Il Tav, costoso e inutile, minaccia per la democrazia
Una trentina di persone hanno partecipato all’incontro per spiegare le ragioni dei No Tav organizzato da Circolo culturale Libero Fumagalli e Comitato lavoratori contro la guerra di venerdì 4 maggio alla Circoscrizione 7 di Como. Presentati da Gavino Puggioni e moderati da Umberto Montin, Simonetta Zandiri e Andrea Merlone hanno esposto le posizioni di chi lotta perché non venga costruita la nuova infrastruttura per l’Alta velocità in Val di Susa.
Merlone, fisico ricercatore all’Istituto nazionale di ricerca metrologica, ha spiegato dal punto di vista tecnico in cosa consista l’intervento, partendo dall’«importanza di dati affidabili per grandi opere» così come chiesto dalla Corte dei conti.
E già il tanto decantato Corridoio 5, che dovrebbe collegare Lisbona a Kiev, data la crisi che ha colpito l’Europa fa acqua da tutte le parti. Molti paesi come il Portogallo e l’Ungheria hanno abbandonato la partita non avendo i fondi per fare alcunché e solo quello fra Italia e Francia sta procedendo, anche se i francesi hanno optato per una soluzione cosiddetta low cost.
Si tratterebbe in ogni modo di un’opera costosissima: solo per la fase 1 sarebbero necessari 8,2 miliardi di euro che per l’intera opera salirebbero a 21,4. Ma la Corte dei conti mette le Istituzioni sul chi va là e dice che realisticamente le spese possono crescere da 1,6 fino a 8 volte.
Ma l’opera a cosa servirebbe? A ridurre i tempi di attraversamento, con un risparmio di un’ora.
Su un punto poi viene fatta confusione servirà per le merci o i passeggeri? L’essere utilizzato per i passeggeri non lo renderebbe compatibile con le merci, anche se per avere una sostenibilità economica si prevede un passaggio misto.
Inoltre, dati e grafici alla mano, si avverte l’inconsistenza della necessità dell’intervento guardando le proiezioni di traffico. La crisi ha fatto crollare gli scambi e quelle che erano già più che abbondanti previsioni non giustificano più il progetto per quanto riguarda le merci. Per di più il trasporto passeggeri fra Torino e Lione ha visto un crollo da 150mila persone nel ’93, scese a 75mila nel ‘09. L’attuale servizio garantito dai Tgv non ha un ritorno economico come dichiarò l’ex presidente di Fs Claudio Dematté. Un dato che si rifà a quello nazionale: «L’Alta velocità, a parte la tratta Milano-Roma, non si sta coprendo economicamente» ha precisato Merlone facendo un paragone con un altro mezzo di trasporto assolutamente antieconomico, prima tanto decantato e poi caduto in disuso, il Concorde.
Si tratta quindi per gli oppositori di una grande opera di cui non si capiscono le ragioni e di cui non si vede una sostenibilità economica, per gli ingenti costi di costruzione e poi di gestione. Un manufatto che potrebbe diventare un gigantesco flop come l’Eurotunnel fra Francia e Gran Bretagna, ha ricordato Merlone.
E tutto ciò al di là dei problemi di ordine sanitario che potrebbero insorgere, data la presenza di uranio e amianto nelle montagne, che preoccupa i residenti.
«Trattano i No Tav come fossero solo un problema di ordine pubblico – è intervenuta Simonetta Zandiri – non è così, vogliamo far valere un diritto e con i nostri corpi come scudo abbiamo difeso le nostre ragioni subendo violenze».
Una situazione drammatica raccontata con un video dello sgombero, il 27 giugno, del campo approntato nella zona del cantiere e poi delle manifestazioni, in particolare quella del 3 luglio, con i tentativi di avvicinarsi alla zona recintata.
Una video-denuncia della violenta repressione poliziesca con immagini di pestaggi di manifestanti e il lancio continuo e massiccio di lacrimogeni, anche ad altezza uomo ferendo le persone, oltre a lanci di pietre da parte degli stessi agenti. Una testimonianza già presentata alla stampa e consegnata in Procura.
Una repressione, denunciano i No Tav, fisica, dei media, che li identificano come violenti, e della magistratura, che sta ora intentando i processi contro i fermati.
«La Valle di Susa è diventata un po’ la palestra per studiare la repressione di una lotta molto popolare che coinvolge dal professore al disoccupato ai ragazzi dei centri sociali – ha rimarcato Zandiri – una forma di resistenza collettiva non violenta».
Una repressione di una dissenso che allarma, a poco più di dieci anni dal social Forum di Genova, per lo sviluppo democratico del nostro paese. [Michele Donegana, ecoinformazioni]