
13 settembre/ Psicopatologia dell’odio razziale
Abbiamo chiesto a Roberto Pozzetti, psicologo, psicoterapeuta e fondatore del centro Jonas di Como di illustrare il tema Psicopatologia dell’odio razziale dell’incontro di sabato 13 settembre nell’ambito delle iniziative antifasciste Un groviglio di serpi.
Alle 18, in via Roma, a Cantù, Roberto Pozzetti dialogherà di logiche inconsce dell’odio razziale con Marco Focchi (direttore della sede di Milano dell’Istituto Freudiano, Istituto di specializzazione in psicoterapia psicoanalitica).
Il razzismo precede i regimi totalitari ma la sua incarnazione più orribile avviene nel connubio con i totalitarismi sorti dopo la crisi economica successiva alla Prima Guerra Mondiale ed al crollo di Wall Street, nel ’29.
I primi psicoanalisti, allievi di Freud, hanno incontrato il razzismo sulla loro pelle: i loro libri venivano arsi al rogo dai nazisti e la maggior parte di loro dovette fuggire, negli Stati Uniti, per sottrarsi alla barbarie nazifascista. Quale era la colpa degli psicoanalisti ? Alcuni di loro erano sicuramente vicini alle idee socialiste e la psicoanalisi stessa si basa sulla regola della libera associazione (“Mi dica quello che le viene in mente”) dalla caratteristica sovversiva, che va contro le imposizioni totalitarie. Molti colleghi in effetti si scontrarono con il regime nazista in quanto si opposero all’eutanasia di bimbi disabili e pazienti psichiatrici. La vera colpa dei primi psicoanalisti era, però, un’altra: quella di essere ebrei. Freud proveniva dalla tradizione ebraica e, per questo, quando i nazisti invasero l’Austria, dovette emigrare a Londra dove morì. Altri analisti, come Bettelheim, affrontarono la drammatica esperienza dei lager.
Molti allievi di Freud si interessarono alle dinamiche della società totalitaria. Per W. Reich, in certe condizioni, “le masse desiderano il fascismo”. Nella Scuola di Francoforte, autori come Fromm e Marcuse hanno sottolineato quanto siano radicati nell’essere umano il timore della precarietà e dell’ostracismo totale portandolo ad aderire ad organizzazioni politico-istituzionali imperniate su figure autoritarie; quanto i timori pregiudizievoli di venire depauperati o contaminati dall’altro avessero trovato una cristallizzazione nella figura minacciosa dell’ebreo.
Queste tematiche storiche trovano ancora un’attualità sia a livello internazionale (con la guerra nei Balcani e il perdurare del conflitto israelo-palestinese) sia a livello locale nei confronti degli immigrati ma anche di tutte le minoranze discriminate, quali gay e soggetti etichettati come diversi. Lo psicoanalista francese Jacques Lacan preconizzava un ritorno in auge del razzismo. Vi è, in effetti, una nuova forma del razzismo: quella della valutazione diagnostica per cui siamo tutti classificati in varie razze: la razza dei dislessici, degli iperattivi, dei depressi, ecc.
L’odio razziale si impernia sui modi di godimento altrui. Un elemento in comune fra la figura clinica della paranoia e il razzismo è infatti attribuire al diverso una volontà di godimento maligna: lo straniero invaderebbe il nostro paese, rubandoci il lavoro e costituendo una minaccia per la nostra società. Un secondo elemento in comune è costituito dalla rottura di ogni dialogo: come il paranoico interrompe ogni scambio dialogico con colui che è convinto lo perseguiti, così il razzista si caratterizza per la rottura di ogni dialogo con le culture diverse. L’avversario diviene un nemico personale da sradicare e distruggere.
La psicoanalisi, anche in questo, si contrappone al razzismo e si basa sull’importanza della parola e dell’ascolto convinta che la dimensione veramente altra sia quella parte di noi stessi che resterà sempre a noi per certi versi straniera: l’inconscio. [Roberto Pozzetti per ecoinformazioni]
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