Zapruder

Presentato il numero 14 della rivista quadrimestrale Zapruder dedicato al welfare

L’incontro con Fabio Cani, Lidia Martin, Stefano Agnoletto e Marco Lorenzini di mercoledì 4 giugno al Punto Einaudi di Como è stato organizzato dal gruppo comasco di Storie in movimento e del Circolo Rosa Luxemburg – Sinistra europea.

Una ventina di partecipanti hanno assistito alla presentazione del numero 14 della rivista di storia della conflittualità sociale Zapruder. Un incontro organizzato dal gruppo comasco di Storie in movimento (Sim) assieme al Circolo Rosa Luxemburg – Sinistra europea. Un’iniziativa congiunta date le ricadute politiche di un tema come quello della costruzione dello stato sociale in Italia che esula dal solo dibattito storiografico. Ad esempio dello stesso è già stato discusso a febbraio a Milano in Camera del lavoro con l’allora ministro delle Politiche sociali Paolo Ferrero e Susanna Camusso, segretario generale Cgil Lombardia.
Il moderatore Fabio Cani ha spiegato come il rapporto di Storie in movimento con Como non sia episodico: «Subito dopo i fatti di Genova nel 2001 si è formato un gruppo di persone attive nella ricerca storica e da subito un piccolo gruppo ha seguito questo percorso con una certa continuità. Inoltre non è la prima presentazione di un numero della rivista a Como». Un legame con il territorio lariano che verrà sottolineato anche dalla pubblicazione, nella sezione immagini, di foto della Ticosa nel sedicesimo numero che è ora in cantiere.
Lidia Martin, del gruppo Sim comasco, ha spiegato il perché del nome del periodico che lo deve ad Abraham Zapruder il cineamatore «che avendo ripreso l’omicidio di J. F. Kennedy ha inchiodato il potere a dovere inventare una spiegazione ufficiale per giustificare l’accaduto». «Obiettivo del gruppo – ha continuato la redattrice della rivista – è quello di attuare una riappropriazione dal basso degli strumenti del fare storia e del sapere da parte di tutti». In piena indipendenza infatti Zapruder non appartiene ad una casa editrice o ad una università, la proprietà è dell’associazione Storie in movimento «nata da un appello che è girato in Internet dopo i fatti di Genova e che non ha a caso – ha spiegato Lidia Martin – si definisce in movimento, raccogliendo non solo storici accademici e puntando alla divulgazione».
Del tema affrontato dal numero 14 del quadrimestrale ha parlato lo storico del welfare Stefano Agnoletto: «I problemi dello sfamarsi, del trovare casa, dell’istruirsi sono un’esperienza normale da sempre, dovrebbe quindi essere al centro della narrazione storica, ma non è così». «Inoltre – ha continuato l’esponente milanese di Sim – vi sono un’infinità di studi su soggetti privati come opere pie e confraternite, ma non sul welfare state pubblico con una perdita di patrimonio e competenze. Questo non è neutrale, il discutere di welfare pubblico mette in discussione i paradigmi dominanti della narrazione storica. Primo fra tutti la visione del mercato come migliore elemento di progresso. Il welfare produce una contraddizione essendo una variabile che deve limitare determinati meccanismi del mercato. Questo non è forse l’unico motivo la centralità del conflitto capitale – lavoro ha limitato la narrazione degli altri conflitti al di fuori del luogo simbolo: la fabbrica fordista». La scelta di un numero monografico sullo stato sociale è quindi da ricercarsi per lo storico nel bisogno di mettere al centro della narrazione storica «i bisogni reali delle persone per non fare una storia di pochi».
Proprio in quest’ottica la presentazione della rivista ha interessato il Circolo Rosa Luxemburg. «Una riflessione sul welfare ci potrebbe permettere di porre in discussione il paradigma economicista imperante» ha detto Marco Lorenzini. «La questione ambientale e i limiti dello sviluppo pongono altrimenti la discussione sullo stato sociale – ha continuato l’esponente della Sinistra europea – La sfida non è su quali politiche di welfare ma riconsiderare in generale lo sviluppo economico e lo sviluppo della giustizia sociale. La sinistra, o ciò che ne rimane nel Pd, ha accettato il limite liberista allo sviluppo dei diritti sociali. I diritti vengono garantiti in maniera parziale a seconda dei limiti economici in una visione ormai accettata da tutto il panorama politico italiano». Per Lorenzini gli elementi di riflessione posti dal terzo settore, come il welfare territoriale o l’applicazione della legge 328 come welfare partecipativo, sono interessanti ma parziali. «Il vero deficit è di pensiero – ha continuato – Le strategie di Lisbona dell’Unione europea sono state fallimentari. La povertà e l’esclusione in Europa negli ultimi otto anni sono aumentate e dal 2005 i finanziamenti per contrastare questo processo sono stati stornati a sostegno del mercato sostenendo la bugia che alla fine il mercato risolverà ogni cosa».
Aperto il dibattito la discussione si è incentrata sull’edilizia popolare un tema su è più facile recuperare materiali per Agnoletto «dato che le istituzioni hanno lasciato più tracce mentre
Giuseppe Calzati, presidente della cooperativa Abitare Brianza, è intervenuto ricordando l’esperienza delle cooperative edilizie a proprietà indivisa, tipicamente lombarda, che sono riuscite a rispondere alle esigenze sociali partendo da «una società civile che è riuscita a darsi risposte e strumenti adeguati alle proprie esigenze, con una crescita della coscienza civica e dell’interlocuzione politica». Il confronto fra i quartieri Iacp e quelli edificati dalle cooperative è eclatante. Da una parte realtà vive e con un corpo sociale dall’altra l’abisso». Un esempio simile a quello della nascita delle 150 ore per Lidia Martin che ha ricordato come tale esperienza sia nata dalle lotte dei metalmeccanici che erano riusciti a inserirle nel loro contratto nazionale. Celeste Grossi, del Circolo Rosa Luxemburg, ha ricordato il diritto al sapere e la storia delle riforme scolastiche partendo da quella della scuola media sino all’attuale l’inserimento delle scuole private nel sistema pubblico e l’impegno profuso dai docenti in passato in un clima di coinvolgimento molto differente all’attuale.
«La rappresentanza sociale degli insegnanti e dei dipendenti pubblici, che sono intesi come lavori dequalificanti, non è neutrale – ha ricordato Agnoletto – Pensate al senso di sé e fierezza che queste categorie avevano negli anni ’60-’70. O i dipendenti comunali negli anni ’50. Per gli insegnanti c’è da sottolineare la perdita di patrimonio di elaborazione, competenze e lavori di sperimentazione didattica, aggiunta a una mancanza di consapevolezza delle attività svolte da parte degli operatori. Il lavoro degli insegnanti non è narrato e quindi non esiste. Per quanto riguarda la storia siamo in un’ottica di revisionismo storiografico utilizzato per riconciliare tutti in un unico pensiero liberista che dequalifica tutte le esperienze di stato sociale». «Contro questo – ha concluso l’esponente Sim milanese – è nostra intenzione rompere il divario fra storia militante e pratica scientifica. La storia è un’arena di conflitto in cui noi entriamo in una nuova ottica e con nuove modalità, ad esempio nelle nostre assemblee lavoriamo in maniera collettiva contro l’individualismo del singolo ricercatore». [Michele Donegana, ecoinformazioni]