
Sull’orlo del cratere/ un nuovo blog di ecoinformazioni/ Demos

Presto on line il blog di ecoinformazioni “Sull’orlo del cratere” di Marco Lorenzini. Anticipiamo il primo post: Demos.
In principio era dèmo, una unità territoriale dell’Attica, mentre il termine demos indicava l’insieme della porzione di territorio e il popolo che vi viveva. Questa sovrapposizione era già viva in Omero e indicava la simbiosi tra paese e territorio fertile, poi si trasformerà con Solone (inizio sesto sec. a.C.) in un gruppo socialmente definito, costituito da piccoli contadini e artigiani, protetti dalla sua costituzione. L’affermarsi della democrazia con la riforma di Clistene, tra la fine del sesto e l’inizio del quinto secolo a.C., portò all’equazione demos = demokratia; il valore geografico di demos subì progressivamente modificazioni, perse il significato di paese, territorio e i dèmo divennero divisioni amministrative (ad Atene erano 139 all’inizio) che erano alla base del sistema di cittadinanza, perché gli abitanti dovevano essere iscritti ad un demo. Questo fatto costituì una evoluzione rispetto alle antiche suddivisioni della popolazione che erano basate sui gruppi familiari (fratrie), ma anche il fondamento della costituzione dello stato. La cittadinanza consisteva in obblighi, non in diritti, ed era difficile da ottenere in quanto escludeva le donne, i minori, gli schiavi, gli immigrati, e la maggior parte dei coloniali, cioè i cittadini che avevano lasciato la propria città per trasferirsi ad Atene e che di solito avevano perso i diritti di cittadinanza della loro città-stato di origine.
La plebe di Roma, che non aveva caratteristiche particolari per nascita, virtù e denaro, era considerata il popolo, e soltanto dopo una guerra civile durata quasi due secoli riuscì ad ottenere all’inizio del III sec. a.c. pari diritti con i patrizi. Il termine popolo, in italiano volgare, comparve soltanto nel XIII secolo e stava ad indicare o un complesso di abitanti ordinati in reggimento militare di civili o cittadini delle classi economicamente e socialmente meno elevate. Quando poi nacquero i primi stati nazione a partire dal XIV sec. ecco ricomparire il termine popolo nella accezione di suddito: l’aristocratico e il contadino erano sudditi, ma le differenze di funzione nella società e quelle economiche sociali marcavano già le differenze. In ogni caso il suddito doveva obbedire agli ordini del re, tranne quando ciò implicasse un’offesa diretta a Dio e doveva pregare il re in quanto suo protettore, perché fosse conservato se era buono, perché si ravvedesse se era malvagio, seguendo e obbedendo i suoi legittimi comandi, fuggendo la sua collera, se illegittima, senza opporre resistenza, ma piangendo e invocando Dio.
Forse il passaggio più interessante dalla sudditanza alla cittadinanza lo abbiamo avuto a partire dal settecento con l’illuminismo e la rivoluzione francese, perché venne fondato il diritto ad avere diritto: il popolo è l’insieme dei cittadini che detengono i diritti fondamentali sanciti da una costituzione democratica, dentro i confini di uno stato nazione. Lo sviluppo economico degli stati nazionali e la crisi della cultura illuminista, a fine settecento, posero le basi di una ulteriore trasformazione che la storia consegnava su un piatto d’argento: al concetto di popolo come terra e identità e a quello di derivazione illuminista di cittadini portatori di diritti, si aggiunsero l’appartenenza, il sangue, la lingua, la religione, i costumi, i tratti somatici, in una parola l’ethnos. La storia di questa triste sovrapposizione, il popolo come nazione, ha prodotto il mostro dei nazionalismi e delle rivalità tra nazioni, mentre la rivoluzione industriale stava forgiando una nuova classe sociale, il proletariato, che sarebbe divenuto per le sinistre di ogni latitudine il popolo biblico eletto. In nome della classe sono state fatte rivoluzioni, sono nati totalitarismi, programmi politici e partiti, ma quando la mancanza di consapevolezza di essere classe, in sé e per sé si diceva una volta, mancava, ecco comparire schiere di burocrati pronti a sostituirsi nella gestione del potere. L’ottocento è stato il secolo, almeno in Europa, caratterizzato da una compresenza di diversi concetti di demos, legati alle forme degli stati (imperi, monarchie, monarchie costituzionali, repubbliche) e alle culture pubbliche dominanti: demos come suddito, demos come nazione, demos come cittadini, demos come classe. Ma la prima crisi finanziaria globale, iniziata nel 1873 a Vienna e durata vent’anni, pose le basi storiche della nascita, dentro il concetto di popolo nazione, di ethnos come razza eletta. Un percorso storico filosofico che si è alimentato con la prima guerra mondiale e con la crisi post bellica contribuendo alla nascita dei totalitarismi. Il mondo occidentale conobbe, a partire dal 1873 e a fasi alterne negli anni successivi, una crisi agraria, cui si aggiunse una parallela crisi industriale, con forti riduzioni della domanda, profitti calanti, massicci licenziamenti, riduzioni salariali, repressioni, ai danni dei sindacati e vasti movimenti dalle campagne alle città e dalle aree meno sviluppate a quelle economicamente più forti del mondo, ripresa delle guerre tra nazioni. I miti fondativi del concetto di popolo come razza eletta si trasmisero come un virus protettivo e identitario, ma nacquero come una costruzione razionale e programmata che ha aperto la voragine del grande male del novecento. Ritroviamo le stesse linee di sviluppo nella crisi del ’29 e in quella iniziata nel 2007. Non un percorso lineare, quindi, quello del concetto di demos, né una trasformazione progressiva, perché nello stesso periodo storico hanno convissuto e convivono diverse forme di demos. Oggi il nostro sguardo va a quelle esperienze del mondo capitalistico globale che si pongono come modello, gli Stati Uniti, l’Ungheria, l’Italia, di un moderno ethnos che sposta ulteriormente la definizione di demos verso il percepito collettivo. Il senso comune come costruzione collettiva pubblica, che è alla base dell’affidarsi reciproco di una società democratica, tra cittadini, corpi intermedi e stato, diviene lo spazio privato dei malumori che non hanno nessun luogo politico per essere rielaborati e trasformati in obiettivi, cultura, forme di lotta.
Demos come popolo di una terra, demos come plebe, demos come sudditi, demos come nazione, demos come classe, demos come razza, demos come cittadini, demos come followers o più genericamente come popolo della rete, demos come moltitudine emozionale: in ogni caso considerato fonte e giustificazione di ogni azione politica.
Quello che nella storia è successo è una progressiva perdita di radici materiali del demos verso la costruzione di un immaginario collettivo astratto, ma percepito come reale, che spesso si fonda per differenza, più che per consonanze, perché la logica del nemico è la più semplice da percepire: il risveglio sarà letale, e di solito nella storia è la sfera economica a rimettere la sveglia. Il concetto di popolo sfugge a criteri soltanto razionali e storici di definizione, è scivoloso e pericoloso, e quando nella storia vi si fa ricorso in maniera ossessiva vuol dire che si sta preparando un passaggio traumatico. Tutta la classe politica italiana e parte di quella europea stanno sfruttando in chiave di consensi elettorali il richiamo al popolo, che spesso viene confuso con i votanti (in genere uno su due in Europa) e in specifico con il gruppo socio economico di riferimento. Primarie, uso della rete per prendere decisioni, referendum propositivo, sono alcuni strumenti di democrazia diretta, tipici dei movimenti che, se usati come uniche attività dai partiti, trasformano la democrazia rappresentativa in procedura e svuotano i corpi intermedi e le mediazioni collettive come inutili liturgie. L’individuo si trova quindi direttamente a contatto con il sovrano e il potere economico, e si accorge di non avere strumenti di lettura e di intervento collettivo: l’opinione e il luogo comune divengono i riferimenti rapidi per leggere la complessità. Ciò che è evidente è che la classe politica fa fatica a rendersi conto che risvegliare la dimensione irrazionale del demos vuol dire preparare la scorciatoia dell’autoritarismo o dell’uomo forte, che è sempre complicata e dolorosa superare. Alla dimensione irrazionale va sempre contrapposta una visione saldamente razionale, all’istinto il sentimento, alla paura la fiducia collettiva, alle opinioni personali un discorso pubblico collettivo, allo smarrimento della globalizzazione l’identità umana.
Ancora una volta è la cultura classica che ci aiuta: il termine oclocrazia, letteralmente governo della moltitudine, fu introdotto da Polibio nel secondo sec a.C. per indicare una forma degenerata di democrazia, dove domina non più la volontà del popolo ma gli istinti di una massa variamente istigata da demagoghi o da reazioni emotive. Non è soltanto un richiamo alla manipolazione delle masse, alla colonizzazione delle emozioni, ma la consapevolezza che solo la cultura sia l’antidoto alle degenerazioni. Il demos è morto, viva il demos. [Marco Lorenzini]