Geopolis/ Da una sponda all’altra del Mediterraneo
Nell’ambito di Geopolis 2012, Gelsomini, sangue e petrolio. Le lotte per l’emancipazione nei paesi arabi a Sud del Mediterraneo, il 15 marzo a Como, nella sala convegni di Confindustria di via Raimondi, un incontro con Luigi Ruggerone, docente di economia dei mercati emergenti all’Università cattolica di Milano e di macrorisks alla Bicocca, con don Giusto della Valle, parroco di Rebbio, con Beatrix e Rufi, due dei profughi giunti a Como nella primavera 2011, in fuga dalla guerra in Libia. L’iniziativa organizzata dal Liceo statale Paolo Giovio di Como e dal Gruppo Giovani industriali di Como, si avvia alla conclusione che sarà giovedì 22 marzo alle 15.30 a Como, allo Spazio Gloria dell’Arci Xanadù dove sarà anticipata la proiezione del docu-film Mare chiuso la cui prima nazionale è prevista per la stessa sera a Milano. Dopo il film si potrà parlare con il regista, Stefano Liberti, giornalista del quotidiano il manifesto.
All’incontro ─ aperto da Laura Nessi della Confindustria di Como, da Marzio Caggiano, dirigente del Giovio, e coordinato da Claudio Fontana ─ hanno partecipato studenti del Giovio e di altre scuole superiori di Como, insegnanti, cittadine e cittadini che hanno colto l’opportunità di ascoltare una lezione e alcune testimonianze di vita vissuta di chi accoglie e di chi è accolto.
La relazione di Luigi Ruggerone ─ autore, insieme a Rony Hamaui del libro Il Mediterraneo degli altri. Le rivolte arabe fra sviluppo e democrazia recentemente pubblicato da Egea, ─ ha preso avvio dalla constatazione «dell’anomalia delle autocrazie arabe». Intorno alla metà degli anni Settanta molti paesi del mondo, prima governati da regimi autoritari (impero sovietico, dittature dell’America Latina, dell’Asia e alcune dell’Africa) conobbero un evoluzione in senso democratico. Ma quella che Samuel Huntinton definì “la terza ondata di democratizzazione” non ha riguardato il Medio Oriente. non ha conosciuto una simile evoluzione. Questa anomalia ha riguardato sia l’ambito politico (elezioni, pluralismo, efficacia del governo, … sia l’ambito dei diritti civili (libertà di espressione, di associazione, principi di legalità, libertà personali), sia l’ambito socio economico.
Esiste una evidente relazione tra ricchezza/ istruzione e democrazia (i paesi più ricchi hanno una maggiore probabilità di diventare democratici, quando non lo sono, e una minore probabilità di trasformarsi in regimi autoritari). Meno chiara è l’evidenza che la democrazia provochi sviluppo economico. Quasi tutti i paesi arabi sembrano aver raggiunto il livello di reddito pro-capite minimo per aver strutture democratiche, ma presentano strutture politiche molto più autoritarie di quanto ci si potrebbe attendere in base al reddito: Ciò risulta particolarmente vero per i paesi produttori di petrolio e gas, dove la scoperta di queste risorse ha creato un ulteriore meccanismo di controllo sociale e non ha favorito, anzi, ha ostacolato sviluppo economico e democrazia a causa di basso livello di tassazione (no taxation without representation), forte concentrazione della ricchezza, alta spesa pubblica per difesa, sicurezza, sovvenzioni, sussidi, notevoli investimenti in capitale a fronte di scarsi investimenti in risorse umane.
Nei paesi arabi l’economia cresce, ma la popolazione cresce a un ritmo molto più elevato. Cresce il Pil, ma diminuisce il reddito pro capite e aumenta il malessere sociale. La popolazione è mediamente molto giovane (per esempio, in Palestina l’età mediana è di 17 anni, cioè metà della popolazione ha meno di 17 anni e metà della popolazione ha più di 17 anni). Ragazze e ragazzi sono più istruiti dei loro genitori, ma hanno una condizione economica peggiore. E soprattutto non hanno prospettive.
Altre cause dell’anomalia dei paesi del Medio Oriente sono la natura della colonizzazione (gli stati della Penisola Arabica sono terre aride che nessun impero ha mai voluto conquistare, non sono mai diventati colonie ma solo protettorati affidati dai paesi occidentali a strutture tribali locali, senza alcun investimento nell’“esportare” istituzioni democratiche) e il forte collante ideologico-religioso.
Alla domanda “l’Islam è un ostacolo alla democrazia e alla crescita?”, secondo Ruggerone, «né l’analisi dottrinale, né l’evidenza storica (pochi paesi musulmani possono definirsi democratici, e molte costituzioni arabe hanno un richiamo alla Sharia), né quella econometrica sono in grado di dare risposte definitive».
L’omogeneità del mondo arabo è più apparente (una religione fortemente maggioritaria; una sola lingua semitica, l’arabo; una geografia relativamente omogenea – sono paesi compresi fra 35º ed il 15ºdi latitudine, con poche terre fertili generalmente vicino al mare o ai rari corsi d’acqua e molte aree desertiche –; una popolazione, quella araba, d’origine semitica; una cultura modellata da oltre quattordici secoli, prima dall’impero musulmano) che reale. Infatti i paesi islamici presentano situazioni socio-economiche alquanto differenziate e dipendenti dall’area geografica di appartenenza e la frammentazione etnica, linguistica e culturale è assai rilevante tanto da costituire un forte ostacolo al processo di crescita economica e alla creazione di istituzioni democratiche.
«L’Occidente ha spesso oscillato tra tentazioni neocolonialiste (conquistare un mercato di 360 milioni di abitanti e garantirsi petrolio a basso costo) e paure ancestrali (fondamentalismo islamico, flussi migratori, essere comprati)». Ma quale ruolo potrebbe avere oggi l’Europa in crisi nei confronti del Medio Oriente in rivolta? «Se capissimo meglio le realtà dei paesi arabi, noi europei potremmo aiutare lo sviluppo socio-economico e l’evoluzione delle istituzioni democratiche».
Vite che contano
Con don Giusto della Valle il discorso si è incentrato su Como. Il parroco di Rebbio si è definito un prete “normale” e ha costatato quanto sia «difficile trovare persone che chiedono di ascoltare i profughi. Non si ragiona per conoscenza diretta».
Don Giusto ha inquadrato il fenomeno nel suo contesto globale osservando come 200 milioni di persone si spostano ogni anno e ha ricordato che i governanti africani temono le rivolte dei giovani: «”Primavere arabe” potrebbero arrivare anche in Camerun e in Costa d’Avorio dove le avvisaglie sono state represse nel sangue».
Venendo poi alla situazione comasca ha detto che sono 200 le persone arrivate dalla Libia in provincia di Como, ma nessuno di essi è libico. In città grazie a Acli e Caritas ne sono accolte 45 (25 richiedenti asilo e 20 minori) mentre Caritas si occupa anche di un’altra sessantina di loro nel resto della provincia.
L’incontro è proseguito con il racconto delle storie di due profughi. Beatrix, nigeriana emigrata in Libia dove ha vissuto sette anni, partita per l’Italia a causa della guerra e giunta a Genova (7 giorni in mare) e poi a Como. Beatrix è stata impegnata in uno stage di tre mesi all’Acli Chef, aiutando in cucina. Vorrebbe andare a prendere l’altra sua figlia in Nigeria.
Anche Rufi pakistano era immigrato in Libia. Faceva da tre anni il muratore, oggi fa le pulizie in Questura. Ha due figli in Pakistan dove gravissimi sono i problemi di lavoro e di miseria.
Don Giusto ha sottolineato che le loro storie sono emblematiche: «Ci sono altri profughi con un passato simile. Alcuni sono stati costretti a salire sulle navi dall’esercito libico (dal posto di lavoro caricati su camion e poi su navi). Sarebbero rimasti in Libia volentieri. Asiatici e africani fanno in Libia lavori che i libici non fanno».
Solo una piccola parte dei profughi è arrivata in Italia. Milioni nei paesi vicini. 400 mila in Tunisia. In Italia il fenomeno è quantitativamente modesto ma le porte sono tutt’altro che aperte: quelli che da Como hanno chiesto lo status di profughi sono stati convocati dopo otto mesi per i primi colloqui in Commissione territoriale a Milano dove la stragrande maggioranza non riesce a ottenere una risposta positiva.
Da qui la necessita di fare ricorso con procedure complesse che a Como sono rese possibili anche grazie alla disponibilità di tre avvocati che lavorano gratuitamente per dare loro assistenza.
Quasi nessuno accetta la proposta di rimpatrio assistito incentivata con un contributo irrisorio di appena 200 euro.
Dopo il dibattito nel quale sono stati approfonditi i temi delle relazioni don Giusto ha in conclusione invitato studenti e professori a approfondire la conoscenza dei profughi accolti a Como recandosi al Centro di Prestino. Invito accettato volentieri dal professor Fontana. [Celeste Grossi per ecoinformazioni]