
Gli affreschi del Trecento a Como
Cittadini curiosi, esperti e anche qualche giovane studente si sono presentati 3 giugno, 2016 alla Pinacoteca Civica di Como in occasione della conferenza tenuta da Alberto Rovi, storico dell’arte e già docente del liceo Volta di Como. La conferenza è il primo di una serie di incontri culturali abbracciati dal progetto Open day romanico: 5 weekend nel medioevo lariano.
Il titolo di questo progetto da sé desta l’attenzione del lettore: si parla di un “open day” (espressione inglese ormai entrata nel gergo quotidiano), ma viene anche utilizzata la parola “romanico” che porta con sé tutto il sapore del passato.
È Giovanni Vanossi consigliere della Provincia di Como delegato alle questioni della cultura e del turismo a dare un chiarimento al riguardo, spiegando a un attento pubblico di una trentina di persone che l’obiettivo del progetto culturale è stroncare l’idea che comunemente si ha del Medioevo come secolo “buio”. La volontà è quella di valorizzare i beni culturali del territorio, rendendo fruibili e visitabili anche siti normalmente chiusi al pubblico. Non solo, come subito si nota, il volantino dell’iniziativa si presenta in un tripudio di colori: si va alla ricerca dei colori del Medioevo, per scoprire quello che non ci saremmo mai aspettati da un periodo storico ancora poco noto, per riscoprire i legami che ancora ci stringono al passato.
Alberto Rovi affronta anche un’altra contraddizione: perché parlare di affreschi del Trecento nell’ambito di un programma sul tema del Romanico?
Il professore spiega che l’architettura delle principali chiese storiche di Como è romanica, ma sono proprio gli affreschi, per l’appunto trecenteschi, a valorizzare e vivacizzare la loro struttura.
Il professor Rovi invita quindi il pubblico a compiere un viaggio che gira intorno alla città di Como e torna indietro nel tempo. Si parte da Sant’Abbondio e dai suoi affreschi che con i colori accesi richiamano la Gerusalemme celeste, citata e descritta dal relatore riprendendo le parole dell’Apocalisse.
Purtroppo ciò che costituisce il fulcro della conferenza, appunto i colori del Medioevo, si rivela in parte perduto nel corso dei secoli: «il colore è caduto », spiega Alberto Rovi, mentre proietta immagini di affreschi la cui bellezza è un po’ sbiadita. Quello che ci rimane sono fondi scuri su cui spiccano le figure delle persone. Ma non era tutto così semplice. Gli artisti del ‘300 prima depositavano sulla parete un pigmento violaceo o morellone e solo in seguito sopra di esso stendevano a secco il cobalto del cielo, che col passare del tempo è poi caduto, e lo stesso avveniva per le altre figure per le quali invece si utilizzava un fondo rosso.
Ciò che emerge dall’analisi artistica di questi affreschi è la loro peculiarità di non rappresentare mai scene di miracoli della vita di Gesù, quanto più della sua infanzia e alla sua passione. Proprio su quest’ultima categoria di affreschi si concentra l’attenzione del relatore che sottolinea «un aspetto mai trattato prima». Si tratta dell’affresco rappresentante la deposizione di Cristo: sopra di esso è possibile vedere una finestra decorata secondo il motivo di foglie d’acanto che escono da un vaso, fortemente presente nella decorazione dell’Ara Pacis augustea. Così, citando gli studi di Giulia Caneva, docente di botanica e scienze biologiche presso l’Università degli Studi di Roma, Alberto Rovi fa notare come questo motivo di fiori richiami all’idea della nascita di un nuovo regno di pace nell’altare romano e all’idea della resurrezione nella passione di Cristo. [Il codice botanico di Augusto. Ara Pacis: parlare al popolo attraverso le immagini della natura, Giulia Caneva]
Il viaggio ci porta verso altre zone della città, in visita, attraverso le immagini, alle chiese dei Santi Cosma e Damiano, di San Fedele, di Santa Margherita, Sant’Orsola, Sant’Agostino, San Giacomo e al Broletto. Caratteristica ricorrente di questi affreschi è il continuo rimando alle opere di Giotto e di altri artisti del tempo.
Ogni chiesa inoltre porta con sé un bagaglio tutto personale di messaggi e simbolismi, per molto tempo rimasti muti sotto la sbiadita patina del colore rovinato.
Mano a mano che le foto vengono proiettate ci si rende conto di quanto a Como ci sia ancora da scoprire e da riscoprire, di quanti simboli devono ancora essere reinterpretati, di quanti messaggi siano ancora nascosti nelle immagini e nei colori del passato.
Quello che fortemente emerge dalla conferenza è che quotidianamente tutti noi siamo immersi in una rete di storia e arte che si intreccia in continuazione, lanciandosi richiami di chiesa in chiesa, di affresco in affresco. Ma i riferimenti non si fermano al territorio comasco, dove ad esempio troviamo le opere dello stesso maestro tanto a Sant’Orsola quanto a Santa Margherita. L’arte ci permette di proseguire il nostro viaggio fino all’Assisi di Giotto, al maestro di Campione d’Italia e così via, su e giù per la penisola. Non c’è angolo della città che resti fuori da questo intreccio di cultura e arte. E soprattutto non c’è cittadino che non debba sentirsi investito della responsabilità di riportare alla luce questi reperti del passato che tutt’oggi non smettono di parlarci. [Martina Toppi per ecoinformazioni]