Liberté

A morti ra mafia

Più di cento persone alla sessione pomeridiana di sabato 13 dicembre dedicata a Le donne e la loro lotta contro le mafie  del  Convegno Liberté, fraternité, legalità del Coordinamento comasco per la Pace allo Spazio Gloria del Circolo Arci Xanadù. La giornata si è conclusa con la visone del film Il divo presentato da Massimo Brugnoli. La posesia di Micaela Buscemi sukka morte della mafia.

più di cento persone hanno partecipato alla sessione pomeridiana del secondo giorno del Convegno del Coordinamento comasco per la Pace allo Spazio Gloria dell’Arci Xanadù, l’incontro pubblico dopo la parte dedicata ale scuole, con Enza Rando, Michele Buscemi e Nando Dalla Chiesa, introdotti e coordinati da Celeste Grossi, vicepresidente del Coordinamento.
Un pomeriggio sulla testimonianza dell’esperienza antimafia e la legalità. “Io ho iniziato ad insegnare a Casal di Principe – ha spiegato Grossi, spiegando il perché dell’importanza di una simile iniziativa nel territorio lariano – e sono arrivata a Como nel 1978, pensavo che qui le mafie non ci fossero. Non erano quelle che avevo conosciuto ma c’erano, anche se agivano in maniera differente”. Infatti i recenti fatti di cronaca possono esserne testimonianza, come le bombe nel lecchese e alcuni sindaci sotto scorta nell’hinterland milanese.
Nando Dalla Chiesa ha affrontato l’argomento dell’incontro Le donne e la loro lotta contro la mafia facendo anche confronti con l’esperienza femminile durante la Resistenza. Un’esperienza per lui molto dissimile dato che “le donne non devono lottare solo contro la mafia, ma anche l’universo che l’affianca”, un ambiente ostile, si tratta quindi di “una ribellione di donne sole, che trae la sua forza da ciò che le caratterizza più nel profondo, l’amore verso i fratelli, mariti uccisi”, mentre nel movimento di Liberazione erano inserite in un movimento con una vasta solidarietà.
“Noi siamo abituati – ha voluto precisare – a vedere i movimenti come qualcosa di collettivo. Il movimento di liberazione dalla mafia è delle singole donne”.
Enza Rando, come durante la mattinata con gli studenti, ha ripercorso la propria esperienza formativa la curiosità e l’impegno che l’hanno contraddistinta durante gli studi di giurisprudenza all’università, quando “pochi parlavano di mafia, solo L’Ora, I Siciliani ed il Centro Impastato a Palermo. Ero assetata di sapere e l’unico modo era parlare direttamente con le persone e ascoltare il loro dolore”.
Rando ha quindi raccontato la fondazione del Comitato antimafia all’interno dell’università e le difficoltà che questo imponeva agli studenti, alcuni divenuti poi magistrati. Di lì l’impegno al suo paese, Niscemi, dove creando un movimento di risveglio della società civile, nel periodo della Primavera siciliana, è riuscita con altri amici a far sciogliere la Giunta mafiosa e a divenire vicesindaco con delega al’istruzione. Un ruolo che l’ha portata in prima fila nella battaglia, in questo caso vinta, alla mafia che voleva impedire l’apertura delle scuole “i primi presidi di legalità”. Un esempio, per l’esponente di Avviso pubblico, che “ognuno di noi, nel proprio piccolo, può fare una rivoluzione” e cambiare lo stato esistente delle cose.
Toccante la testimonianza di Michela Buscemi a cui la mafia ha ucciso due fratelli, fatto attentati e minacciato di morte la figlia ancora bambina, ma nonostante questo si è costituita parte civile al maxi processo del 1986, non era mai successo prima per la perdita di un fratello, ed ha testimoniato.
Per questo ha dovuto subire l’ostracismo della famiglia, con cui ha rotto ogni rapporto, “ho deciso che dovevo dimenticare la mia famiglia”, e della gente, “dicevano che eravamo spioni della Questura e abbiamo dovuto chiudere il bar che avevamo perché non vi veniva più nessuno”. Si è così avvicinata all’Associazione delle donne contro la mafia ed ha iniziato a racontare la sua esperienza in Italia ed anche all’estero.
E l’importanza della testimonianza è stata ribadita da Dalla Chiesa per cui senza il film I cento passi pochi si sarebbero ricordati di Impastato, ora anche negli angoli più reconditi sono sorti circoli che si fregiano del suo nome per ricordarlo. [Michele Donegana, ecoinformazioni]

A MORTI RA MAFIA

L’avutru jornu m’arruspigghiavu, sintennu vucciria.
Subitu pinsai: “Beddamatri, annavutru ammazzaru.
Annavutru figghiu ri matri
ammazzaru”.
M’affacciu tutta scantata
e viu un mari ri genti
chi cantava filici e cuntenti.
Dumanno: “Chi ci fu?”
“Ma comu, unnu sai?
A mafia m u r i u !
U rissi u tiligiurnali.
Veni, scinni puru tu
ca ci facemu u funirali:
però stavota unnavemu a chianciri, ma ririri e cantari.
Veni scinni, iamula a vruricari”,
a sti paroli un ci puteva cririri,
ma verennu tutta l a genti accussi cuntenti
luro no me cori
trasiu l’alligria:
e non sapeva cosa aveva a fari,
si aveva a chianciri, ririri,
cantari o ballari…
e pila a cuntittizza
me misi a satari
e cantari casa casa
e ricennu: “Che bellu!,
finamenti putemu caminari
pili strati
senza chiù virili
motti ammazzati!
Senza chiù luttu
‘nte li nostri casi.
Campari tranquilli
Senza seantu cà t’ammazzanu
U maritu, i figghi o i frattuzzi
ora tutti si vonnu beni!”
Cantava accussi forti
Che me figghia s’arruspigghió
e mi tallo rirennu:
“Mamà, chi sta facennu?
Nascisti pazza? Picchì fai accussì?”
“Mo, figghia nia, nun sugnu pazza, ma sugnu cuntenta:
a mafia muriu, veni, affaccia,
viri quanta genti ca c’è ccà sutta:
e si tal fi bonu, viri pura a chiddi ca finu a ieri, quannu
ni virevanu arrivari,
sinni travisanu rintra,
si iauvunu a ‘mmucciari,
mancu salutavano
picchi si scantavanu
ca, appressu a mia, ci fussi
la lupara o a calibro trentotto
e magari p1 sbagghiu
i putevani ammazzari.
Ora sunnu contenti
E vanno a fistiggiare”.
Me figghia mi talia
cu l’occhi chini ri felicità
e si metti a cantare ‘nsemi a mmia.
M’arruspigghiu, cu l’ecu ru me cantu:
era tuttu un sonnu.
Mi taliu ‘nttornu:
nenti cacciò, a mafia è sempri ccà.
Annavutru lurici ammazzare.
Però, si nutri lu vulemu,
‘sta morti si pò fari
e, macari fra cent’anni,
na l’avemu a vruricari.
[Michela Buscei]

In 400 allo Xanadù

img_0733Si è aperto mercoledì 10 dicembre per il sessantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani il Convegno del Coordinamento comasco per la Pace con l’intervento di Moni Ovaia e Giorgio Bezzecchi.

Quasi esauriti i 400 posti a sedere allo Spazio Gloria dell’Arci Xanadù di Como per l’apertura del tradizionale Convegno annuale del Coordinamento comasco per la Pace. Un evento che si caratterizza ogni volta con l’approfondimento di un tema che quest’anno sarà la legalità, così come espresso nel titolo Liberté, egalité, legalità.
E di legalità intesa come rispetto dei diritti umani hanno parlato Moni Ovadia e Giorgio Bezzecchi, vicepresidente Opera nomadi, nel giorno di apertura che si è voluto simbolicamente far coincidere con il sessantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani.
Dopo la presentazione del convegno di Celeste Grossi, vicepresidente del Coordinamento, che ha ricordato come la mafia non sia un fenomeno circoscritto solo alle regioni meridionali d’Italia, «in Lombardia, sono stati sequestrati alla mafia 557 beni di cui solo la metà è stata destinata ad usi sociali», Claudio Bizzozero, direttore della Scuola diritti umani, ha presentato un video per l’anniversario della Dichiarazione universale su Martin Luther King ed il famoso discorso al Lincoln Memorial di Washington introducendo l’argomento della serata ricordando il primo articolo della Dichiarazione: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti».
Moni Ovadia ha posto in rilievo l’ipocrisia della classe politica italiana, e non solo, «i razzisti di oggi di solito esordiscono con “io non sono razzista, ma…” e continuano “io ho un amico musulmano o albanese”. Nessuno rivendica più il proprio essere razzista». Una volta le destre razziste rivendicavano orgogliosamente il proprio credo, ora in maniera subdola confondono le carte per passare per difensori dei diritti umani universali con una serie di distinguo e cercano di «ottenere certificati di buona condotta» come Schifani, presidente del Senato, la seconda carica dello stato, che «uscito da Auschwitz ha dichiarato: “Mi sento israeliano”. Si sta cercando di fare uno spostamento concettuale» ha affermato con forza Ovadia.
Il cantore della tradizione yiddisch ha anche ricordato la svolta epocale dell’elezione di Obama alla presidenza degli Stati uniti, un paese la cui costituzione sin dalla Rivoluzione dichiarava la libertà per i suoi cittadini mantenendo la schiavitù per gli afroamericani.
Ovadia si è così scagliato contro il provvedimento emergenziale per i rom, «voluto dal governo e da alcuni sceriffi del centrosinistra», che prevede la schedatura anche dei bambini, «pensate solo se in Germania un ministro avesse solo osato proporre una cosa simile». Un provvedimento razzista che si accompagna alla creazione del reato di immigrazione clandestina «cercare la felicità e la prosperità dove possibile è un diritto fondamentale». La ferma condanna del razzismo non è per Ovadia né di destra né di sinistra che ha portato ad esempio Colonia, dove il sindaco dello Cdu ha invitato la cittadinanza a boicottare un raduno neonazista e così è stato, con autisti degli autobus e tassisti che si rifiutavano di caricare i manifestanti e i negozi chiusi, «e l’Italia – si è chiesto l’attore – l’Italia ha mandato Borghezio…»
La parola è stata poi presa da Giorgio Bezzecchi, che ha raccontato la propria esperienza di rom italiano, schedato per la propria appartenenza etnica, con un padre deportato nei campi di concentramento italiani del meridione durante la seconda guerra mondiale che ha dovuto subire l’umiliazione di una seconda schedatura da parte di quella che riteneva una Repubblica democratica e per cui tutti i cittadini sono uguali.
«Sono arrivati in tenuta antisommossa alle 5 del mattino ed hanno schedato tutti anche i bambini – ha precisato Bezzecchi – oggi a me, domani a chi tocca?»
Per il rappresentante di Opera nomadi di Milano avrebbero potuto guardare i dati semplicemente all’anagrafe comunale, ma hanno preferito creare un archivio etnico parallelo, data la montante marea razzista nei confronti di rom e sinti. Anche i numeri non sono neutri, data la loro valenza politica e il tentativo di accreditare l’ipotesi di un’invasione, a Milano per Bezzecchi i rom sono solo 5.500, in tutta Italia 160-170 mila, in una situazione di «esclusione sociale simile a quelle delle favelas, con un’assistenza pietistica». Il rappresentante di Opera nomadi ha anche parlato della situazione limite dei rom della ex Jugoslavia, 30 mila in Italia, che non sono riconosciuti nemmeno come apolidi e delle leggi discriminatorie per cui se una persona rom delinque viene allontanata dal campo l’intera famiglia, se ciò accade ad un mafioso o ad un camorrista la famiglia non viene cacciata dalle case popolari. E sempre a proposito delle case popolari la domanda di un rom non verrà mai presa in considerazione se è già registrato in un campo non potendo così migliorare le proprie condizioni di vita, che già vedono nei campi un abbandono scolastico, già alle elementari, del 30 – 40 per cento e una disoccupazione al 90 per cento. Una situazione di discriminazione che fa nascondere la propria origine, per paura di perdere il posto di lavoro, agli esponenti della comunità che sono riusciti ad inserirsi in un ambiente lavorativo.
La serata si è conclusa con un dibattito in cui Moni Ovadia ha ribadito l’invito ad indignarsi di fronte al ripresentarsi di sottoculture fasciste e violente e di agire concretamente per evitare l’assuefazione a provvedimenti sempre più discriminatori e lesivi della dignità umana. [Michele Donegana, ecoinformazioni]

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