per cento delle risorse) improvvisamente si materializzano: ciascuno estrae da un sacchetto la bandiera di un paese. I pochi fortunati si siedono a una tavola ricca, abbondantemente vestita e colma di ogni bene. La massa degli sfortunati siede a terra, con un cucchiaio di riso nel piatto. Qualcuno sorride, ma tutti sappiamo che non è un gioco: è la realtà vera. Sappiamo che dovremmo pensare: Olivero ci ha appena ripetuto che «Gesù è logico, Gesù sta in piedi, non è una bella favola»; ci ha ripetuto che «il cristiano può sapere, può vedere, può conoscere, con gli occhi del cuore, se lo vuole». Non ci sono scusanti.
Nel salone dell’oratorio di Binago si percepiscono sgomento, imbarazzo, sorpresa, forse rabbia. Si tocca con mano l’assurdità di un’ingiustizia così enorme: il cibo per i ricchi è talmente abbondante che bisogna gettarlo. Stefano, sette anni, ha fame. Sono ormai le 20.30. Ma per una sera non è più binaghese: ha pescato il Camerun. Suo padre, Mario, il Burundi. Non può sfamarlo. Si sente impotente. L’istinto è quello di rubare qualcosa dalla tavola sovrabbondante dei ricchi, che non sanno che farsene di tanto cibo. Qualcuno, pietoso, ne cala un poco dalla tavola.
Elena, regista e guida in questa cena, ci invita al silenzio, a immedesimarci nella nuova situazione di vita, a osservare e “registrare” le diverse reazioni. Dopo il pasto, sonda le riflessioni e i pensieri che sono sorti, così diversi e forti in questa evidenza concreta, reale. Vera.
Veniamo poi ricondotti tutti insieme in Italia: come viviamo questa assurda ingiustizia? Come possiamo viverla? Qualcuno suggerisce uno stile di vita più sobrio, qualcuno ribatte che ciò non soccorre comunque chi è povero, spesso lontano. Elena parla, però, di «allenamento». L’allenamento alla sobrietà, nelle piccole cose quotidiane, è un allenamento che impercettibilmente ci cambia, ci rende nuovi nel poco come nel grande, se si presenta l’occasione.
È un allenamento a mettere a disposizione, o meglio a “restituire”, ciò che abbiamo ricevuto per pura fortuna, perché quando siamo nati, per caso, senza alcun merito, abbiamo “pescato l’Italia”. [Elisabetta Coltro, per ecoinformazioni]
Info: www.sermig.org; www.mondialedeigiovani.org; www.giovanipace.org.