Senza cultura non si mangia
Il secondo incontro sul tema “Può la cultura essere il nuovo motore di sviluppo del Paese?” – questa volta alla Camera di Commercio di Como nel tardo pomeriggio del 16 maggio – è stato assai più stimolante del primo e ha saputo dare qualche indicazione sul rapporto, tutt’altro che scontato, tra cultura, economia e sviluppo.
Confesso che – per impegni concomitanti – non ho potuto seguire tutto l’incontro e che mi è toccato di fare come quei recensori che leggono le prime pagine di un libro e poi le ultime e decidono se vale la pena di affrontare tutta l’opera. Detto ciò, aggiungo che quello che ho sentito mi è sembrato segnare un netto passo in avanti rispetto alla deludente passerella del primo incontro del 21 febbraio scorso all’Accademia di Belle Arti “Aldo Galli”.
Sono bastati i primi tre interventi a fare piazza pulita di facili banalità intorno alla cultura. La risposta di Barbara Minghetti alla domanda che avrebbe voluto essere provocatoria (“con la cultura non si mangia oppure sì?”) è stata lapidaria: è ovvio che con la cultura si mangia, le prove sono innumerevoli anche a Como. Da parte sua il sindaco Mario Lucini ha sottolineato il rischio di farsi seppellire dall’emergenza (cioè dalla mancanza di risorse), ma ha ricordato che il prodotto culturale non può essere considerato solo come un prodotto economico e men che meno come un prodotto commerciale e che quindi il suo valore si misura anche e soprattutto sulla capacità di far crescere la comunità. Terzo intervento, ancora più articolato, quello di Pier Luigi Sacco, docente di Economia della Cultura allo Iulm, che ha insistito sulla complessità del problema e sulla ricchezza (in tutti i sensi) del settore dell’industria creativa e culturale (in cui rientrano molte attività che spesso non vengono riconosciute per tali) e – specularmente – sull’errore di enfatizzare solo alcuni aspetti. Da un’analisi un po’ meno viziata da pregiudizi deriva una interessante deduzione: la cultura che serve alla produzione (design, fashion ecc.) si sviluppa tanto più quanto più è ricco l’ambiente culturale in cui opera; ovvero: quegli aspetti dell’attività culturale che vengono a volte vissuti come parassitari (gli spettacoli, gli incontri, le mostre che “costano” e che non hanno “rientri economici”) hanno in realtà l’effetto di garantire all’attività cultura capace di produrre ricchezza la possibilità di svilupparsi. E l’industria creativa e culturale vale oggi in Europa ben di più che l’industria automobilistica nel suo insieme. Anche se si fa fatica a vederla come entità specifica, visto che è costitutivamente basata su una polverizzazione di imprese. È quindi estremamente importante riuscire a sviluppare una strategia complessiva per il sistema culturale, in grado di tenerne in considerazione tutte le diverse esigenze.
Al dibattito – condotto da Bruno Profazio, vicedirettore “La Provincia” di Como – hanno poi partecipato anche Armando Massarenti, responsabile Domenica Sole24ore, Paolo De Santis, presidente Camera di Commercio di Como, Marco De Michelis, direttore Fondazione Antonio Ratti, Salvatore Amura, presidente Accademia Galli – Ied.
Salto necessariamente alle conclusioni. In questo momento di crisi, chi abbia la capacità di mettere a fuoco un progetto complessivo ha la grande opportunità di “arrivare primo”, di costruire modelli che possono servire anche agli altri e che possono guadagnare enormi possibilità di attrazione di risorse (anche dai paesi emergenti). È un’opportunità che Como potrebbe cogliere, mettendo bene a fuoco che la possibilità di “incubazione” e “accelerazione” delle imprese creative dipende anche da condizioni non-economiche. È un dato accertato che l’attività culturale-creativa-economica è in relazione diretta con la partecipazione della popolazione alla gestione della cosa pubblica.
Senza cultura non si mangia, e senza democrazia reale non c’è cultura.
All’attento (e numeroso) pubblico di oggi il compito di tirare le conclusioni. [Fabio Cani, ecoinformazioni]
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