Natura sopravvissuta/ La mappa della Como protetta
Il centro di Como, si sa, si affaccia sul lago ed è racchiuso su tre lati da colline. Un territorio a tratti impervio e di interesse naturalistico e storico. Tutto il territorio comunale ha un’orografia accidentata, con una forte urbanizzazione concentrata in convalle e sulle parti più dolci dei rilievi circostanti, in pratica la metà dei 37,34 Kmq comunali sono urbanizzati, 19.174.739 mq, più precisamente il 51,35 per cento, la parte restante è in piccola parte agricola e per lo più a bosco (1, 1bis). La vocazione agricola, anche su terrazzamenti, di parte del territorio collinare è stata abbandonata a favore del bosco quando ne è venuta meno la redditività economica.
La continua cementificazione, in crescita negli ultimi anni con il recupero a scopo residenziale delle dismesse aree industriali, non è giustificata dalla crescita demografica. La popolazione residente infatti ha già toccato il suo massimo storico con il censimento del 1971, con 97.996 abitanti, per scendere ai 78.680 del 2001, e riassestarsi sugli 84.085 nel 2009 (2).
La cementificazione tocca tutto il territorio provinciale, solo fra 1999 e 2012 le aree urbane sono aumentate del 9,9% e quelle agricole sono scese del 7,5% (3), con un ulteriore incremento del consumo di suolo agricolo del 8,83% fino al 2015 (4) e un ulteriore aumento dello stesso del 0,18% fra 2015 e 2016 (5). Bisogna precisare che nell’insieme del Comasco il territorio urbanizzato è il 15,8%, predomina il bosco con il 60,1% del suolo utilizzato, mentre il restante 15,3% è agricolo (6).
Nel capoluogo sopravvive comunque una marginale attività agricola, le aziende sono fra 65 e 105, le stime divergono da fonte a fonte (7) e nelle zone più impervie sopravvive un’area boschiva con interessanti aspetti naturalistici e reperti storico-archeologici.
Ma come è tutelata questa ricchezza naturalistica e culturale?
Due delle tre fasce collinari sono protette dal parco della Spina Verde, l’ente regionale che si ripropone, come da Statuto: «La conservazione attiva delle specie vegetali ed animali, della associazioni vegetali, dei boschi, dei valori panoramici, attraverso la difesa e la ricostruzione degli equilibri ecologici idrogeologici; la tutela e il recupero paesistico ed ambientale delle fasce di collegamento tra città e campagna, nonché la connessione delle aree esterne con i sistemi di verde urbano, la valorizzazione e conservazione del patrimonio storico-archeologico; la promozione economica sociale e culturale delle comunità esistenti; la fruizione sociale, turistica e ricreativa, intesa in senso compatibile con gli ecosistemi naturali e la salvaguardia delle strutture esistenti; la promozione di attività di ricerca scientifica, con particolare riguardo a quella interdisciplinare; la promozione di attività culturali ed educative, di informazione e di ricreazione» (8).
Il parco tutela la dorsale a ovest di Monte Olimpino e del centro città (due ambiti separati dalla cesura della Val Fresca) e a sud il Monte Goj (separato dal resto del Parco dalla Val Mulini). Per inciso il Comune di Como, il più popoloso fra quelli coinvolti, contribuisce al budget gestionale del Parco con un contributo del 38,54%, partecipando all’ente per il 23,82%.
Non solo, nel sud del territorio comunale è presente il Sito di importanza comunitaria (Sic) della Palude di Albate, l’ex Oasi Wwf del Bassone, gestito dall’Amministrazione provinciale (9) per cui nel 2014 è stata proposto l’allargamento e l’ingresso nel Parco delle Groane (10), anche se l’anno successivo già si accenna in proposito a «perplessità espresse da vari soggetti» (11).
Per quanto riguarda la zona a nord fra il Sasso di Cavallasca e il lago si erge la collina di Cardina per cui il Comune di Como, già nel 2003 aveva chiesto l’ingresso nella Spina Verde, preceduto dal Consiglio di Circoscrizione (ora sciolto) e dall’attivismo di alcune associazioni di quartiere, ma non se ne è fatto più nulla. Nella nuova variante del Sistema del verde del Piano di governo del territorio di Palazzo Cernezzi è scritto che l’ente parco ha valutato positivamente l’ingresso e che «è in corso di verifica l’estensione e la riperimetrazione dell’ambito da inserire» (12). Per ora, come recita Il quadro programmatorio dell’assetto ambientale comunale e sovracomunale dello stesso Pgt comasco: «La collina di Cardina è stata meritoriamente vincolata a Parco urbano dalle passate Amministrazioni, ma questo non è sufficiente a garantirne un’effettiva salvaguardia e valorizzazione» (13). Cardina per la Rete ecologica del Piano territoriale di coordinamento provinciale (Ptcp) di Villa Saporiti è un elemento costitutivo fondamentale, definito come Stepping Stones (ovvero Elementi areali di appoggio: «Aree di modeste dimensioni che costituiscono punti di appoggio alla rete ove mancano corridoi ecologici» (14) a cui si affianca una cosiddetta Zona tampone (15). Nonostante le estreme lentezze sembra tutto avviato in un’unica direzione, ma Palazzo Cernezzi fa un po’ di confusione e nel Rapporto ambientale della Valutazione ambientale strategica (Vas) del Pgt auspica con i Comuni di Maslianico, Cernobbio e Moltrasio l’istituzione di un Parco locale di interesse sovracomunale (Plis) della Collina di Cardina, una forma di protezione più blanda del Parco regionale. Un Plis, mai nato, che però in un futuro, come recita il Piano dei servizi, potrà entrare nella Spina Verde (16). Bisogna sottolineare poi, che, a parte la tradizionale passeggiata da Tavernola a Cardina del Primo maggio, un appuntamento fisso da dieci anni, la spinta popolare per l’ingresso della collina nel Parco si è arrestata. L’attivismo dei residenti di Sagnino si è ora orientato per il recupero del bosco, in gran parte di proprietà comunale, fra la loro frazione e il torrente Breggia (17), un lembo residuale di verde slegato dal cuore della collina.
Nella valle del Cosia invece gli sforzi dei residenti e de La città possibile (18, 18 bis) hanno finalmente raggiunto il risultato e la proposta di istituire un Plis fra Como, Tavernerio e Albese con Cassano, si è concretizzata nel 2017 (19). La zona per la Rete ecologica di Villa Saporiti è una delle Aree sorgenti di biodiversità di secondo livello.
Sia la valle del Cosia che la Spina Verde hanno fra i loro obiettivi quello di aumentare la fruizione delle zone verdi e lo sviluppo di un turismo ecocompatibile, perché i parchi non siano solo un vincolo, ma una forma di traino per l’economia locale, tanto più in una città che, anche se in maniera ancora confusa e senza una visione d’insieme, vuole fare del turismo un traino per lo sviluppo.
Poco distante, per i boschi sopra Civiglio, un ambito di massima naturalità per la Provincia, un luogo da tutelare il più possibile, Palazzo Cernezzi: «Ritiene di proporre un ambito di tutela disciplinato da apposite disposizioni attuative del Pgt» o un altro Plis, ma non si sa con chi (20).
Stanno quindi crescendo le tutele di quel terzo di territorio comunale non ancora cementifico, ma manca ancora un pezzo. Quella parte di collina, sotto Brunate, che da Garzola, passando per San Donato, gira attorno alla punta di Geno per arrivare al confine con Blevio.
Una zona boschiva molto interessante per Villa Saporiti, rientra negli elementi costitutivi fondamentali della rete ecologica come area sorgente di biodiversità di primo livello, poco meno della massima naturalità.
Si tratta di una zona impervia, in piccola parte terrazzata, vicino ai centri abitati, in cui si sta sviluppando una progettualità interessante.
Tutta la fascia montuosa fra Como e Brunate è però a rischio. Viene infatti classificata come Area di frana attiva (21) e con l’abbandono degli antichi terrazzamenti e dei boschi nessuno più interviene al primo sorgere di qualche fenomeno erosivo. Infatti anche il recupero turistico della Strada regia fatto da Comunità montana del Triangolo lariano e Società archeologica comense, date le frane, ha dovuto abbandonare l’idea del primitivo tracciato che da S. Agostino va a Blevio e partire da molto più in alto Nidrino di Brunate. Negli ultimi anni alcune frane hanno interrotto strade, come quella per Civiglio del 2014 (22), e quella sul principale sentiero che collega Como con Brunate passando per l’ex eremo di S. Donato prima dell’incrocio con la mulattiera che arriva dalla Val Gioera, franata recentemente (23).
La speculazione edilizia poi si incunea nel territorio con interventi estremamente invasivi, chi si ricorda dello scandalo della ex fabbrica del sapone sopra Villa Geno (24) ora ampiamente surclassata dall’ecomostro di Garzola (25,)? Ovviamente, per risparmiare, data la conformazione del territorio gli interventi si concentrano dove arrivano le strade, mentre l’abitato antico, raggiungibile solo a piedi, degenera e crolla. A Palazzo Cernezzi indaga la magistratura sul progetto di recupero, previo allargamento della strada appunto, per l’accesso a Villa Nizza in salita Peltrera (26).
Qualcosa si sta però muovendo in senso favorevole, con il recupero dei vecchi muri a secco (27), anche con il coinvolgimento di immigrati, e l’impianto di una nuova apicoltura (28) in un ampio progetto di apicoltura solidale (29), in cui anche ecoinformazioni è coinvolta. Questo mentre i tre sentieri che uniscono Como e Brunate sono sempre più vissuti, soprattutto quello che passa per S. Donato, anche grazie alle Passeggiate creative (30), al Sentiero dei sogni (31) e ai numerosi turisti che salgono o scendono dal Balcone della Alpi preferendo i piedi alla funicolare.
Ma ancora non si parla di una qualche tutela speciale per il territorio che ha visto negli ultimi anni l’ingresso di un nuovo abitante: il muflone.
Immessi 20 capi dall’amministrazione provinciale sul monte Moregallo nel 1989, già 5 anni più tardi erano diventati 120 (32), rallentando la crescita per arrivare a 300 capi in tutto il Triangolo lariano nel 2011 (33). Gli ungulati originari della Sardegna si sono acclimatati benissimo sul Moregallo, è stato anche prodotto un documentario su di loro (34), e da lì si sono espansi nella cosiddetta sacca di Barni, dove la convivenza con le attività umane genera qualche inconveniente, come incidenti stradali o devastazione di campi (35), per arrivare nei boschi fra Como e Brunate, facendo spesso capolino in città (36, 36 bis).
Date le frane e l’abbandono e l’impossibilità di arrivare in automobile, le ultime case di Como in salita Carescione sono ora un ammasso di macerie e le prime di Carescione, tra l’altro preesistenti al Catasto teresiano del 1722 (37) ed «edifici di interesse storico-testimoniale» per il Pgt di Brunate (38), sono sulla stessa strada, mentre i terrazzamenti che le circondano sono invasi da piante, roveti e ortiche abbandonati a una misera fine. Una fine ben triste per luoghi che, data la loro posizione potrebbero avere tutt’altro sviluppo essendo, soprattutto nei mesi estivi, luogo di passaggio turistico e di passeggiate per i comaschi. [Michele Donegana, ecoinformazioni]