Immigrazione: quali prospettive?
L’incontro Immigrazione: quali prospettive?, censurato a dicembre, si svolgerà mercoledì 15 febbraio alle 21 alla Circoscrizione 3 in via Varesina 1/a a Camerata. Intervengono: Corrado Conforto Galli, capo gabinetto prefettura di Como; Franca Guardoni, responsabile Servizi sociali e Politiche educative del Comune di Como; Roberto Bernasconi, direttore della Caritas Diocesi di Como; Luigi Capiaghi, responsabile del Centro di accoglienza di Prestino; Luciana Spalla, responsabile Cri Profughi MiniHotel Baradello.
per i molti che non hanno prtecipato alla serata…pubblico l’intervento di ROBERTO BERNASCONI direttore della CARITAS DIOCESANA DI COMO —INTERVENTO ASSOLUTAMENTE CONDIVISIBILE….IL MIGLIORE DELLA SERATA ….Circoscrizione Camerlata
Circoscrizione Camerlata
Immigrazione, quali prospettive: è un titolo impegnativo che mi aiuta a sviluppare ulteriormente la riflessione che è scaturita all’interno della Caritas e delle Parrocchie che vivono l’accoglienza. Per noi quella dell’accoglienza è una faccenda seria, a partire dalla conoscenza reale della vita delle persone che abbiamo avuto il coraggio di ospitare.
Perché questa serata non vada persa in ragionamenti sterili, penso che dovremmo affrontare il nodo di quali prospettive possono sfociare dall’accoglienza che stiamo vivendo sul territorio della circoscrizione (accoglienza che non è solo dei profughi ma è anche di tanti immigrati di varie nazionalità che sul nostro territorio ci abitano e lavorano), mi auguro che sia la volontà di chi ha voluto questa serata cercare delle prospettive, se così non fosse, non sta a me dare la risposta che alcuni magari anche qui presenti vogliono sentirsi dire, quando queste persone se ne andranno dalle nostre comunità.
La mia sensibilità e la sensibilità di chi in questo momento rappresento, la Chiesa di Como, non è su questa lunghezza d’onda,( quelle di allontanare persone) per cui voglio chiarire da subito che la mia presenza qui è per affermare senza paura che per noi queste persone, perché è di persone che stiamo parlando non sono un problema, se mai sono opportunità e meritano tutta la nostra attenzione e tutti i nostri sforzi per aiutarle a uscire dal disagio da loro non voluto, in cui si sono venuti a trovare.
E’ disonesto inoltre mischiare le carte tra accoglienza profughi e assistenza alle persone senza fissa dimora, chi fa questo brutto e non veritiero confronto dimostra di non conoscere il territorio e le sue dinamiche, la cosa peggiore, quella che più mi sconcerta è la non assoluta conoscenza del percorso di accoglienza che abbiamo messo in atto sia per i profughi che per le persone senza fissa dimora, accoglienza che sicuramente è nata dalla risposta data ad una situazioni di emergenza, ma che l’emergenza è stato capace di superarla grazie soprattutto alla bella collaborazione che vede impegnate le associazioni di volontariato che sono attive in città in collaborazione con il comune e le istituzioni.
Posso affermare con tutta tranquillità e massima trasparenza, che non abbiamo nulla da farci perdonare, e assolutamente niente abbiamo guadagnato o chiesto facendolo passare sotto il grande cappello della carità, se qualcuno pensa questo è meglio che rifletta ulteriormente sui doveri morali di accoglienza di condivisione, che una società che si dice civile ha il compito di vivere nel rispetto delle leggi del nostro paese. Non esiste per noi una doppia via di aiuti, una per i profughi e una meno efficiente per le persone che stanno sulla strada, ma per noi tutte le persone in difficoltà meritano la stessa attenzione e di fatto la stanno ottenendo pur nella diversità degli interventi.
Per quanto riguarda i profughi sono qui per testimoniare tutto il lavoro che si sono sobbarcate le parrocchie di Camerlata Rebbio e Prestino che con i loro volontari stanno accompagnando in modo concreto i profughi che sono alloggiati nelle nostre comunità, sia nelle nostre strutture che in quelle private o comunali.
Su Prestino devo anche precisare a onore della storia che non è un paese vicino a Como ma fino a prova contraria fa parte integrante della città.
Faccio queste affermazioni non per entrare in polemica, non è mia intenzione, ma in spirito costruttivo e per onorare la verità, vorrei allora comunicarvi alcune idee che possono aiutare ad uscire dalle chiusure , dal miopismo che impediscono di guardare al di là dei confini del nostro territorio, che fanno perdere il senso del bene comune e che quindi rischiano di impoverire la nostra città sempre di più e non solo materialmente ma soprattutto culturalmente.
Dico questo perché quello dei profughi è solo una parte del fenomeno della immigrazione che anche nella nostra città è in atto e per essere fedele alle prospettive che ci avete dato nel titolo, dobbiamo abituarci a ragionare sul fenomeno della immigrazione nel suo assieme.
Dobbiamo innanzitutto convincerci che stiamo nel mondo e che il mondo sta cambiando, è in movimento, ogni anno 200 milioni di persone lasciano il proprio paese, il proprio continente, per i motivi più disparati, ricerca di lavoro di dignità, perché sfuggono a guerre a persecuzioni razziali o a carestie, in Italia si stimano 4 milioni e 900 mila persone di 198 nazionalità diverse e questo movimento è come un fiume in piena non lo possiamo fermare con assurdi proclami o con steccati.
Questo cambiamento nel nostro paese investe la famiglia, abbiamo un milione di ricongiungimenti famigliari, 250.000 matrimoni misti, 400.000 coppie miste,25.000 in più dell’ultimo anno, a Milano è previsto nel 2019 il superamento di nascite di bambini di 100 nazionalità diverse rispetto a bambini nati da genitori italiani, il cambiamento investe il mondo del lavoro dipendente ma anche imprenditoriale, il mondo della scuola, capite che è anacronistico è fuori dalla storia l’atteggiamento di presunzione di chi vuole chiudersi nel suo castello e di isolarsi dal mondo.
Per affrontare questa situazione di mobilità e di cambiamento non serve arroccarci sui localismi e sulla presunta supremazia di razza, serve praticare una nuova cultura basata sulle relazioni, sull’ascolto, dobbiamo imparare prima di poter parlare a praticare il dialogo che è conseguenza di questo ascolto, dialogo che apre al confronto alla conoscenza, per noi credenti all’amore.
Questa è l’unica strada che salva la nostra è l’altrui identità, e che ci permette di mettere al centro la nostra e l’altrui dignità.
Chi pretende con la sua chiusura di preservare la propria identità dalla contaminazione l’ha già persa, il nostro futuro va costruito fuori da noi, non può stare solo dentro di noi, ci chiede di vivere la ricerca, l’incontro. L’altro è il progetto per il nostro futuro, l’altro siamo noi in una nuova situazione, l’altro è differente da noi, ma condivide la nostra stessa natura umana, la nostra stessa dignità, i nostri stessi diritti.
Quindi dobbiamo saper ragionare su una nuova cultura dei diritti e per riconoscere i diritti di tutti dobbiamo buttarci alle spalle le nostre paure, dobbiamo incamminarci sulla strada che può essere difficile ma che è l’unica praticabile, quella del riconoscimento della democrazia per tutti.
Dobbiamo affrontare il tema della differenza di chi arriva da noi e che vede l’emigrazione come unica soluzione possibile per la ricerca del diritto di ogni uomo alla libertà dalla guerra, dalla fame, dalla miseria, dalle emergenze ambientali.
Dobbiamo approfondire il tema della uguaglianza legato all’umanesimo integrale, questo vuol dire che tutti e ciascuno sono valorizzati per quello che sono e non per la razza che rappresentano. Ogni particolarismo ricercato e difeso ad oltranza uccide l’uguaglianza della persona, non ne tutela la loro dignità, crea esclusione e genera conflittualità.
Quale è allora la strada che nella Circoscrizione di Camerlata dobbiamo percorrere secondo me per costruire una cultura dei diritti che tenga conto delle differenze di razza e di storia e che porti a vivere la dimensione della eguaglianza.
Come esempio di quello che non va fatto penso concretamente a come anche sul nostro territorio trattiamo i lavoratori stranieri, a come anche nella nostra circoscrizione siano in atto esperienze di caporalato, a come trattiamo le donne dell’est Europa che sono diventate per noi badanti.
La risorsa unica che abbiamo per superare questo fatica queste incomprensioni è quella del dialogo, dialogo non vuol dire rinunciare alla propria identità, ma bisogna sapersi guardare in faccia, accettarsi, collaborare e mettere a disposizione della collettività il patrimonio culturale di ognuno facendolo diventare un progetto comune, e in questo progetto ci dobbiamo mettere l’uomo al centro con i suoi diritti fondamentali.
Perché questa civile convivenza possa diventare realtà anche nel nostro quartiere nella nostra citta, si deve avere il coraggio di vivere una nuova stagione politica, non gridata o vissuta su sensazioni o su particolarismi, come abbiamo purtroppo visto succedere in questi ultimi anni, abbiamo il dovere morale di creare un modo di fare politica che tenga l’uomo al centro con le sue relazioni e con i suoi doveri ma soprattutto con i suoi diritti fondamentali.
Una politica che crei relazioni, che abbia attenzione preferenziale per gli ultimi di qualunque razza o condizione siano, che sappia non solo dare prestazioni fondamentali- scuola salute casa- ma che sappia accompagnare chi è in difficoltà con un cammino continuativo (cosa ha fatto la politica tutta senza distinzione di parte nel nostro quartiere per i profughi è riuscita almeno ad incontrarli una volta, che iniziative concrete è riuscita a prendere se non quella del giudicare senza conoscere o peggio criticare chi le mani se le è sporcate veramente ), una politica che valorizzi le associazioni di volontariato non lasciandole sole nel loro cammino di accompagnamento, che abbia la capacità di creare modelli di incontri che permettano a tutti di vivere una cittadinanza attiva e responsabile.
Questa della politica ragionata e non gridata, che metta al centro della sua azione il bene comune e non i particolarismi o i privilegi di una parte della popolazione che si arrocca presunti diritti di primogenitura secondo il mio parere è l’unica strada percorribile anche nel nostro quartiere per creare e vivere veramente una convivenza civile.
Se mi permettete vorrei finire con le parole di don Di Liegro
Non lasciamoci ispirare dalla paura. I migranti non sono un pericolo, ma degli uomini con la nostra stessa dignità. Esigiamo senz’altro il rispetto delle nostre regole di convivenza, ma allo stesso tempo superiamo il rischio di contrapposizione, accettiamone le diversità, rispettiamone la cultura e la religione, accogliamo quelli della nostra fede, favoriamone l’associazionismo, valorizziamone l’apporto, prendiamo per primi l’iniziativa e il dialogo.