In 400 allo Xanadù
Si è aperto mercoledì 10 dicembre per il sessantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani il Convegno del Coordinamento comasco per la Pace con l’intervento di Moni Ovaia e Giorgio Bezzecchi.
Quasi esauriti i 400 posti a sedere allo Spazio Gloria dell’Arci Xanadù di Como per l’apertura del tradizionale Convegno annuale del Coordinamento comasco per la Pace. Un evento che si caratterizza ogni volta con l’approfondimento di un tema che quest’anno sarà la legalità, così come espresso nel titolo Liberté, egalité, legalità.
E di legalità intesa come rispetto dei diritti umani hanno parlato Moni Ovadia e Giorgio Bezzecchi, vicepresidente Opera nomadi, nel giorno di apertura che si è voluto simbolicamente far coincidere con il sessantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani.
Dopo la presentazione del convegno di Celeste Grossi, vicepresidente del Coordinamento, che ha ricordato come la mafia non sia un fenomeno circoscritto solo alle regioni meridionali d’Italia, «in Lombardia, sono stati sequestrati alla mafia 557 beni di cui solo la metà è stata destinata ad usi sociali», Claudio Bizzozero, direttore della Scuola diritti umani, ha presentato un video per l’anniversario della Dichiarazione universale su Martin Luther King ed il famoso discorso al Lincoln Memorial di Washington introducendo l’argomento della serata ricordando il primo articolo della Dichiarazione: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti».
Moni Ovadia ha posto in rilievo l’ipocrisia della classe politica italiana, e non solo, «i razzisti di oggi di solito esordiscono con “io non sono razzista, ma…” e continuano “io ho un amico musulmano o albanese”. Nessuno rivendica più il proprio essere razzista». Una volta le destre razziste rivendicavano orgogliosamente il proprio credo, ora in maniera subdola confondono le carte per passare per difensori dei diritti umani universali con una serie di distinguo e cercano di «ottenere certificati di buona condotta» come Schifani, presidente del Senato, la seconda carica dello stato, che «uscito da Auschwitz ha dichiarato: “Mi sento israeliano”. Si sta cercando di fare uno spostamento concettuale» ha affermato con forza Ovadia.
Il cantore della tradizione yiddisch ha anche ricordato la svolta epocale dell’elezione di Obama alla presidenza degli Stati uniti, un paese la cui costituzione sin dalla Rivoluzione dichiarava la libertà per i suoi cittadini mantenendo la schiavitù per gli afroamericani.
Ovadia si è così scagliato contro il provvedimento emergenziale per i rom, «voluto dal governo e da alcuni sceriffi del centrosinistra», che prevede la schedatura anche dei bambini, «pensate solo se in Germania un ministro avesse solo osato proporre una cosa simile». Un provvedimento razzista che si accompagna alla creazione del reato di immigrazione clandestina «cercare la felicità e la prosperità dove possibile è un diritto fondamentale». La ferma condanna del razzismo non è per Ovadia né di destra né di sinistra che ha portato ad esempio Colonia, dove il sindaco dello Cdu ha invitato la cittadinanza a boicottare un raduno neonazista e così è stato, con autisti degli autobus e tassisti che si rifiutavano di caricare i manifestanti e i negozi chiusi, «e l’Italia – si è chiesto l’attore – l’Italia ha mandato Borghezio…»
La parola è stata poi presa da Giorgio Bezzecchi, che ha raccontato la propria esperienza di rom italiano, schedato per la propria appartenenza etnica, con un padre deportato nei campi di concentramento italiani del meridione durante la seconda guerra mondiale che ha dovuto subire l’umiliazione di una seconda schedatura da parte di quella che riteneva una Repubblica democratica e per cui tutti i cittadini sono uguali.
«Sono arrivati in tenuta antisommossa alle 5 del mattino ed hanno schedato tutti anche i bambini – ha precisato Bezzecchi – oggi a me, domani a chi tocca?»
Per il rappresentante di Opera nomadi di Milano avrebbero potuto guardare i dati semplicemente all’anagrafe comunale, ma hanno preferito creare un archivio etnico parallelo, data la montante marea razzista nei confronti di rom e sinti. Anche i numeri non sono neutri, data la loro valenza politica e il tentativo di accreditare l’ipotesi di un’invasione, a Milano per Bezzecchi i rom sono solo 5.500, in tutta Italia 160-170 mila, in una situazione di «esclusione sociale simile a quelle delle favelas, con un’assistenza pietistica». Il rappresentante di Opera nomadi ha anche parlato della situazione limite dei rom della ex Jugoslavia, 30 mila in Italia, che non sono riconosciuti nemmeno come apolidi e delle leggi discriminatorie per cui se una persona rom delinque viene allontanata dal campo l’intera famiglia, se ciò accade ad un mafioso o ad un camorrista la famiglia non viene cacciata dalle case popolari. E sempre a proposito delle case popolari la domanda di un rom non verrà mai presa in considerazione se è già registrato in un campo non potendo così migliorare le proprie condizioni di vita, che già vedono nei campi un abbandono scolastico, già alle elementari, del 30 – 40 per cento e una disoccupazione al 90 per cento. Una situazione di discriminazione che fa nascondere la propria origine, per paura di perdere il posto di lavoro, agli esponenti della comunità che sono riusciti ad inserirsi in un ambiente lavorativo.
La serata si è conclusa con un dibattito in cui Moni Ovadia ha ribadito l’invito ad indignarsi di fronte al ripresentarsi di sottoculture fasciste e violente e di agire concretamente per evitare l’assuefazione a provvedimenti sempre più discriminatori e lesivi della dignità umana. [Michele Donegana, ecoinformazioni]