L’amore e l’elisir in versione graffiti

Nemorino ricorda un po’ Nemico di classe di Nigel Williams, Adina occhieggia ad American Graffiti, Dulcamara a Easy Rider (anche se la sua moto non è un chopper), Belcore e i suoi compagni poi sembrano essere passati prima da Pulp Fiction. A questo punto sarebbe facile immagine che L’elisir d’amore sia una qualche sostanza psicotropa, o almeno una birra di quelle impegnative… e invece no: l’elisir resta elisir. È in questo sottile gioco di equilibrismi tra attualizzazioni e fedeltà che L’elisir d’amore messo in scena all’Arena del Teatro Sociale di Como vince la scommessa di essere un’opera popolare (e anche un po’ pop) e di restare al tempo stesso un classico.

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Nuovo capitolo di quel progetto di “opere partecipate” da e con la città, avviato nel 2013 con i Carmina Burana in occasione del bicentenario del teatro cittadino, L’elisir d’amore dimostra, con ogni evidenza, che quel modello ha possibilità di continuare. Sicuramente riuscite sono le scelte di fondo: la partecipazione popolare al coro (e in parte all’orchestra) crea una grande massa di manovra che, anche in presenza – in questo caso – di una ridotta esigenza musicale, viene efficacemente sfruttata per la messa in scena (i coristi e le coriste interpretano le loro comparsate con precisione e divertimento); l’obbligata scenografia dell’Arena è non solo percorsa in tutte le direzioni (il palco, il portico, i balconi e le finestre) ma anche ravvivata con colorate proiezioni in stile graffiti/tag che contribuiscono a evidenziare l’evoluzione della vicenda. Alla fine, anche l’attualizzazione dagli originari Paesi Baschi di fine Settecento a un’ipotetica School of art degli anni Sessanta funziona (con l’unico piccolo fastidio delle didascalie in un inglese in buona parte probabilmente superflue) e – appunto – l’equilibrio tra musica, libretto e attualità visuale sottolinea la piacevolezza dell’opera.

Così, succede che quando il povero Nemorino (nome alquanto improbabile persino nel contesto artistoide cui si allude) attacca Una furtiva lagrima nessuno si stupisce e anzi l’accorata aria risulta del tutto intonata al personaggio, pur coi suoi abiti in stile badboy e la sua berretta trendy.

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Il giovane cast è perfettamente a suo agio nella messa in scena di una storia che squinternata già nell’ambientazione villereccia dell’originale, resta tale anche nella nuova versione, e tuttavia in grado di mettere in bell’evidenza le rispettive qualità (non solo canore, ma anche attoriali: e avere dei protagonisti che sanno anche muoversi e interpretare e non solo dispiegare la voce non guasta di certo). Alla fine l’Elisir di Gaetano Donizetti risulta godibile e, quel che forse più conta, divertente e popolare, adatto anche a un pubblico un po’ diverso dai melomani professionali cui il belcantismo nostrano sembra assuefatto.

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Meritati gli applausi ai protagonisti Francesca Sassu (Adina), David Astorga (Nemorino), Pablo Gálvez (Belcore), Vincenzo Nizzardo (Dulcamara) e Sarah Tisba (Giannetta), al coro (partecipato e professionista) con i maestri Dario Grandini, Mariagrazia Mercaldo, Mario Moretti, all’orchestra con il direttore Jacopo Rivani e alla regista Rosetta Cucchi.

Mentre si sciama soddisfatti dall’arena, si pensa già al progetto dell’anno prossimo.

Si replica il 2 e il 5 luglio, alle 21.30.

[Fabio Cani, ecoinformazioni]

 

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