Il Consiglio comunale di Como di lunedì 8 novembre

Il sindaco Stefano Bruni attaccato da più fronti nel Consiglio comunale di lunedì 8 novembre si difende chiedendo più tempo

 

Un Palazzo Cernezzi gremito anche se non ai livelli delle grandi occasioni, diversi i gruppi di manifestanti che in strada hanno protestato contro l’amministrazione chiedendo le dimissioni del primo cittadino.

Già  partire dalle 8 di sera due capannelli distinti si sono presentati davanti ai cancelli del Municipio, sul fronte ferrovia, con bandiere e striscioni volantinando una decina di militanti di Forza nuova ed una quindicina di rappresentanti dell’Italia dei valori. Dall’altro lato del Palazzo, di fronte al portone sotto alla sala del consiliare, 50-60 manifestanti per lo più giovani, senza bandiere e con un unico striscione con scritto «Bruni Go Home» ha protestato contro il sindaco fischiando e scandendo ripetutamente «A casa!» o urlando cori tipo «Te ne vai o no?». In aula erano occupate tutte e 20 le sedie per il pubblico ed è stata allestita una diretta video in una Sala stemmi però semivuota.

Nelle preliminari dai banchi dell’opposizione è stata espressa solidarietà a Davide Scarano, il dipendente della Ca’ d’industria sotto l’occhio del ciclone da diversi mesi con l’accusa di aver istigato delle colleghe delle mense a guastare deliberatamente dei pasti per i dipendenti.

Iniziato il Consiglio il capogruppo del Pd Mario Lucini ha presentato la mozione di sfiducia con un discorso da capo dell’opposizione, un riepilogo sistematico di quanto fatto, e non fatto, dal governo cittadino: «la città sta andando in rovina e la maggioranza pensa ad altro». «Una situazione di totale paralisi amministrativa – ha rilevato – la maggioranza è a pezzi in tre anni e mezzo ha cambiato 4 vicesindaco e bruciato 7 assessori, la Lega si è dimezzata, l’Udc non esiste più e il Pdl, appena nato, si è già spaccato in due». Un giudizio negativo netto anche contro «i pellegrinaggi a Milano, non solo per chiedere soccorso per risolvere i pasticci fatti, ma anche per risolvere i continui contrasti interni». Un discorso dai toni alti per quanto riguarda il fare politica e l’autonomia degli amministratori contro una supina subordinazione agli ordini superiori con un esplicito riferimento al definirsi “soldati” di alcuni assessori. Perciò l’unica soluzione auspicabile per Lucini è la caduta del sindaco con la sua Giunta per andare a nuove elezioni: «non si può pensare che 5-6 mesi di commissariamento possano creare i disastri che avete prodotto».

La seduta si è quindi impantanata in pastoie procedurale sul come e quanto far parlare il sindaco e dopo un acceso battibecco fra minoranza e maggioranza si è trovato l’accordo di far parlare subito il primo cittadino permettendogli però di intervenire anche prima della replica finale di Lucini.

Bruni ha chiesto tempo «è un programma di mandato e lo stesso dura 5 anni» per di più se si tratta, sempre per il primo cittadino, «di un programma ricco, non di basso livello. Il sindaco non è mago Merlino che può subito risolvere i problemi». Ha ammesso comunque «degli errori lungo la strada» ma spiegando che non si può raggiungere la perfezione in ogni cosa.

Bruni ha rivendicato di non avere aumentato le tasse e di avere sostanzialmente mantenuto lo stesso livello di prestazioni garantite dal Comune, ma ha anche aggiunto che i prossimi bilanci saranno di lacrime e sangue «la riduzione delle entrate dovute alla crisi e la Finanziaria porteranno a fare delle scelte radicali e dolorose. Forse, temo, alla riduzione dei servizi».

Ha terminato quindi con alcune promesse: cittadella dello sport e Fondazione Villa Olmo, lanciando una stoccata al Consiglio tutto «sulla Ticosa c’entra anche la poca credibilità di questa assemblea».

Gli ha ribattuto Donato Supino, Prc, affermando che è solo autoritario e non autorevole, mentre Andrea Luppi, Pd, ha chiesto le dimissioni del sindaco perché ormai è peggio il prosieguo di questa esperienza che l’ipotesi di un commissariamento.

Il capogruppo di Autonomia liberale per Como, Piercarlo Frigerio, ha chiesto quindi una sospensione per discutere con il proprio gruppo e l’assemblea si è bloccata per 40 minuti.

Ripresa la discussione Luigi Bottone, Autonomia liberale, ha rivendicato di essere stato il sedicesimo firmatario della mozione di sfiducia permettendone la discussione (anche quella scorsa) e detto che le promesse di Bruni non sono ancora state attuate. «In cinquant’anni non mai visto al città ridotta così – ha detto Mario Molteni, Per Como, e il responsabile è lei e tutta la maggioranza». «I famosi 14 punti chiesti dai fuoriusciti del Pdl sono le nostre battaglie» ha sottolineato Molteni attaccando la maggioranza che, nonostante diversi proclami, ha sempre sostenuto Bruni. Dopo di lui un Alessandro Rapinese, Area 2010, senza limiti ha attaccato in maniera personale il sindaco, suoi collaboratori, altri consiglieri comunali e stampa. Sindaco, Giunta e tutto il gruppo del Pdl hanno abbandonato l’aula indignati, mentre dai banchi della minoranza alcuni consiglieri hanno cercato, senza successo e scatenando una bagarre con il focoso consigliere, di farlo venire a più miti ragioni.

Data l’ora la seduta è stata sospesa e la discussione sulla sfiducia a Bruni riprenderà giovedì 11 novembre alle 20.15. [Michele Donegana, ecoinformazioni]

 

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