La repubblica nata dalla guerra

Secondo incontro per il ciclo organizzato dall’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) di Como, in collaborazione con l’Istituto di Storia Contemporanea “Pier Amato Perretta”, dedicato a una riflessione sulla nascita della Repubblica e della Costituzione. Alla Circoscrizione 6, in via Grandi, relatore è stato Leonardo Paggi, docente di storia contemporanea all’Università di Modena e Reggio Emilia, studioso e biografo di Gramsci, autore di un volume edito nel 2009 da Il Mulino e intitolato Il popolo dei morti – da una citazione di Piero Calamandrei – e dedicato all’approfondimento della nascita della Repubblica italiana “dalla guerra”, secondo una ipotesi interpretativa certamente discutibile ma altrettanto interessante e ricca di possibili sviluppi.

A partire dalle tesi esposte nel libro, frutto di un lungo percorso di approfondimento che include anche un altro stimolante volume collettivo (Le memorie della Repubblica, edito da La Nuova Italia nel 1999), l’intervento di Paggi è stato centrato sul passaggio dalla considerazione della “repubblica nata dalla resistenza” a quella della “repubblica nata dalla guerra”. Per lo studioso infatti centrale è l’esperienza della guerra, che si traduce nel primo chiaro segnale del cedimento del regime fascista (e parallelamente nella caduta del consenso presso la gente), anche e soprattutto per l’impatto devastante dei bombardamenti alleati sulle città italiane. Gli effetti della guerra si sedimentano nella memoria collettiva in modi diversi da quelli che interessano la lotta antifascista e resistenziale, diversi anche dalla memoria delle altrettanto tragiche stragi nazifasciste. Queste ultime trovano modo di esprimersi nelle celebrazioni ufficiali della repubblica, mentre le prime sono in qualche modo rimosse, e diventano una sorta di “memoria divisa” che intrattiene con la storia della repubblica e della sua nascita un rapporto complesso, quasi a designare un sentimento separato, non di opposizione alla nuova nazione democratica, ma neanche di pieno riconoscimento. È una memoria che procede da figure che in qualche modo sono rimaste ai margini dell’immaginario collettivo antifascista: il reduce, lo sfollato, il rastrellato, il deportato. È una memoria che trova un posto “minore” nella narrazione della repubblica che ha raccolto solo una parte della storia della nazione in guerra, e che in particolare ha evitato di raccogliere “l’eredità della sconfitta”. Per Paggi, viceversa, bisogna tornare a considerare queste tante memorie diverse: non solo perché l’impatto quantitativo della guerra fu devastante e complesso (le vittime dei bombardamenti alleati non sono meno di 64.000 secondo le stime ufficiali, che vanno ad aggiungersi alle circa 15.000 vittime delle stragi nazifasciste), ma anche perché è fondamentale riconoscerne il ruolo nelle spinte “ideali” che portarono alla messa a punto della Costituzione. In questo confortato dal pensiero di Calamandrei, grande costruttore della memoria della Resistenza, oltre che eminente membro della Costituente. Proprio da Calamandrei viene la sollecitazione a considerare la guerra nel suo complesso come la “rottura storica”, la “rivoluzione” che legittima la nuova costituzione italiana: è dalle atrocità della guerra che nasce la richiesta di diritti che fonda il nuovo modello della nazione.

Al discorso di Paggi, come già nel primo incontro con Ganapini, sono seguiti numerosi interventi e domande, questa volta centrate in gran parte proprio sulla valutazione dei bombardamenti e delle stragi come “atti di guerra” più o meno giustificabili: una questione che non è confinata alla considerazione storica ma che si collega strettamente anche all’attualità. Non ci poteva essere migliore dimostrazione del fatto che l’approfondimento dei momenti fondanti della repubblica non è, né può essere, distinto da un impegno sul presente. Come ha ricordato Luciano Forni, nel chiudere l’incontro, è proprio dal riconoscimento delle atrocità della seconda guerra mondiale che deriva l’inserimento nella Costituzione dell’articolo 11 che “ripudia la guerra”, ma è forse dalla scarsa memoria di quelle atrocità che deriva la mancata osservanza di quell’articolo in anni recenti. [Fabio Cani,  ecoinformazioni]

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