Un bel 25 aprile a Como senza Bruni
Il sindaco Bruni non ha partecipato alla manifestazione per il 25 aprile. Quindi nessuna forzatura, nessun tentativo maldestro di mistificazione della storia e della natura della Repubblica nata dalla Resistenza. Circa duecento persone hanno seguito gli interventi per una volta senza essere costrette a urlare la loro rabbia contro il travisamento di storia e memoria. Ed il discorso del giornalista Massimo Rebotti, invitato dall’Anpi che questa volta non ha dovuto fare i conti con veti imposti dal Comune, ha attualizzato pienamente i temi della generosa lotta partigiana in un momento nel quale più forte è l’attacco alla Costituzione e alla nostra stessa civiltà determinato dalla barbarie razzista e dalla visione libersita e illiberale dello stato delle destre al potere. Continua per leggere il testo del discorso di Massimo Rebotti e vedere le foto della Manifestazione di Grazia Lissi.L’intervento di Massimo Rebotti alla Manifestazione del 25 aprile 2010 a Como.
«Buongiorno, grazie all’Associazione nazionale partigiani per l’invito in una giornata così importante.
Io sono un giornalista, spesso mi sono occupato del rapporto tra la storia e il presente, di che cosa significhi ora, in questi tempi, il legame con le radici della repubblica italiana, se ovviamente significa ancora qualcosa (e per voi, per noi, qui significa molto), in pratica se quel patrimonio di valori rappresentato dalla Liberazione e, di conseguenza, dalla Costituzione ha ancora attinenza con ciò che viviamo ora.
In questi anni, e questo 25 aprile purtroppo non fa eccezione, l’idea della Liberazione come momento fondante della Repubblica ha subito vari attacchi, c’è sempre qualche voluta dimenticanza, piccoli o grandi sgarbi, castronerie non casuali tipo quelle messe in fila dal presidente della provincia di Salerno che, in un documento ufficiale, ha scritto che quella fascista, per gli italiani, fu un’ “esperienza” mentre i partigiani volevano instaurare una dittatura comunista. Oppure, lo avete visto sui giornali di stamattina, c’è chi, come il presidente della regione Veneto Zaia definisce i partigiani dei “vietcong che non si sono ancora resi conto che la guerra è finita”. Benissimo ha fatto l’Anpi a rispondere che i partigiani si erano talmente bene resi conto della fine del conflitto che, nella Costituzione, c’è un articolo in cui si dice che l’Italia ripudia la guerra.
Insomma, nonostante si dicano parole alte e forti sul significato della Liberazione e della Resistenza, penso al discorso del capo dello stato di ieri a Milano, la terra frana sempre un po’ sotto ai piedi del 25 aprile e ogni anno sembra un po’ peggio dell’anno prima.
Perchè questa festa, che è la festa del riscatto degli italiani, è così spesso sotto attacco, perchè si sostiene che è di una sola parte, perchè il suo significato profondo viene continuamente eroso, perchè si parla della Resistenza italiana come di una vicenda confusa, di una storia vecchia, che non riguarda più gli italiani contemporanei ma solo piccole minoranze che ricordano un tempo lontano.
Perchè succede e soprattutto a chi conviene che le cose vadano così?
Io penso che succeda per la ragione opposta a quella del tempo che passa, penso, cioè, che succeda perchè il 25 aprile e la Costituzione, il significato profondo di Liberazione e antifascismo, riguardano l’oggi, riguardano il periodo che viviamo molto di più di quanto appaia a prima vista. Il 25 aprile dell’anno scorso il capo del governo, Silvio Berlusconi, ha tenuto, dopo diversi anni in cui aveva mostrato disinteresse per questa data, un discorso a Onna. Fu un discorso importante in cui sostenne che la Resistenza, insieme al Risorgimento, è uno dei valori fondanti della Nazione. Il presidente del consiglio ha poi proposto di rendere la Festa della Liberazione una festa della Libertà per togliere, disse un anno fa, quel “carattere di contrapposizione che il concetto di Liberazione ha insito in sé”. Noi oggi celebriamo la Liberazione, domani vedremo. Il confronto tra le due parole è interessante: la parola Liberazione presuppone una partecipazione, un’idea di cittadinanza attiva. La parola libertà non ha questa caratteristica, è una parola bellissima, che si presta però spesso a varie manipolazioni. Oltre a Liberazione, l’altra parola che sembra sempre più “problematica” di questi tempi è antifascismo. Voglio fare un esempio di un episodio : un anno fa in Parlamento fu presentata una proposta di legge, sottoscritta da decine di deputati di tutte le anime del centrodestra, in cui si proponeva una sostanziale equiparazione tra i partigiani e i militi della repubblica di Salò. Non se n’è fatto niente per intervento poi dello stesso Berlusconi ma il tentativo fu, per detta della stessa Anpi, molto serio, mai a quel livello. Che bisogno aveva il parlamento italiano di essere chiamato a discutere, nel 2009, di “pari dignità di partecipazione al conflitto”, di mettere nero sullo stesso piano, per esempio, gli ex deportati nei campi di concentramento e i militi di Salò che contribuirono alla loro deportazione? Qui non si trattava di riconoscere la decisione dei singoli giovani che combatterono per la repubblica sociale né di garantire indennizzi a chi è ancora in vita, qui si sosteneva, come recita il testo di quella proposta, “che era finalmente possibile una “rimozione collettiva”.
Nel giornale in cui lavoravo abbiamo intervistato alcuni firmatari: l’argomentazione che andava per la maggiore era che “ormai sono passati oltre sessant’anni e non è più necessario fare distinzioni tra chi scelse la parte giusta e chi quella sbagliata”. L’equiparazione, badate, non era tra singole persone, ma metteva sullo stesso piano la dignità delle scelte fatte:
chi scelse per la Resistenza all’occupante nazista e chi la collaborazione con l’occupante nazista. La risposta per me più convincente alla domanda “che bisogno c’è di tutto questo nell’Italia del 2009 ?” me la diede uno storico dell’Università di Torino, Giovanni De Luna. “Ciò che ancora dà fastidio in Italia, ciò che è ingombrante è l’idea dell’antifascismo, perchè l’antifascismo mette chiunque di fronte al concetto di scelta: è l’idea che una minoranza, sacrificando sé stessa, si è coraggiosamente opposta al quieto vivere, all’attendismo, al “tengo famiglia” di una maggioranza”.
Quell’idea di una minoranza che sceglie, e con la sua scelta riscatta una maggioranza, è un caposaldo della lotta di Liberazione italiana, e della nostra democrazia. Quella proposta negava il valore più importante che sta alla base della Resistenza, il valore della scelta. Ecco, io penso che la terra attorno al 25 aprile continua a essere purtroppo così fragile perchè l’idea di scegliere senza guardare cosa conviene di più, l’idea di mettersi in gioco in prima persona rinunciando a un comodo conformismo, è un’idea che disturba anche oggi. Ed è per questo, tra l’altro, che di storia in Italia si parla così tanto ma così male, c’è una specie di consumo usa e getta, si usa ciò che serve, ciò che sembra utile per l’oggi. E’ la ragione per cui hanno tanto successo fiction televisive o libri che puntano molto sulle emozioni e tralasciano il contesto storico. Nel biennio 43-45, invece, sono germogliate molte cose che sono alla base dell’Italia contemporanea. Ho visto che l’Anpi, tra gli argomenti centrali del 25 aprile di quest’anno, ha inserito il lavoro, e in particolare i diritti del lavoro in un periodo di crisi economica così difficile come quello che stiamo attraversando. Mi è venuta in mente una conversazione che qualche mese fa ho avuto con il presidente dell’Anpi della Lombardia Antonio Pizzinato: “considerare il biennio 43-45 un’anomalia” mi disse “serve a chi vuole attaccare la Resistenza non solo dal punto di vista simbolico ma anche da quello molto concreto dei diritti, perchè dietro ai valori ci sono sempre i diritti”.
Mi fece un esempio che non conoscevo: gli scioperi del 1944 a Milano non furono solo contro la guerra, ma per le otto ore di lavoro, la parità uomo-donna, la mensa, la gratifica di Natale. Quella lotta, e mentre me lo raccontava si commosse, ottenne per esempio, mentre centinaia di operai milanesi e lombardi morivano nei campi di concentramento, il diritto a mangiare il primo e secondo in mensa a mezzogiorno, il prefetto di Milano fece un decreto. Molte delle rivendicazioni di quegli scioperi divennero poi la base per l’attività sindacale del dopoguerra, Pizzinato mi fece vedere una serie di richieste della rappresentanze delle fabbriche di Milano nel 1952 così avanzate dal punto di vista dei diritti che i precari trentenni oggi neanche si sognano. Questa idea dei diritti, delle tutela minoranze, di una cittadinanza attiva che sceglie, della partecipazione alla democrazia, sono i valori che stanno alla base della Costituzione. Il fatto che la nostra carta fondamentale sia spesso maltratta, ci si proponga di cambiarla è un altro elemento che contribuisce a rendere quella terra attorno al 25 aprile sempre così instabile. Se si celebra il 25 aprile per davvero, non si può poi pensare di manomettere la Costituzione perchè il 25 aprile e la Costituzione sono legati in maniera indissolubile: in ogni momento, e nei momenti di crisi maggiormente, qualsiasi società, se non ha valori e paletti ben saldi, può essere soggetta a derive antidemocratiche, a populismi, a tentazioni plebiscitarie. Guardate cosa succede in vari paesi d’Europa dove hanno successo partiti che hanno nella disegueglianza, nella divisione gerarchica della società, nel razzismo i loro fondamenti magari solo prudentemente sfumati per continuare a prendere sempre più voti. La Costituzione su questi temi dice cose inequivocabili così come sulla forma e la sostanza della nostra democrazia, che poi è il nostro stare insieme. Nel 2006, non molto tempo fa anche se sembra un secolo, con un referendum il 61% dei votanti respinse una modifica costituzionale che faceva emergere nettamente una figura di primo ministro con ampi poteri e limitava i contrappesi, una serie di modifiche che favorivano un assetto più sbrigativo, potenzialemente autoritario, della nostra democrazia. Ora si parla ancora di modificare la costituzione: in quest’ottica, per esmpio, mi domando cosa significhi e cosa potrà portare questa distinzione, che va per la maggiore in questi giorni, “non siamo un partito ma un popolo”.
Che cosa vuol dire, esattamente? Che cosa vuol dire quel ricorso all’entità del popolo e non a quella dei cittadini? Anche sull’essere cittadini, con doveri e diritti, la Costituzione oggi dice parole chiare. La libertà e i diritti, in buona sostanza, sono per loro stessa natura fragili e preziosi, preziosi proprio perchè fragili. Il 25 aprile è il giorno che ha reso concreti quei diritti ( ho sentito qualche giorno alla radio il racconto che uno scrittore, Maurizio Maggiani, faceva del papà partigiano: un uomo di poche parole che, tornato dalle montagne, disse solo questa frase sulla sua esperienza di lotta: “figliolo, da oggi tu puoi mangiare, giocare, studiare: qualcosa di buono nella mia vita l’ho fatto”). La Resistenza è stata possibile da persone così, normali. Leggevo proprio stamattina, nelle lettere dei condannati a morte della Resistenza una donna che, poco prima di andare a morire, scriveva queste parole: “nel mio cuore si è fatta largo l’idea di dare più o meno un contributo”. Una scelta profonda, umana, eppure così sobria e semplice. In passato probabilmente l’errore è stato di attribuire alla Resistenza una dimensione eroica, di metterla in un museo, sotto una teca, e renderla così retorica. Invece la Resistenza è stata realizzata da uomini e donne assolutamente normali, raccontare le loro storie accende immediatamente l’interesse di chi le ascolta perchè sono storie di chi può benissimo vivere accanto a te (mi hanno raccontato all’Anpi di Firenze che quando vanno nelle scuole non parlano della Resistenza e dei Partigiani in maniera genearale, ma raccontano la storia del signor Aldo o della signora Gina e l’interesse si accende). La verità della Liberazione è quella di persone qualunque che hanno fatto una scelta senza preoccuparsi se quella scelta fosse conveniente. La bellezza, l’insegnamento e quindi l’attualità del 25 aprile è questo.
E forse è anche la ragione per cui all’ Anpi ultimamente si iscrivono così tanti ragazzi.
Grazie, buon 25 aprile.»
Guarda le immagini di Grazia Lissi della Manifestazione del 25 aprile.