Il linguaggio dell’architettura

Novati TenconiNel tardo pomeriggio del  13 giugno alla Feltrinelli di Como si è svolto l’incontro con Alberto Novati, docente di Composizione architettonica e di Laboratorio di progettazione dell’architettura al Politecnico di Milano, e  con Lucia Tenconi. Ha collaborato all’organizzazione dell’evento anche l’associazione VoCi (Volontà Civile), rappresentata da Stefano Novati.

Affiancato dall’architetta comasca Lucia Tenconi, Alberto Novati ha esposto ai circa trenta presenti i contenuti della sua ultima opera, edita lo scorso anno e scritta unitamente al collega Aurelio Pezzola: Il mutevole permanere dell’antico. Giuseppe Terragni e gli architetti del razionalismo comasco [Araba Fenice, 2012 – 212 pagine, 35 euro] . Di grande formato e ricca di immagini, essa vuole fornire, più che un compendio di storia dell’architettura (come il sottotitolo potrebbe suggerire), una “cassetta degli attrezzi” che fornisca strumenti d’azione finalizzati alla progettazione architettonica.

mutevoleAttraverso una lettura analitica e storicizzata delle opere dei “razionalisti comaschi” quali Giuseppe Terragni, Pietro Lingeri, Cesare Cattaneo (inter alia) presenti in territorio cittadino e regionale, gli autori intendono dimostrare la natura logica dell’architettura che costituisce, in effetti, un vero e proprio linguaggio, dotato di una coerenza interna e di regole da conoscere ed applicare. In questo senso, un’opera architettonica non è da intendersi come creazione, bensì come composizione di determinati “archetipi” di millenaria identità storica.

Il linguaggio architettonico non è da sovrapporsi all’opera compiuta,  ma sottende ad essa, precisa Novati. Prima ancora che l’architetto, esso  è chiamato a definirne forma e funzioni, sulla base di “simboli” universalmente validi  applicati in diverse situazioni spazio-temporali  senza mai perdere significato ed efficacia. Il titolo stesso della pubblicazione di Novati e Pezzola fa riferimento ad un paradosso del russo J.A. Brodskij, per il quale il linguaggio è in grado di sopravvivere al passare del tempo pur dimostrando una natura mutevole.

Numerosi elementi caratteristici di note opere razionaliste del comasco sono infatti riconducibili alla tradizione classica: la pianta biabsidata, il mausoleo a tholos realizzato da Lingeri a Ossuccio, la struttura originariamente studiata per il monumento ai Caduti, che richiama per molti aspetti  la struttura dell’ingresso di un tempio greco, per fare alcuni esempi.  Senza dubbio, la dimensione sacrale e religiosa riveste un ruolo fondamentale per quanto riguarda il linguaggio dell’architettura: alla base di archetipi come la colonna o la scalinata che conduce alla sommità del “monte sacro” – quest’ultimo un altro elemento paesaggistico-architettonico codificato e frequente –  si possono trovare interpretazioni mitologiche facenti riferimento a complessi sistemi cosmogonici.

Progettate e realizzate durante il ventennio fascista da architetti fascisti, le architetture razionaliste stimolano la memoria e la riflessione storica che oggi, osserva Tenconi, sono frequentemente “lasciate in ombra” da uno stile di vita fortemente imperniato sul tempo reale. Edifici e monumenti razionalisti mantengono invece elementi compositivi  che il linguaggio (un linguaggio di matrici  piuttosto che di essenze ) è in grado di veicolare, mettendo in comunicazione passato e presente.

Una caratteristica profondamente connaturata nell’architettura razionalista è la sua dimensione collettiva: le opere di Lingeri, Mantero, Terragni e degli altri esponenti dello “stile” (termine che l’architettura contemporanea, peraltro, tende a evitare) sono state progettate per essere funzionali alla dimensione pubblica, si tratti di monumenti oppure di strutture di servizio e di residenza.

Nel 1933, il piano regolatore della città di Como è stato riformato: le strutture di interesse collettivo sono state collocate nei pressi del lungolago, peraltro definito come “spazio turistico” e già caratterizzato da eleganti hotel fin de siècle, dalla funicolare che porta a Brunate e dal profilo liberty della stazione ferroviaria “Como Lago”; in una zona distinta della città, relativamente centrale ma di minore impatto estetico, è stata collocata la produzione industriale;  solo successivamente i razionalisti hanno provveduto ad ampliare la città verso le periferie edificando quartieri di tipo residenziale, in previsione di un aumento demografico verificatosi nei decenni a venire.

Esistono applicazioni più o meno ortodosse dei criteri del razionalismo; ad ogni modo, opere di diversi esponenti manifestano un’osservanza scrupolosa dei suoi presupposti principali: funzionalità sociale, economica e politica, sfruttamento ragionato della situazione paesaggistica, rapporto continuo, ma non idealizzato, con la storia, priorità dell’”utile” rispetto al “bello”. Bisogna notare l’analogia del razionalismo comasco, prodotto del periodo fascista, con gli altrettanto rigidi schemi del “realismo socialista” sovietico, in auge negli stessi anni.  La stessa dimensione urbana, rimarca Stefano Novati, non è in alcun modo alienabile dalla propria natura collettiva, per la quale la facciata di un edificio privato fa parte essa stessa del patrimonio pubblico. In questo senso, l’architettura costituirebbe di per sé un’attività di tipo politico. In un’epoca segnata da regimi totalitaristi, verrebbe da pensare che un intervento da parte degli establishment politici  sull’architettura e sull’urbanistica sia stato, dunque, pressoché inevitabile.

L’architetto, che si definisce “razionalista” e “rogersiano”, individua il punto di forza degli esponenti del razionalismo comasco nell’aver saputo applicare la “sintassi” architettonica sfruttando sapientemente la situazione geografica e storica del capoluogo lariano. Forse, negli anni Trenta, una coscienza ambientalista non era ancora sufficientemente matura, per cui non si può parlare di un’architettura eco-friendly. È  però innegabile una certa coerenza di fondo tra il piano urbanistico rettilineo del castrum di epoca romana, tuttora palese nel centro storico, e la funzionalità delle opere razionaliste. Il modello urbanistico razionalista di Como tra gli anni Trenta e Sessanta avrebbe costituito un modello “virtuoso” che, tuttavia, non è stato sufficientemente preso ad esempio.

Novati, infine, prende le distanze da un approccio di tipo “spettacolaristico”alla progettazione: la scelta di dare “carta bianca” ad un’archistar, sostiene, non ha nulla a che vedere con la visione condivisa dei razionalisti di  un’architettura utile, concreta, durevole ma, soprattutto, intrinsecamente legata alla dimensione collettiva. [Alida  Franchi per ecoinformazioni] [Foto La Feltrinelli Como]

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