2 agosto 1980 – 2 agosto 2012 Bologna – Como
Alle 10.25 del 2 agosto 1980 una bomba collocata nella sala d’aspetto della stazione ferroviaria di Bologna uccise 85 persone e ne ferì oltre 200. La memoria di quella strage fascista è a Como indissolubilmente legata al ricordo della famiglia Mauri: Annamaria, Carlo e Luca quel sabato, partiti da Como per andare in vacanza, dovettero fermarsi a Bologna e lì trovarono la morte.Quel ricordo e quella memoria sono anche divenute, da anni, impegno non solo di perpetuare il ricordo, ma anche di capire, conoscere, approfondire in tante occasioni (dibattiti, lezioni, concerti, spettacoli) soprattutto con le giovani generazioni la storia, le storie e i drammi della stagione del terrorismo e della violenza politica. Il progetto “Memoria e verità” a Como si pone proprio questo obiettivo: ricordare e capire.
In occasione del 32° anniversario della strage di Bologna pubblichiamo un ricordo dedicato da Roberta Pomoni – una delle animatrici del progetto – agli amici uccisi a Bologna.
RIAFFIORANO ricordi e soprattutto emozioni.
In tutti questi anni tante volte mi sono posta domande su domande su quello che è successo: perché io non c’ero in quei giorni, ero al mare nell’allora Jugoslavia – mi era impossibile ritornare , e in me è rimasto sempre un senso di colpa per non essere stata presente .
Ricordo quelle giornate: la sera prima avevamo comperato un materassino nuovo, e il giorno dopo verso mezzogiorno me ne stavo beata in mare sdraiata sul materassino. A riva mio marito ad un certo punto mi faceva cenno di rientrare, io non capivo perché e rimandavo di qualche minuto la fine del bagno. Quando poi sono uscita dall’acqua, mi ha riferito quello che aveva sentito al Giornale Radio (le stazioni italiane si sentivano benissimo): una bomba alla stazione di Bologna, tanti morti, una strage. Ascoltavamo con sgomento i notiziari successivi, e tra gli altri anche il Gazzettino della Lombardia: alle ore 14 di lunedì 4 agosto, ho sentito innanzitutto quel nome, “Carlo Mauri” e per un attimo ho pensato: no, non è lui, quanti ce ne saranno con quel nome… e dopo un secondo “Annamaria Bosio” e a quel punto speravo di non sentire più nulla, e invece anche Luca… Quando ti trovi di fronte a qualcosa di irreparabile, vorresti che la vita tornasse indietro come una pellicola, solo di poco, quel tanto che basta per modificare, correggere: non può essere vero… Il giorno dopo sono andata ad un posto telefonico pubblico: era ancora necessario prenotare la chiamata e aspettare, l’attesa era lunga e alla fine si sentiva anche poco. Mia mamma mi disse: “Sono appena arrivati i carri funebri, sono giù in chiesa”.
Ho seguito poi la radiocronaca in diretta dei funerali solenni a Bologna, delle vittime che avevano accettato la cerimonia ufficiale. Surreale trovarsi in un campeggio, in mezzo a tanta gente spensierata, con il cuore gonfio e la mente a centinaia di chilometri, immaginando dalle parole del cronista l’atmosfera angosciata, commossa e tesa della chiesa di San Petronio: sentire dalla radio i fischi alle autorità politiche, gli applausi e le invocazioni della gente al solo presidente Pertini. Al cronista che, in omaggio alla verità, sottolineava queste opposte reazioni, il direttore del gr2 Gustavo Selva si preoccupava di rivolgere un secco rimprovero e l’intimazione a non commentare: ricordo che il giornalista ebbe la fermezza di ribadire che si limitava a registrare la verità dei fatti che si svolgevano davanti ai suoi occhi. (Già da quel momento affiorava la sensazione di qualcosa che si muove sopra le nostre teste, e l’intuizione che non conta il dolore delle persone ma gli interessi di chi manovra per sminuire, rimuovere, in un certo senso già un inizio di depistaggio, grandi manovre sopra la testa delle vittime innocenti: più tardi si scoprirà che Gustavo Selva ha la tessera n. 1814 della loggia segreta P2 di Licio Gelli, condannato appunto per depistaggio riguardo alla strage di Bologna).
Quando rientrai a Como andai anzitutto al cimitero, all’ingresso incontrai il papà di Carlo: cercavo impossibili parole di condoglianze, si limitava a scuotere la testa, e a dire di no, di no….
Non ebbi subito il coraggio di andare a trovare la mamma di Anna, lo feci qualche giorno dopo, e lì trovai anche la mamma di Carlo. Il nodo in gola, l’impossibilità di dire qualcosa di adeguato, di sensato, che non apparisse troppo misero, banale, quasi ingiusto: cercare di consolare poteva sembrare quasi offensivo, o almeno indelicato. Non sono mai state tante le parole, poche frasi, tutto dentro: ricordo la mamma di Anna che mi accompagna alla fermata del bus, e il suo viso è come quello di una persona che esce dal buio alla luce del sole, guarda quasi abbagliata: esiste ancora un mondo al di fuori di quella casa in penombra, al di fuori di quelle stanze rimaste assurdamente vuote? (sensazione simile – forse – a quella che ho provato io all’uscita dal cimitero dopo il funerale della mia mamma: lei è morta, e ugualmente fuori passano le auto, i negozi sono aperti, la vita continua…).
UNA VITA trascorsa insieme ad Anna, fino a pochi anni prima
I primi ricordi risalgono ai tempi più lontani: ultimi anni delle elementari, commenti a bassa voce sulla maestra, molto brava ma severa, i compiti e le merende assieme, i giochi nella sua soffitta che a me sembrava misteriosa e affascinante con la sua stretta scala a chiocciola, il profumo del legno che saliva dal laboratorio di falegnameria di suo padre…
Ricordi delle scuole medie: i primi contatti “ravvicinati” con l’altra metà del cielo, i “ragazzi”, esclusi dalla nostra sezione tutta femminile, bigliettini, confidenze; il mio – prezioso per me – primo diario personale, “rubato” per scherzo da mio fratello e dal suo, e recuperato da Anna per la mia eterna gratitudine. Le lettere che ci scambiavamo quando eravamo in vacanza: le sue, dall’amata Villuzza Ragogna, in cui mi raccontava delle ore spensierate in riva al Tagliamento… un paesaggio che non ho conosciuto ma che mi è diventato familiare nell’immaginazione.
Alle superiori abbiamo preso strade diverse, ma l’amicizia è rimasta: ricordo che avrei voluto iscrivermi anch’io all’Istituto Magistrale per stare con lei e Sandra (eravamo legate dall’infanzia, sempre assieme, qualcuno ci chiamava “le tre Grazie”). I primi mesi della mia Quarta Ginnasio studiavo, come la “secchiona”che un po’ ero, fino a una certa ora del pomeriggio, e aspettavo con gioia il momento in cui mi facevo una passeggiata fino a viale Cavallotti per andare a incontrarle all’uscita da scuola. E quando ci si vedeva per le funzioni in chiesa (tutte le scuse erano valide per uscire…) poi spesso io accompagnavo Anna sotto casa, in via Natta, e quindi lei riaccompagnava me, eccetera eccetera: chissà di cosa parlavamo, non si finiva mai di raccontarsi… E poi le mille occasioni per stare in compagnia, il coro, le gite, le “adunanze” in parrocchia; la Lucernetta, cinema parrocchiale e sala per le prime, timide feste da ballo. Le confidenze, i rimproveri da amica qualche volta… Io timida, impacciata, insicura: lei, la mia stessa età ma io la sentivo più matura, in grado di valutare meglio, di avere idee più chiare.
Sue le iniziative che indicavano sensibilità e a cui aderivo con convinzione, come quella di iscriversi all’Unione Italiana Ciechi, prima, e all’AIDO poi per la donazione degli organi. Sua l’idea di frequentare un corso serale di taglio e cucito, poco tempo prima di sposarsi, una delle ultime cose fatte assieme, ridendo di gusto per una mia cucitura tutta sbagliata…
Mi sono sentita emozionata ed orgogliosa di essere stata scelta come testimone alle sue nozze, una prova di amicizia di cui vorrei essere stata degna, anche se non ne sono sicura. Una sposina giovane, ventenne, noi amici non ce l’aspettavamo così presto, e forse abbiamo faticato un po’ ad abituarci all’idea. Una coppia radiosa… Carlo il ”bravo ragazzo”, figura rassicurante, affidabile, sempre pronto al sorriso e allo scherzo bonario. Di lui, e della sua famiglia, si fidavano anche i miei genitori: alla fine degli anni ’60 si chiedeva ancora il “permesso” per le gite, le feste, i brevi viaggi… ed ecco che la presenza di Carlo era una “garanzia” di serietà: c’è anche Carlo Mauri? Beh sì, allora puoi andare… e io lo canzonavo ogni tanto su questo.
Luca l’ho appena conosciuto: ricordo un bel bambino con gli occhioni scuri come i suoi genitori, educato e un po’ timido di fronte a questa amica che la mamma incontrava ormai raramente, con cui lui non aveva confidenza, un bambino che si sentiva “grande” e pronto per andare alla scuola elementare….
[Roberta Pomoni]