
100 per i diritti in Afghanistan
Complice il boicottaggio della stampa ufficiale comasca che nemmeno ha dato la notizia della manifestazione delle Donne in nero con l’adesione di Como senza frontiere di Cgil-Cisl-Uil e altre organizzazioni, l’iniziativa ha raccolto solo un centinaio di persone in piazza Verdi. Un risultato simbolicamente significativo di una sensibilità che anche a Como esiste, ma certo significativo anche del fatto che la città e non solo il governo di Palazzo Cernezzi ha altre priorità, altri interessi. Di seguito il volantino delle Donne in nero, distribuito nell’iniziativa che ha avuto un grande impatto emotivo con la presenza silenziosa, immobili per un’ora delle attiviste.
«Nessuna guerra è giusta
Giustizia e democrazia non si ottengono con le bombe
Siamo in piazza oggi in molte piazze d’Italia per mettere la guerra fuori dalla storia e per essere a fianco delle sorelle afghane.
«È uno scherzo sostenere che democrazia e diritti di genere fossero gli obiettivi degli Usa e della Nato. La mentalità dei taliban non è cambiata e non cambierà mai. Continueremo a impegnarci per un Afghanistan libero indipendente, laico, democratico e giusto» ha detto una amica afghana».
L’Afghanistan, ora, è un paese devastato, disseminato di mine, senza infrastrutture, scuole, strade, ospedali ma con tante armi, quelle dei talebani e quelle abbandonate dagli occupanti in fuga.
Si stima che i 20 anni di guerra e di occupazione militare abbiano determinato 250 mila vittime (purtroppo il numero potrebbe essere ancora più alto) e oltre 5 milioni di sfollati. Gli Usa hanno speso 2.300 miliardi di dollari, la Germania 19 miliardi e l’Italia 8,7 miliardi di euro, senza tener conto delle spese per i veterani, per le pensioni e di quanto dato all’esercito afgano.
Questo dispendio di vite e di denaro è il risultato di un’impresa militare voluta dalle potenze occidentali che si arrogano il diritto di decidere della distruzione materiale delle popolazioni, dei corpi, dell’esistenza umana.
Il pretesto per la guerra, 20 anni fa, fu quello di salvare le donne dalla barbarie dei talebani. Ora, nel disastro della ritirata decisa dagli USA, a cui si sono accodati l’Italia e gli altri Paesi della NATO, le donne precipitano nuovamente in una condizione di terrore, di privazione di libertà, di negazione di fondamentali diritti e autonomia.
A Como abbiamo conosciuto il coraggio e la forza delle donne afghane, quando noi, Donne in nero, insieme ad Amnesty International, le abbiamo invitate, nel 1999, per l’iniziativa “Io donna dietro il burqua”. Dell’Aghanistan e dei diritti delle donne in quel momento eravamo davvero in poche e pochi a parlare. Da allora abbiamo continuato ad accompagnare le loro lotte da lontano e da vicino: in Italia, in Pakistan e in Afghanistan, quando hanno deciso di rientrare nel paese, prima clandestinamente, poi a volto scoperto. Molte in questi anni hanno avviato un profondo cambiamento nella società. Sono state attive in organizzazioni non governative, hanno creato case rifugio per le vittime di violenza, orfanotrofi, scuole, hanno fatto politica, sono entrate nelle istituzioni, hanno avuto nuovamente accesso a professioni, prima vietate dai talebani.
Da quelle donne determinate abbiamo imparato tanto, nei loro confronti abbiamo un grande debito di gratitudine. In questo tempo in cui conservare la speranza è davvero difficile, vogliamo continuare a coltivare, insieme a loro, umanità e futuro.
Il tragico fallimento della guerra dovrebbe portare l’Europa tutta e ogni singolo Paese a cambiare la propria politica verso i/le migranti, abolendo i respingimenti e operando nella direzione di una accoglienza dignitosa per i profughi afghani e per tutte le donne e tutti gli uomini che cercano per sé e i propri cari un futuro migliore.
Chiediamo a chi è stato responsabile di questo disastro e, in primis, al Governo italiano:
- di assicurare un’accoglienza dignitosa a tutte le persone in fuga dall’Afghanistan,, garantendo loro l’esercizio del diritto d’asilo, come previsto dalle convenzioni internazionali;
- di dare supporto e protezione alle donne afghane in fuga, riconoscendo nella loro condizione di rifugiate i segni specifici di una persecuzione fondata sull’appartenenza di genere;
- di utilizzare gli strumenti della politica per tutelare la vita di quanti e quante rimarranno nel Paese, a partire dalle donne, dalle bambine, dai bambini». [Donne in nero, Como]