Fresu e la Brass bang! al Sociale
Grande musica al Sociale con il quartetto di ottoni di Paolo Fresu: una compatta rilettura della musica jazz (e non solo) fra tradizione e avanguardia, da Haendel a Fred Buscaglione e ritorno.
Paolo Fresu è uno dei grandi esponenti del jazz italiano (non così pochi, in realtà, nonostante l’ancora ristretta conoscenza di questo genere musicale presso il grande pubblico), e come i veri grandi non smette di cercare e di sperimentare: così capita di trovarselo coinvolto non solo nei quartetti, quintetti o sestetti più “tradizionali”, ma anche in formazioni diverse, più o meno classiche (anni fa a Lugano lo si ascoltò con l’Orchestra della Svizzera Italiana), più o meno folk o world che dir si voglia, più o meno rock o pop o leggere. Capita di trovarselo a Chiasso (in duo con Uri Caine al piano) e persino a Como (qualcuno ricorderà la sua prima apparizione di molti anni fa quando il capoluogo lariano aveva un jazz festival… e Fresu era solo una “promessa”).
Ieri sera la “Brass bang!” era un po’ di tutto questo: riproposizione in chiave minima delle bande di ottoni che hanno fatto la storia del jazz, anche di quella recente (come ha ricordato proprio in apertura di serata Paolo Fresu con un esplicito omaggio a Lester Bowie), occasione per rileggere classici in ogni genere (da Haendel a Duke Ellington a Fred Buscaglione), sintesi delle diverse anime del jazz tra cantabilità e dissonanze d’avanguardia.
Un quartetto perfettamente affiatato, per metà italiano e per metà statunitense (Paolo Fresu alla tromba e flicorno, Steven Bernstein alla tromba e tromba a coulisse, Gianluca Petrella al trombone e Marcus Rojas alla tuba) ha dato vita a quasi due ore di grande musica, che il pubblico ha seguito con molta attenzione, dando prova di sapersi orientare tra sonorità molto diverse e linguaggi tutt’altro che scontati. Si coglie nello sviluppo del programma proprio la scelta di fusione tra tante opzioni diverse: molto interessante è, per esempio la rilettura della musica classica, che lungi dall’essere semplice “cover” è una vera e propria reinvenzione delle logiche musicali di base, così come l’uso molto misurato dell’elettronica.
Notevolissime davvero le prove dei singoli: non solo quelle di Fresu e Bernstein, ma anche quelle di Petrella al trombone e di Rojas al basso tuba (strumento quest’ultimo abbastanza insolito sui palcoscenici, nonostante una grande tradizione bandistica).
Alla fine tre bis richiesti a suon di applausi sanciscono il successo del concerto, con la speranza che Como possa ritrovare un ruolo nel panorama jazzistico. [Fabio Cani, Ecoinformazioni]