
Emilio Russo/ Aree vaste: ha ragione Maroni
Emilio Russo interviene nel dibattito talora effettivamente surreale sugli “smembramenti” territoriali e le difese all’arma bianca di brandelli di territorio che appassionano la politica e i media locali. Russo per una volta è con Maroni: «Come il Presidente della Regione ha correttamente puntualizzato, prima del referendum del prossimo autunno non ci sarà nessuna legge sulle “aree vaste”. Chi vorrà esprimere un giudizio negativo sull’abolizione senza alternative delle Provincie e sulla creazione del “monstrum” della città metropolitana avrà la possibilità di usare l’arma del voto».
«Hanno scomodato persino Napoleone e Urbano Rattazzi. Si sono avventurati a ricostruire scene bucoliche e a ipotizzare scenari catastrofici come se la “divisione del Lago” – in atto da qualche decennio – potesse avere gli effetti del passaggio di Mosè nelle acque del Mar Rosso. Convincendo magari arabi e russi che da qualche anno danno l’assalto alle ville lariane a emigrare sul Caspio e George Clooney ad abbandonare frettolosamente la sua casetta di Laglio. I più scafati si sono spinti a ricordare che, “beh in fondo Maroni fa gli interessi di Varese” e lo hanno anche accusato di non conoscere “il territorio”. Come se Roberto Maroni da Lozza abitasse su un altro pianeta, lui che da giovane suonava l’organo in una chiesa di Olgiate. Comasco, appunto. A nessuno, anche tra i più sospettosi, è invece venuto in mente che molti dei convitati al tavolo della competitività – che in questi anni per la verità non ne ha fatto una giusta, dal campus alle paratie al pedaggio della Pedemontana – avevano in mente di tutelare la loro posizione di responsabile di qualcosa, a partire dai Consiglieri regionali, per i quali i vecchi confini rendono più facile la rielezione. Nemmeno i più colti si sono ricordati che l’unica solida entità con qualche storia alle spalle e con un’organizzazione effettiva è stata l’Antica Diocesi di Como. Ma convincere valtellinesi e, soprattutto, abitanti del Ticino, a rientrare nella nuova “area vasta” in effetti non sarebbe per niente semplice. Lecco, per la cronaca, non c’era.
L’”area vasta”, già. Per dirla con il Metastasio, “che vi sia, ciascun lo dice; dove sia, nessun lo sa”. Soprattutto nessuno è in grado di prevedere cosa potrebbe essere. Per ora, è una “semplice espressione geografica”, la cui percezione tende a sovrapporsi, in molti, all’immagine della vecchia Provincia, abolita a furor di popolo in omaggio alla new wavedella rottamazione delle poltrone, dei politici, dei partiti “che sono la rovina dell’Italia” e via delirando. E che adesso sembrerebbe rimpianta e, comunque, dura a morire nell’immaginario dei cultori dell’identità. Per il momento, le uniche certezze, che sembrano sfuggire ai più, sono la cancellazione delle Provincie dal nuovo testo della Costituzione partorito dal duo Renzi – Boschi e la creazione delle città metropolitane. Da noi, la conseguenza è che al centro della Lombardia ci sarà un’istituzione potente, insediata su un territorio in cui vive più di metà della popolazione e in cui viene prodotto più di metà del pil. Con una forza politica prevedibilmente enorme, in ogni caso preponderante. Al punto che qualcuno, nelle realtà di confine come Saronno o Busto Arsizio, sta valutando se non sia meglio unire il proprio destino a quello di Milano. Il resto? Terra incognita. Res nullius. Sulla mappa delle istituzioni ci sarebbe un grande buco nero: territori privi di rappresentanza, tanto più che le Regione (ah, le Regioni, nel mirino anch’esse della demagogia ispirata da Renzi) sarebbe ridotta a un ectoplasma.
Ragioniamo laicamente, rinunciando alle parole prive di senso e agli slogan tipo “un lago, una cultura, un unico territorio”. Il copyright è di Forza Italia ma è del tutto trasversale. Di quella trasversalità malata che è la tomba della politica. Espressione di quel pensiero unico che dalla stampa si diffonde ai partiti colonizzando la loro già scarsa capacità di riflessione e la loro autonomia culturale. Si scusi l’espressione. A Lecco nessuno vuole tornare “sotto” Como. E a ragione. Che c’azzecca la Valvarrone con Castelnuovo Bozzente? Davvero “il lago” è un collante così forte da prevalere su qualsiasi valutazione delle dinamiche reali, economiche, sociali, culturali, dei diversi territori? E la città di Como davvero vuole ridursi a essere il capoluogo del Lago, cioè di un’area in cui vive meno di un quinto della popolazione della vecchia provincia? Se questa fosse l’opzione, troverebbe conferma non già la centralità di Como ma la sua progressiva marginalità in termini economici, commerciali, culturali, subita o forse ricercata, se si considerano le politiche di questi anni, tutte orientate a una autoreferenzialità fatta di accessibilità problematicae di mercatini natalizi simil-tirolesi. Come non accorgersi che la percezione di Como da parte di chi vive fuori città, a mano a mano che ci si allontana dalla città, è fatta di estraneità e di diffidenza? E come non vedere che, da Tavernola in su, non si trova un solo centro commerciale; che da Rebbio in su nessuno frequenta le scuole di Como; che le transazioni svolte dalle banche in città sono una porzione infinitesimale di quelle realizzate nelle banche “di provincia”?
A Varese si trovano ospedali e cliniche universitarie, per molti raggiungibili con maggiore facilità degli ospedali di Como. C’è, ed è ormai un dato irreversibile, il polo principale dell’Università dell’Insubria. Nel territorio di Varese è collocato il principale hub aeroportuale del Nord Italia, quello di Malpensa. A Varese ci collega l’autostrada Pedemontana. A Varese fa capo, come a Como, la rete di Ferrovie Nord, le cui potenzialità, ancora poco sfruttate, nella prospettiva di una metropolitana a cielo aperto,sono straordinarie. Con l’area di Varese condividiamo il fenomeno del frontalierato e la presenza di un sistema manifatturiero tra i più vitali del Paese. Tutti temi che presentano criticità rilevanti ma che devono e possono essere presi in carico solo che si considerino in un’ottica più vasta, che vengano assunti da una politica che sappia andare oltre gli slogan vuotamente identitari. C’è qualcosa del genere che ci colleghi a Lecco?
Che poi questa dimensione del problema non venga colta dagli attuali amministratori di ciò che resta della Provincia è in fondo paradossale. Soprattutto se si considera che l’attuale presidente è da vent’anni al timone di un comune, Olgiate, esattamente baricentrico tra Como e Varese e la cui funzione nella prospettiva del nuovo “Cantone” potrebbe essere fortemente valorizzata. Così come è sorprendente che il sindaco, uscente, di Como, non riesca ad andare al di là di poche parole di circostanza per bollare come “inammissibile” l’ipotesi di Maroni e confermare la scelta dell’isolamento. Salvo bussare alle casse del Pirellone per cercare di uscire dal pantano delle paratie. Quando, per fare fronte alla sua crisi, Como da tempo avrebbe dovuto attivarsi per fare rete con le altre città del nuovo sistema multipolare: Cantù, Erba, Mariano Comense, ma anche Varese, Busto Arsizio, Saronno, Legnano ecc. Costruire alleanze, creare sinergie in campi come la cultura, l’istruzione superiore, i trasporti, la sanità ecc.). Sembra invece che gli amministratori di Como non riescano a convincersi che il vecchio schema capoluogo-contado è solo un anacronismo privo di senso e che nessuna operazione nostalgia è in grado di attualizzarlo. Definitivamente superato dalla crescita di altre reti di relazioni, dalla dislocazione di imprese, centri commerciali, servizi, alla nuova dimensione del web.
Certo, come il Presidente della Regione ha correttamente puntualizzato, prima del referendum del prossimo autunno non ci sarà nessuna legge sulle “aree vaste”. Chi vorrà esprimere un giudizio negativo sull’abolizione senza alternative delle Provincie e sulla creazione del “monstrum” della città metropolitana avrà la possibilità di usare l’arma del voto. Perché quel referendum, che per inciso umilia le Regioni e salvaguarda solo le metropoli, e non riguarda solo le poltrone dei senatori. Ma se anche il referendum dovesse sancire la bocciatura della legge Renzi-Boschi, azzerando ogni discorso sulla cancellazione della Provincia, il tema delle aggregazioni e delle caratteristiche di un nuovo ente intermedio – non il fantasma delle “aree vaste”- rimarrebbe comunque sul tappeto. C’è da augurarsi, in un caso o nell’altro, che la bussola delle scelte non sia il mix devastante di pressappochismo e demagogia». [Emilio Russo per ecoinformazioni]
Condivido pienamente l’articolo, avendone vissuto come amministratore di Erba e come lavoratore, almeno un passaggio, quello dell’istituzione della provincia di Lecco, che smembrò più di venti anni or sono il territorio e anche il lago e che forse anche qualcuno che oggi disapprova , votò la nuova istituzione. Da allora , ad esempio, la città di Erba perse gran parte delle sue prerogative soprattutto economiche che la vedevano baricentrica , tant’è che l’amministrazione leghista propose, visto il rito ambrosiano, di abbinarla a Milano…..Corsi e ricorsi che con il gioco dei “quattro Cantoni” o delle tre tavolette delle aree vaste cerca di far rientrare dalla finestra ciò che potrebbe uscire dalla riforma Costituzionale, in modo molto evidente di non perdere sia i centri di potere politico locale che i relativi posti pubblici che ne derivano.