Carovana antimafie il 9 aprile a Cantù

Sabato 9 aprile dalle 19 all’Arci Mirabello in via Tiziano, 5 Cantù Pizzata della legalità a sostegno di Carovana Antimafie con prodotti della cooperativa sociale Lavono e non solo pizza [bevanda e caffè 10€ alle 22, nella saletta al piano superiore, proiezione del film Un eroe borghese di Michele Placido la prenotazione è obbligatoria: 031264921 – como@arci.it]. Il resoconto della prima tappa della Carovana a Como il 5 aprile.Il 5 aprile scorso la Carovana Antimafia è arrivata a Como e ha incontrato gli studenti delle scuole superiori della provincia. Dopo una breve introduzione di Enzo D’Antuono dell’Arci Como, una delle associazioni organizzatrici della manifestazione, è stato proiettato il film Un eroe borghese (1995), diretto da Michele Placido e tratto dal romanzo omonimo di Corrado Stajano.

 Nella Milano degli anni Settanta, sconvolta dal terrorismo, l’avvocato Giorgio Ambrosoli (Fabrizio Bentivoglio) viene nominato commissario liquidatore delle banche di Michele Sindona potente e discusso banchiere siciliano. Negli studi milanesi di Sindona, mentre questi è negli Stati Uniti, sotto gli sguardi sospettosi dei dipendenti, Ambrosoli comincia ad indagare sulle attività bancarie internazionali del banchiere. Emergono, immediatamente, forti irregolarità e l’avvocato subisce le prime minacce ed intimidazioni. Aiutato dal maresciallo della Guardia di Finanza Silvio Novembre (Michele Placido), Ambrosoli prosegue le indagini con coraggio e determinazione, nella più completa solitudine, consapevole del rischio a cui va incontro. Nei loro rapporti Ambrosoli e Silvio Novembre evidenziano come negli affari illegali di Sindona siano coinvolti il banchiere milanese Roberto Calvi, l’arcivescovo americano Paul Marcinkus a capo della banca vaticana Ior, e molti esponenti di spicco delle istituzioni e dei partiti. Sindona, a New York, non riuscendo a fermare l’azione dell’integerrimo avvocato con le lusinghe, assolda il killer specializzato William Aricò per ucciderlo. Cosa che avviene l’11 luglio del 1979 quando Aricò ammazza Giorgio Ambrosoli sotto casa a colpi di pistola. Il film si conclude con la famiglia di Ambrosoli, Silvio Novembre e alcune persone riunite il giorno del funerale sul luogo del delitto, cerimonia a cui non parteciperà nessun rappresentante dello Stato tranne il governatore della Banca d’Italia, Paolo Baffi.

Alla proiezione del film a fatto seguito un’intensa lettura del monologo di Roberto Saviano pronunciato nella seconda puntata del programma televisivo di Rai Tre, Vieni via con Me, (poi pubblicato nell’omonimo libro), nella quale lo scrittore casertano ha raccontato la leggenda di Osso, Mastrosso e Carcagnosso; i tre cavalieri spagnoli, appartenuti ad una associazione cavalleresca fondata a Toledo nel 1412, che avrebbero importato nel Mezzogiorno d’Italia le regole ed i metodi e le regole sociali della Garduna, unica antenata delle tre organizzazioni criminali italiane, la Mafia in Sicilia, la Camorra in Campania e la ‘Ndrangheta in Calabria.

Il primo intervento della mattinata è stato quello di Massimo Brugnoli, giornalista esperto di mafie al nord. Brugnoli ha iniziato il suo intervento raccontando un episodio accaduto qualche giorno fa, quando, invitato da un liceo comasco, uno studente, come risposta alla sua domanda se il fenomeno della ‘ndrangheta riguardasse solo le regioni del nord, ha espresso l’opinione che questa era una “stronzata pazzesca” dimostrando più lungimiranza di alcuni uomini dello stato. Il 21 gennaio 2010, per esempio, il prefetto di Milano Gian Valerio Lombardi, davanti alla commissione antimafia, dichiara, «A Milano e in Lombardia la mafia non esiste. Sono presenti singole famiglie». Molti episodi smentiscono questa affermazione. Negli anni Novanta, a Lomazzo, paese in cui abita lo stesso Brugnoli, vengono sequestrate delle ville ai boss della ‘ndrangheta Pulvirenti. Mario Portauova, Giampiero Rossi e Franco Stefanoni nel loro libro Mafia a Milano. Sessant’anni di affari e delitti, (introduzione di Nando dalla Chiesa. Melampo Editore 2011) dimostrano che i pionieri della ‘ndrangheta e di Cosa nostra arrivano già negli anni Cinquanta e a questi fanno seguito gli uomini della camorra e della Sacra corona unita. Inizia una lunga stagione criminale, quella dei sequestri di persona, della finanza nera di Sindona e Calvi, dell’arresto di Liggio, dei colletti bianchi del narcotraffico, dei quartieri di periferia controllati e militarizzati. Fino ai grandi processi degli anni Novanta, conclusi con la condanna di centinaia di boss e soldati ormai naturalizzati nel cuore del nord. Dal 2000 in avanti, le cosche dettano legge nei cantieri, accumulano enormi patrimoni immobiliari, guidano holding familiari. Complice il silenzio che li circonda, i clan trapiantati a Milano e dintorni si sono riorganizzati e rafforzati. Per dare l’assalto all’economia e alla politica.

Nel comasco vi sono state inchieste molto importanti sull’ndrangheta come quella denominata Wall Street, condotta dal sostituto procuratore milanese Armando Spataro. E’ dagli atti di questa operazione che emerge la figura e l’operato del calabrese Franco Coco Trovato, divenuto uno dei boss del narcotraffico e noto anche per la ferocia con cui elimina gli avversari. Coco agisce da padrone incontrastato in un’ampia zona che va dalla Comasina fino a Lecco, passando per Como, dedicandosi sia ad attività illecite, come il narcotraffico, sia ad attività lecite divenendo proprietario di una catena di ristoranti e pizzerie. Proprio come imprenditore nel campo della ristorazione viene premiato dai commercianti di Lecco con l’onoreficenza della Croce di Betlemme.

Nell’ottobre del 1992 viene finalmente arrestato e condannato a quattro ergastoli. Nell’operazione vengono sequestrati beni del valore di 28 miliardi lire. La vicenda di Coco Trovato e della sua onoreficenza è l’esempio del fatto che il tessuto sociale ed economico del nord mostra scarsi anticorpi rispetto alla criminalità organizzata. La stessa permeabilità viene dimostrata da un episodio raccontato nel libro Metastasi di Claudio Antonelli e Gialuigi Nuzzi (Chiarelettere,2011). Giuseppe Di Bella, ora, collaboratore di giustizia, per decenni consigliere di fiducia di Franco Coco Trovato, racconta che, quando si presenta all’esame per l’iscrizione al REC, alla Camera di Commercio di Como, può permettersi di superare l’esame senza aver studiato e facendo scena muta grazie alla complicità degli esaminatori. Solo nel marzo 2011 la commissione antimafia si esprime ufficialmente ammettendo che è in corso il fenomeno della colonizzazione della Lombardia da parte dell’ndrangheta. Il violento e tragico episodio di Lea Garofano lo dimostra ampiamente. Lea Garofano, collaboratrice di giustizia a partire dal 2002, denuncia alcuni affiliati alle cosche della ‘ndrangheta di Petilia Policastro (Crotone), ma nel febbraio del 2006 il programma di protezione le viene revocato, permettendo in questo modo ai suoi sicari, nel novembre del 2009, di rapirla, torturala, ucciderla e, infine, scioglierla in 50 litri di acido in un terreno a San Fruttuoso, vicino Monza.

Brugnoli sottolinea il fatto che, purtroppo non sempre le leggi risultano adeguate per combattere la mafia: sono infatti spesso lacunose ed incoerenti. Due gli esempi: nel codice penale italiano manca il reato di autoriciclaggio; la legge 416 ter, che punisce il voto di scambio, lo fa solo quando vi è trasferimento di denaro ma non quando la contropartita costa in appalti, aggiustamento di processi e altri crimini.

Il giudice Scarpinato aveva proposto al Parlamento di formulare la legge sul voto di scambio in modo più completo utilizzando la formula “denaro o altre utilità”; il parlamento, però, incomprensibilmente, ha adottato solo il trasferimento di soldi.  Nel libro Il ritorno del Principe scritto con Saverio Lodato per Chiarelettere, il giudice Scarpinato rivela un retroscena inquietante: un parlamentare gli confida che, volutamente, è stata smussata la formula per salvare la metà dei parlamentari eletti al sud che, in caso contrario, sarebbero stati inquisiti.

 Nel secondo intervento, Davide Gentili, consigliere comunale di Milano, ha evidenziato il ruolo che devono giocare politica ed istituzioni nella lotta alla criminalità organizzata, soprattutto al nord. L’insegnamento che Ambrosoli ha lasciato ai figli e a tutti noi è che non si può essere liberi se si ha paura. Come nel caso di Ambrosoli, molti, nel quotidiano, facendo semplicemente il proprio dovere senza  cercare alibi, contrastano le mafie con esiti positivi e meno tragici. Molti, però, non sono così attenti e sensibili nei confronti della criminalità organizzata. Amministratori pubblici, politici, associazioni di imprenditori e di categoria tendono a non vedere o a minimizzare per connivenza o solo per superficialità e quieto vivere.

L’episodio del summit di boss dell’ndràngheta nel circolo Arci Falcone e Borsellino di Paterno Dugnano, filmato dalle forze dell’ordine nell’ambito dell’inchiesta Infinito, condotta da Ilda Boccassini nel 2010, palesa quanta superficialità e ignoranza vi sia nella società civile nei confronti della penetrazione della mafia al nord. Arturo Baldassarro, il gestore del circolo, non si pone domande sulla natura della riunione: organizza le tavole a ferro di cavallo, assiste all’arrivo dei boss e delle loro guardie del corpo, permette l’oscuramento dei vetri con dei manifesti e getta perfino l’anduia in padella per condire la pasta.

La lotta alla mafia, però, non può essere questione solo per addetti ai lavori, magistrati e forze di polizia, ma è questione di tutti, come ben ha sottolineato Mario Draghi, governatore della banca d’Italia: ancora poche sono le segnalazioni di irregolarità denunciate dagli ordini di categoria e professionali.

Scarse competenze, superficialità, omertà, paura non sono reati che possono essere perseguiti dal codice penale, ma, per quanto riguarda la classe politica ed economica, costituiscono omissioni inaccettabili.

Per far fronte all’infiltrazione mafiosa nella classe politica non si può aspettare il rinvio a giudizio o la condanna ma una decisa azione preventiva che miri alla trasparenza e all’obiettivo di svolgere l’attività pubblica con onore. L’Expò è un’occasione importante ed imprendibile per la mafia: ciascuno deve fare la sua parte.

L’ultimo intervento della mattinata è stato quello di Valentina Laterza, responsabile dei campi di lavoro estivi dell’Arci. Questi campi hanno come obiettivo quello di sensibilizzare i giovani intorno ai temi della legalità e della lotta alla mafia attraverso esperienze di lavoro e di formazione. I campi vengono organizzati intorno ai beni confiscati alla mafia grazie alla Legge Pio La Torre. Il primo campo organizzato è stato quello di Corleone a cui si sono aggiunti via via quelli di Canicattì in Sicilia (cooperativa sociale Lavoro e Non solo), di Melito Porto Salvo in Calabria (Consorzio Terre Del Sole), di Masagne in Puglia (Cooperativa Terre di Puglia – Libera Terra) ed altri ancora sparsi in tutto o quasi il territorio italiano. Nel 2011 verranno realizzati 19 campi di antimafia sociale, esperienze di quasi due settimane, che prevedono la mattina lavoro agricolo nei terreni, il pomeriggio attività di formazione, incontri e visite a luoghi simbolo dell’antimafie. L’età minima per partecipare ai campi è pari a 16 anni. Si tratta di una forte esperienza di cittadinanza attiva, di diffusione della cultura di giustizia sociale e del senso civico che Arci considera strumenti generazioni. L’esistenza di Cooperative e Consorzi che ospitano i giovani volontari è un forte segnale che, anche in quei luoghi un tempo sottomessi al potere mafioso, è possibile ricostruire una realtà economica e sociale fondata sulla legalità e il rispetto della persona, L’impegno ed il protagonismo dei volontari alle attività di animazione territoriale è fondamentale per il potenziamento delle relazioni e della rete sul territorio. Per poter far parte dei campi di lavoro e conoscenza in Italia è obbligatorio partecipare agli incontri di formazione preparati e organizzati dall’Arci. [Patrizia Di Giuseppe, ecoinformazioni]

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