Architectonics. Paesaggi e visioni

Architectonics marco brennaMostra di Marco Brenna, «dedicata alle architetture cittadine», curata da Alessandro Trabucco, a S. Pietro in Atrio in via Odescalchi 3 a Como. Inaugurazione giovedì 21 marzo. Aperta fino al 14 aprile dal martedì al venerdì dalle 14 alle 19, sabato e domenica dalle 9 alle 12 e dalle 14.30 alle 19, lunedì chiuso

«La pittura di paesaggio ha una lunga storia, per diversi secoli ha avuto un ruolo importantissimo nel mondo dell’arte, cioè quello di documentare (a volte involontariamente e più o meno oggettivamente) l’ambiente circostante, con l’aggiunta del valore, inestimabile per l’essere umano, di testimonianza realistica del periodo storico rappresentato – scrive il curatore Alessandro Trabucco –. Ci si è serviti di essa per effettuare ricostruzioni o analisi di eventi importanti, col principale scopo di ottenere informazioni utili sull’evoluzione dei costumi sociali e politici e sull’avanzamento tecnologico ed ingegneristico delle attività umane. Basti pensare alla pittura di genere del Seicento, al vedutismo veneziano del Settecento, alla Scuola di Barbizon o al realismo americano di fine Ottocento, solo per fare qualche esempio, evitando comunque di prendere in considerazione tutta quella pittura realista novecentesca forzata e sostenuta per scopi propagandistici dai regimi totalitari negli anni tra le due Guerre Mondiali».

«È un po’ il ruolo che ha assunto in seguito, e per diverso tempo, la fotografia, svincolando gradualmente la pittura dalla propria dipendenza verso la realtà esteriore ed aprendole la strada all’introspezione visiva, alla rappresentazione di sensazioni profonde e di forti contrasti interiori – prosegue –. All’espressionismo prima, all’astrazione e all’informale poi. La pittura ha quindi trovato col tempo una propria autonomia espressiva nella scelta dei soggetti da rappresentare, soprattutto nel campo della cosiddetta “figurazione” ha potuto orientare l’attenzione sulla creazione di “spazi” che potremmo anche definire “ideali”, non nel senso “romantico” del termine, quanto di una volontà precisa di cercare un linguaggio mentale individuale e riconoscibile, non necessariamente asettico e freddo, ma riconducibile ad una piena consapevolezza creativa».

«Ciò che si evidenzia maggiormente nel lavoro pittorico di Marco Brenna è una volontà rappresentativa che si distacchi dall’apparente realismo che esprime, concentrandosi piuttosto su una resa che si avvicini a visioni urbane prive di connotazioni temporali ben definite ed ispirate a pure sensazioni percettive – spiega Trabucco –. Le architetture della sua città, Como, sono soggetti privilegiati e prediletti, le costruzioni di grandi architetti come Giuseppe Terragni, Pietro Lingeri suo collaboratore, Enrico Mantero (assistente di Ernesto Nathan Rogers) e Cesare Cattaneo, tutti esponenti del razionalismo italiano. La Casa del Fascio, il Monumento ai caduti, la Piscina e lo Stadio Giuseppe Sinigaglia, la Canottieri Lario, Casa Cattaneo, Villa Amila, Villa Silvestri, sono rappresentati da Brenna senza alcun intento meramente descrittivo, quanto immaginati come frammenti visivi recuperati da una memoria storica che sa valorizzare il proprio patrimonio artistico senza intenti autocelebrativi, ma ritrovando in esso le profonde radici della propria formazione culturale ed esistenziale. Brenna ha quindi molto materiale a disposizione su cui lavorare soltanto aggirandosi per la città e nei suoi dintorni».

«L’artista realizza scatti fotografici oppure recupera vecchie immagini dalle quali prendere spunto, guardando anche alla grande storia della pittura urbana ai suoi primordi, quella che subito dopo il periodo impressionista e simbolista si è resa conto del grande sviluppo in atto nelle grandi metropoli mondiali con l’avvento della seconda industrializzazione, sconvolgimenti epocali celebrati dalle prime avanguardie storiche, fra tutte il futurismo italiano, ma anche da personaggi solitari e profetici come Mario Sironi che con i suoi Paesaggi urbani raffigurava la città quasi sempre priva di figure umane, ma dominata dalla monumentale presenza di fabbriche e abitazioni, immerse nell’atmosfera cupa e metafisica ben descritta da Margherita Sarfatti in una sua recensione apparsa nel marzo del 1920 sulla rivista Convegno – spiega la nota –. Brenna recupera queste suggestioni visive e le sviluppa cambiandone gli attributi cromatici, i colori oscuri e terrosi utilizzati dal grande maestro scompaiono dalla tavolozza del pittore comasco il quale recupera una luminosità più vivace e naturalistica, cercando però di conferire a ciascun soggetto un aspetto “vissuto”, con una leggera alterazione della superficie dipinta, tramite interventi di invecchiamento (increspature della carta, macchie di colore, sgocciolature) attraverso una gestualità che contrasta con la costruzione ben definita delle forme architettoniche, ed un procedimento di deperimento che può ricordare le fotografie o i fotogrammi cinematografici del passato, ormai consunti dall’inesorabile trascorrere del tempo».

Per informazioni tel. 338.7793082, e-mail artebrenna@gmail.com, Internet www.marcobrenna.com. [md – ecoinformazioni]

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