
A domanda non risponde
Il primo dibattito tra i sei candidati sindaci per Como, organizzato dal settimanale Diogene e dal Csv Insubria al teatro Nuovo di Rebbio, ha messo al centro le richieste e le esigenze del mondo del volontariato. Pur con le evidenti differenze di approccio e di stile, a domande precise sono spesso seguite risposte vaghe e generiche. La strada per realizzare il “patto” tra terzo settore e amministrazione locale, per ora sembra abbastanza accidentata.
Lo sforzo degli organizzatori è stato ripagato da un teatro gremito. Unica pecca, la scelta di non avere una voce importante, quella del volontariato culturale, che in città non è certo insignificante per quantità e qualità.
Commentare un dibattito pre-elettorale espone sempre al rischio di partigianeria. Per evitarlo consigliamo l’ascolto e la visione diretta dei protagonisti in singolar tenzone.
Veniamo ora al commento. Verso fine serata, quando il rappresentante delle associazioni di tutela della salute mentale ha chiesto ai candidati di dare un tempo, una scadenza, alle loro promesse sull’avvio di una stagione di collaborazione, la risposta più attesa non è arrivata, e il moderatore non ha mancato di farlo rilevare.
E’ forse questo il dato saliente di un incontro che un poco di amaro in bocca, oggettivamente, lo lascia. Non sono questi i momenti in cui si risolvono i problemi di una città, ma l’aspettativa di qualche parola più chiara era certamente giustificata.
Tutti uguali? No di certo! Impreparato Matrale, troppo settoriale ma non privo di competenze Graziani, radicalmente di destra Rapinese, generico Molteni. Meglio l’altra metà del cielo: sono apparse più puntuali nelle risposte Bartolich, in grado di far emergere alcuni nodi politici importanti, e Minghetti, la più a suo agio nella padronanza della cassetta degli attrezzi necessaria per realizzare il “patto” richiesto a gran voce da tutti gli interventi.
Il punto sta proprio qui. Come ha ricordato in premessa il presidente del Csv Colzani, c’è un nuovo scenario, reso concreto e praticabile da una sentenza della Corte Costituzionale: l’amministrazione condivisa, basata su un rapporto paritario, non più gerarchico, tra istituzione e terzo settore. Rapporto che si realizza con la condivisione delle fasi di programmazione e progettazione. Minghetti lo dice, gli altri lo balbettano. Bartolich, con qualche buona ragione, ne evidenzia anche i rischi oggettivi quando parla dei tagli alle risorse pubbliche, al personale, e ricorda certe pessime applicazioni della sussidiarietà.
La cultura dell’amministrazione condivisa richiederebbe poi una profonda riforma della macchina comunale, che deve diventare più aperta e collaborativa. Sollecitati su questo, solo due candidati hanno raccolto lo stimolo. Graziani, navigato ex dirigente comunale, ci ha rassicurato che ha delle idee in merito ma non le ha esposte. Rapinese ci ha provato: vorrebbe più assistenti sociali. Ma la domanda era un’altra.
In chiusura, breve spazio al dibattito libero. L’ha monopolizzato l’ex senatore Guzzetti per una lezione non richiesta di vecchia democristianità, con un lungo panegirico sui tre pilastri della democrazia liberale; stato, mercato, terzo settore. I candidati, più o meno nervosamente, annuivano. Ricordiamo sommessamente che i pilasti della democrazia progressiva, che i padri Costituenti non ignoravano, erano anche la partecipazione diretta ed effettiva e l’universalismo dei diritti, che poi sono la ragion d’essere dell’attivismo civico. Dimenticarli, nelle promesse dei candidati e nelle benedizioni delle vecchie glorie, non è un buon segno. [Massimo Patrignani – ecoinformazioni]