Giorno: 27 Gennaio 2010

Abbattuta nel Giorno della Memoria la Ticosa rimane un monumento all’incapacità della Giunta Bruni

Le opposizioni a Palazzo Cernezzi attaccano l’immobilismo della Giunta a tre anni esatti dall’abbattimento della Ticosa (fatto proprio nel Giorno della Memoria con evidente oltraggio alla memoria della resistenza operaia lariana), mentre per Bruni la colpa è di: «Una crisi di livello mondiale che ha reso tutto più complicato».

 

«Le ultime esternazioni del sindaco – ha dichiarato mercoledì 27 gennaio Luca Gaffuri, capogruppo Pd – sembrano fatte solo per rinviare il problema, si è parlato di portare nell’area Ticosa attività produttive, di aver trovato un privato interessato ad acquistare 6 mila mq, da ultimo l’intervento di una cooperativa edilizia. Si cerca di far vedere che una fiammella è ancora accesa… Che intervenga Formigoni, così come ha promesso!».
La paura dei consiglieri di opposizione è quella di non vedere più la fine del caso Ticosa così come del cantiere delle paratie e del muro sul lungolago. Per questo hanno convocato una conferenza stampa in piazza Cavour per esorcizzare lo spettro dell’immobilismo che attanaglia anche la barriera costruita sul lungolago.
«La Giunta è un po’ come i dilettanti alla sbaraglio – ha affermato Vincenzo Sapere, Gruppo misto – socialisti, che sulla Ticosa e le modifiche in corso d’opera ha detto – non si possono cambiare le carte in tavola, si rischiano i ricorsi». «Un’asta pubblica non può essere modificata» ha rincarato la dose Roberta Marzorati, Per Como.
«È stata fatta una scelta sbagliata» ha precisato Vittorio Mottola, Pd, anche perché, ha concluso Sapere «L’idea del sindaco è un’idea vecchia, era già stata fatto un concorso al tempo della Giunta Pigni, aveva vinto l’architetto Botta, che vadano a vedere le carte!».
Di tutt’altro parere il sindaco Bruni per cui, in una nota diffusa dal suo portavoce, «Il disfattismo non serve a nessuno e non ci porta da nessuna parte. Quelli che guardano le cose sempre e soltanto dal punto di vista negativo sono gli stessi che sperano che i problemi non si risolvano mai. Vogliono che non vada niente per il verso giusto, che non ci siano né crescita né sviluppo. Sono schierati contro la città. Sono contro e punto. […] Io invece guardo alle questioni con fiducia. […] Dal mio punto di vista, oggi non registriamo alcun fallimento. Sono invece tre anni che abbiamo tolto di mezzo i ruderi della Ticosa. È un traguardo raggiunto. Sfido chiunque a sostenere il contrario. Certi fautori della negatività ad oltranza non riescono neanche a rendersene conto: quei resti per un quarto di secolo hanno costituito un elemento di forte degrado sulle soglie della convalle. Un pessimo biglietto da visita. Un simbolo stesso dell’immobilismo. Sembravano inamovibili. Bene, noi li abbiamo abbattuti. E poi abbiamo avviato un processo di riqualificazione senza precedenti per il capoluogo. Certo, l’operazione era e resta complessa e bisogna riconoscere che non siamo stati fortunati visto che ci siamo imbattuti in una crisi di livello mondiale che ha reso tutto più complicato. Mi chiedo con quale capacità di analisi e lungimiranza politica certi soggetti possano trascurare questi elementi di fatto e crogiolarsi nella cultura del tutto sbagliato, seminando allarmismo, preoccupazione, un generale senso di resa e disimpegno. […] Sono ottimista. Credo proprio che nei prossimi giorni potremo riavviare l’iter consiliare di approvazione del piano integrato di intervento».

La portaerei della vergogna verso Haiti

Appello della Tavola della Pace e della Rete Italiana Disarmo. La portaerei Cavour verso Haiti: una decisione incomprensibile. Il ministro della Difesa e il Parlamento chiariscano subito obiettivi, modalità, tempi e costi della missione.

 Leggi l’appello firmato da Flavio Lotti e Francesco Vignarca.

Dopo l’ultimo testimone. La memoria e il suo uso pubblico

La difficile trasmissione delle memoria e i pericoli del suo uso pubblico sono stati al centro dell’incontro con David Bidussa organizzato giovedì 21 gennaio dall’Istituto di Storia Contemporanea Pier Amato Peretta alla biblioteca comunale.

 Più di 70 persone, quasi la metà giovani, hanno partecipato alla serata Dopo l’ultimo testimone. La memoria e il suo uso pubblico con David Bidussa organizzata dall’’Istituto di Storia Contemporanea Pier Amato Perretta in collaborazione con Punto Einaudi alla Biblioteca comunale giovedì 21 gennaio.
Dopo una breve introduzione di Fabio Cani, vicepresidente dell’Istituto e una presentazione di Antonia Barone, responsabile della didattica dell’Istituto, che ha ricordato come alcuni dei giovani presenti avrebbe partecipato a Un treno per Auschwitz grazie alla loro scuola «uno dei luoghi di fondamentali di trasmissione della memoria», ha preso la parola Bidussa, storico sociale delle idee attualmente impegnato alla Fondazione Feltrinelli di Milano.
Dalla presentazione del libro a cui era dedicata la serata l’autore ha preso lo spunto per articolare un ragionamento più ampio sulla memoria e «l’uso politico della storia che è ben visibile nel discorso pubblico italiano».
Lo stesso Giorno della Memoria per l’autore difficilmente avrà una lunga vita, «non diventerà mai maggiorenne!», è un prodotto di un determinato contesto storico e bisogna interrogarsi sul motivo e sul momento della sua istituzione.
Per Bidussa la ricorrenza si è imposta contestualmente alla nascita dell’Unione europea con la ricerca di un calendario civile comune per tutto il continente che superasse i particolari delle singole ricorrenze nazionali: «Ad esempio il 25 aprile a Londra non dice niente a nessuno».
Era necessaria una data che superasse, anche nei singoli stati, le ricorrenze di un calendario «che parlano solo ad una parte del paese, che sostengono una memoria corporativa».
Il 27 di gennaio è accolto poi in Italia con una certa freddezza «anche perché se ne parla oggettivamente come di un evento avvenuto a 2.400 km di distanza, dimenticandosi che l’ultima disposizione di un articolo delle leggi razziali del ’38 è stata abrogata solo nell’aprile del 1987».
L’incapacità degli storici di intervenire nel dibattito e di formare un’opinione al riguardo è data anche dalla loro inadeguatezza nell’utilizzo e analisi dei nuovi e meno recenti media, in primis il cinema: «L’analisi di un film non si riduce alla sola trama». Non si può ridurre il giudizio ad un generico apprezzamento o meno, ma è fondamentale analizzare con gli strumenti adeguati il prodotto che nelle sue proprie modalità di costruzione determina un orientamento ed il passaggio di messaggi definiti.
L’obbligo a confrontarsi con l’evoluzione inderogabile del presente e con la scomparsa dei testimoni diretti di avvenimenti storici impone per Bidussa un impegno ulteriore: «Devo rispondere con le risorse che ho in prima persona, ho un obbligo di riflessione». Una presa in carico di quanto prima era “naturalmente” considerato patrimonio dei testimoni con il conseguente bagaglio di conoscenze ed esperienze.
Per l’autore il lavoro dello storico è principalmente quello di porre domande, da confutare e verificare sul campo.
Rispondendo alle domande dei giovani del pubblico, Bidussa ha spiazzato l’uditorio mettendo in causa la percezione di elementi del comune senso storico come l’inno nazionale, incredibilmente ufficiale solo dal 2006 e la figura del suo autore, Goffredo Mameli, considerato un nume tutelare della Repubblica, ma il cui corpo è stato bistrattato nel corso degli ultimi 150 anni e trasferito periodicamente da un luogo di sepoltura ad un altro senza ancora aver trovato una “collocazione”.
Uno slittamento dalle certezze consolidate che dovrebbe coinvolgere anche altri ambiti storici tradizionalmente occidentali. «Per noi la fine della seconda guerra mondiale è data dalla liberazione dei campi di concentramento, ma ci si può aggiungere lo spostamento di milioni di persone da est a ovest nell’Europa centrale e nessuno pensa al maggio del ’45 in Algeria, quando la popolazione festante è scesa in piazza sperando l’indipendenza dopo aver contribuito alla lotta per la libertà stando con gli Alleati, mentre la Francia metropolitana sosteneva l’Asse: le stime della repressione vanno da 15 a 40 mila morti».
La storia per Bidussa non ha un fine, uno sviluppo teleologico o una giustizia intrinseca, si basa invece su rapporti di forza: «L’esempio viene dalla Palestina, dove in un unico territorio due movimenti nazionali, quello palestinese e quello israeliano, cercavano di diventare stato. Israele ha avuto la forza, creando delle strutture che si sono poi evolute nel moderno stato, per nascere, al di là di ogni giudizio di merito, mentre la Palestina no». [Michele Donegana, ecoinformazioni]

Guarda il video Ansa sul viaggio della Memoria, organizzato da Cgil e Cisl, al quale hanno partecipato anche studenti di scuole comasche.

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