
Fabrizio Baggi/ Percezione delle migrazioni: cosa è cambiato dal quel 2016 ad oggi
La due giorni Unire i Puntini 2 – verso la Carta di Rebbio unita alla bella, riuscita e partecipata manifestazione Cancellate il cancello indetta a Como domenica scorsa dalla Rete Como senza frontiere e ancora l’arrivo del mese di luglio ed il conseguente accostamento della fase temporale, hanno scaturito in me, e credo in molte e molti altre/i che in quell’estate del 2016 vissero l’esperienza di “Como San Giovanni” il riaffiorare di ricordi, di emozioni contrastanti, di pensieri, moltissimi pensieri, che attraversano la mente in maniera velocissima ed allo stesso tempo mentre passano lasciano una scia indelebile.
“Eravamo tutte e tutti delle/i novelline/i” – spesso chi racconta quei giorni, me compreso, inizia con questa frase – vera e fin troppo scontata. Nessuna/o di noi quando quella calda sera di luglio si è recato in stazione perché “stavano arrivando persone che avevano bisogno di aiuto” si aspettava che, da lì a qualche giorno, pochi giorni, in quel parco ci sarebbero state circa 600 persone provenienti dall’Eritrea, dalla Somalia, dal Gambia, dalla Nigeria, dal Sudan che cercavano nel nostro Paese un luogo per iniziare una vera nuova vita e, nella nostra città, un luogo dove “transitare” in attesa di raggiungere il nord Europa e, in alcuni casi ricongiungersi finalmente con i propri cari.
Le istituzioni, tutte, dal governo al Comune gestirono, o sarebbe meglio dire (NON)gestirono quella situazione emergenziale in maniera pessima e disumana, e le diverse centinaia di persone, nuclei familiari, donne, minori non accompagnati, arrivati a Como per sfuggire a guerre, fame, violenza, stupri prima nei paesi d’origine e poi nei lager libici furono costretti a dimorare per più di due mesi nel parco e nel piazzale antistanti la Stazione Ferroviaria (San Giovanni) in condizioni sanitarie e materiali inaccettabili da quello che si dice un Paese civile.
Dal lato della solidarietà ciò che accadde a Como in quel mesi ha dell’incredibile, la sinergia di forze che ha lavorato senza sosta, giorno e notte e per più di due mesi nella direzione di rendere dignità e diritti umani alle persone migranti costrette li da leggi disumane ed in antitesi con la nostra Costituzione, dalle politiche migratorie dei muri è stata senza ombra di dubbio una fortissima risposta sociale che quella che allora abbiamo soprannominato la “bella Como” ha elargito in maniera indiscussa e indiscutibile.
La potenza sociale e la tempesta di emozioni contrapposte, la rabbia alternata alla commozione, la tensione, gli incontri, le immagini, i volti di quei mesi sono rimasti dentro ognuna/o di noi che, mentre ci accingevamo a cambiare per sempre ancora non sapevamo che da lì in avanti sarebbe stato impossibile essere quelle/i di prima, dopo quell’esperienza siamo cresciute/i tutte/i e questo lo abbiamo detto moltissime volte.
In tutto questo è nata ed è rimasta, seppur in forma ridotta rispetto alle assemblee da ottanta/cento persone di allora, la rete Como senza frontiere che lavora per la memoria delle vittime delle frontiere e delle politiche della fortezza Europa e per cambiare la percezione del fenomeno delle migrazioni.
E proprio sul fronte della percezione del fenomeno migratorio cosa e come è cambiato da allora? Purtroppo, è cambiato molto, e in peggio. I fatti di Como, infatti, risalgono al 2016 e già nel 2017 l’allora Ministro dell’interno Minniti fu l’artefice della prima versione del “memorandum” Italia – Libia – che rende il nostro Paese il mandante di atrocità commesse dalla sedicente Guardia Costiera del Paese nordafricano e nei lager costruiti per bloccare le persone ed impedirne le partenze.
Proseguendo con i governi successivi le cose non sono certo migliorate, la legge 132 di Salvini, i decreti sicurezza fino ad arrivare al decreto anti ONG che, trasformando in legge quel “regolamento” pensato sempre da Minniti nel 2017, impedisce alle navi della flotta civile, alle navi umanitarie, di effettuare salvataggi multipli e le obbliga, dopo il primo soccorso, ad utilizzare per forza il porto sicuro assegnato che quasi sempre è lontanissimo dal luogo del soccorso e, lascia fuori dalle aree di emergenza le navi di salvataggio per giorni e giorni.
Le tragedie in mare aumentano, i naufragi sono quotidiani ed arriviamo al decimo anniversario della strage di Lampedusa con all’attivo due naufragi-strage come quelli accaduti a Cutro e a Pylos nella purtroppo sempre più diffusa indifferenza di molti, di troppi.
Il lavoro da fare è ancora moltissimo, è necessario agire sulle istituzioni forzando e rivendicando un’inversione di marcia, servono leggi europee ed italiane che permettano la libera circolazione delle persone e che prevedano canali di accesso sicuri e legali e contemporaneamente serve un grande lavoro culturale che muova verso la sensibilizzazione, verso l’attenzione ai diritti umani per tutte e tutti, a trasmettere il concetto che migrare è un diritto e che si tratta di Persone e non di numeri». [Fabrizio Baggi, segretario regionale Prc/Se Lombardia e componente del Comitato promotore regionale di Unione Popolare Lombardia – attivista della rete Como senza frontiere].