Il cibo, la musica, la città
Alle 18.30 alla stazione e sul prato del piccolo giardino antistante è tutto tranquillo. Le persone arrivate da lontano per cercare di varcare la frontiera e ultimare il proprio viaggio fino in Germania sono molte, di più degli ultimi giorni, e si capisce che sono di più quelle che ci sono rispetto a quelle che si vedono.
Sono quasi tutte molto giovani. I ragazzi giocano: qualcuno tira un paio di calci al pallone, gli altri giocano a pallavolo (o qualcosa di simile); le ragazze sono per lo più sedute sul prato a chiacchierare, a riposarsi, a mettere in ordine le poche, pochissime cose che hanno.
In molti, semplicemente, aspettano.
Roberto Maggioni di Radiopopolare intervista i volontari, racconta la situazione in diretta, prepara il pezzo per il giornale della sera.
Nel frattempo alla mensa di S. Eusebio, in via Volta, a poche centinaia di metri, si prepara la cena. Ieri sera sono stati quasi 250 i pasti distribuiti, questa sera probabilmente di più.
Alle 19 è quasi tutto pronto. A piccoli gruppi, arriva chi ha bisogno di un pasto. Ormai hanno imparato la strada – dicono. Ci mancherebbe altro: hanno fatto migliaia di chilometri per arrivare qui, senza perdersi, nonostante traversie drammatiche e blocchi di tutti i tipi… e si dovrebbero perdere per pochi centinaia di metri…
Il clima generale è sereno. L’organizzazione quasi naturale. Non c’è efficientismo esagerato ma nemmeno approssimazione. Tutti hanno un ruolo, chi arriva al momento e non sa ancora cosa deve fare, chiede e ottiene risposta.
Il salone del “ritrovo giovanile” di S. Eusebio (così recita l’insegna) dove si mangia è in realtà una sorta di teatrino. Lì si sistema la maggior parte delle persone; al piano inferiore in una sala più piccola si raccolgono bambini e bambine con le madri.
La sala si riempie in fretta e in fretta si crea la coda di attesa. Tutti sono ordinati, educati, pazienti. Le pentole vuote si sostituiscono, le brocche d’acqua si riempiono, i pezzi di pane continuamente ridistribuiti.
Sul palco del teatrino una giovane donna con la chitarra elettrica suona e canta: è Fatoumata Diawara, star della musica maliana. Si ha l’impressione che la maggior parte dei presenti quasi non se ne accorga, l’esigenza di una cena calda è ben più impellente che quella di ascoltare della buona musica. Lei non sembra proprio offendersene: il suo sorriso è smagliante e la sua musica è convinta; è il sottofondo giusto per questa situazione singolare: un’assurda commistione di diritti negati, di umanità riaffermata, di esigenze materiali e di aspirazioni ideali, di ingiustizia e di serenità; non è una musica rasserenante, per i toni acidi della chitarra, eppure fa quasi da ninna-nanna per il ritmo ribattuto di questo blues delle origini.
Intanto la coda aumenta, ma sempre senza nervosismo. Qualcuno trova modo di ingannare il tempo con una partita a calciobalilla.
Tutte le persone e le realtà presenti, la Caritas, i volontari e le volontarie, stanno facendo quello che è giusto fare. La speranza è che questo impegno non venga inteso dalle istituzioni che dovrebbero fare la loro parte come un alibi per tardare ancora.
Questa parte di umanità non è qui per caso. Dovrebbe bastare un giro alla mensa di S. Eusebio (ma anche in altri posti) per capirlo.
[Fabio Cani, ecoinformazioni]
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