Il paesaggio costruito e fotografato
Nello spazio di San Pietro in Atrio a Como, una interessante mostra su “uomo” e “paesaggio” nella fotografia contemporanea prova a fare il punto tra le tante possibili opzioni di uno dei temi più indagati della storia dell’arte, non solo occidentale.
L’uomo nel paesaggio vuol dire tutto, evidentemente. E quindi l’aspetto più stimolante dell’esposizione consiste proprio nella verifica delle scelte, inevitabili nel presentare una forzata selezione di immagini.
Diciamo subito che un aspetto decisamente inconsueto è nel confronto a distanza tra il contesto locale e quello internazionale, in particolare cinese. Si ripete sempre che è in quella direzione che bisogna guardare per vedere il futuro, anche dell’arte, ma poi – troppo spesso – ci si rinchiude nel giro del risaputo. Viceversa in questo caso, grazie anche alla collaborazione di collezionisti e gallerie, ci si trova di fronte a uno spaccato di atteggiamenti diversi (di volta in volta alternativi o complementari). Non c’è bisogno di risalire alle rispettive filosofie tradizionali per cogliere una profonda differenza tra il modo di concepire il “paesaggio”, ma ancora prima l’“immagine”, nei due orizzonti culturali. (Di passaggio: bisognerebbe anche riflettere a fondo sui due termini del titolo. Se sul “paesaggio”, parola dal contenuto assai problematico (e forse anche ambiguo) e molto discusso proprio in ambito storico-artistico, il testo di Roberto Borghi nel volume parallelo alla mostra avanza tutta una serie di ipotesi – anche se si potrebbe essere più radicali e discutere perché, alla fine dei discorsi, si torna sempre lì, al paesaggio e non ad altri concetti e verificare a fondo se il termine si adatta davvero alle immagini presentate –, su quell’“uomo” si tace del tutto, mentre a mio modestissimo avviso bisognerebbe, all’inizio del terzo millennio, porsi il problema di declinare in modo più rispettoso dei generi, e quindi utilizzarlo con maggiore cautela per tutti quei portati idealistici che sottende.)
C’è poi da sottolineare che nel confronto le fotografie “comasche” non sfigurano affatto. Distribuite su un arco di tempo piuttosto ampio (si va da un’immagine di Gin Angri del 1992, a quella di Enrico Cano del 2013, a quella di Andrea Butti del 2014, passando per tutte le altre), presentano visuali e sensibilità molto particolari e soprattutto evidenziano un’alta qualità comunicativa. (Anche in questo caso una nota di passaggio: del tutto casualmente mi è capitato di passare il giorno dopo l’inaugurazione in un luogo ritratto da una delle fotografie di Luciana Gilardoni in mostra – una delle mie preferite, lo dico esplicitamente – e di misurare la complessa relazione tra la realtà e la sua rappresentazione; quello era il luogo – una scaletta a lago in quel di Blevio – e quello era il graffito ritratto, ma lo sguardo era assolutamente originale.)
La mostra – pur di dimensioni contenute – è capace di tanti stimoli e riverberi, e merita quindi una visita attenta a tutte le immagini presentate (assai di più di quelle qui citate).
Un’ultima nota. L’esposizione doveva originariamente svolgersi a luglio in concomitanza con il Lake Como Film Festival, ma non si è poi potuta tenere per difficoltà logistiche. Allora venne realizzato sono il volumetto di accompagnamento, che oggi non corrisponde più alla realtà dell’allestimento a causa di alcuni cambiamenti nella disponibilità delle immagini. Per alcuni versi è un peccato, perché manca la possibilità di avere una memoria precisa di quello che si vede, ma per altri versi è l’occasione di vedere ancora qualche cosa in più.
È un buon esempio di come si possa lavorare con continuità su un’idea di fondo.
[Fabio Cani, ecoinformazioni]
Gin Angri, Pubblicità Armani in corso Garibaldi a Milano, 1992.
Li Wei, Li Wei falls to Lake Como, 2004.
L’uomo nel paesaggio
a cura di Carlo Pozzoni Fotoeditore
con il sostegno di Comune di Como
in collaborazione con Lake Como Film Festival
San Pietro in Atrio, via Odescalchi, Como
fino al 22 novembre
martedì-domenica 10-19
ingresso libero