Marcelo Barros: «Siate custodi della Terra»

«I beni della terra non ci appartengono: noi ne siamo curatori e amministratori ma essi appartengono a tutti, sono di tutti». Con queste parole Marcelo Barros ha spiegato la necessità di un cambiamento culturale e spirituale degli esseri umani contro la società capitalistica, in occasione del primo incontro del ciclo Un altro mondo è possibile organizzato a Erba dalla cooperativa Shongoti.

 Ieri sera entrando in sala Isacchi, l’accoglienza veniva data da Marcelo Barros, teologo della Liberazione con una lunga esperienza di vita assieme ai più poveri, nelle battaglie al fianco dei contadini e sopravvissuto alla dittatura militare brasiliana. Barros invitava gentilmente i presenti a sedersi nelle prime file, mentre io imbarazzato tentavo di nascondere la mia bottiglia di Coca Cola, simbolo per antonomasia del consumismo. Come se avessi in mano un pollo arrosto ad una cena di vegetariani.

«Leggendo i giornali in questi giorni – così Barros comincia il suo intervento –  ho  scoperto che 10 italiani hanno la ricchezza di 3 milioni di persone. Quando vengo in Italia trovo sempre persone abbattute, che hanno bisogno di ritrovare un senso nella loro vita. Questo succede perché viviamo in una società che ha perso l’anima. Non l’ha persa una persona, ma l’intera società e questo è un problema perché l’ha venduta, lasciando che una specie di dittatura finanziaria si prendesse cura di tutto, anche delle persone». Gli Indios sudamericani vedono il mondo dei bianchi come un mondo “sottosopra”, e per recuperare l’anima bisogna rimettere il mondo come deve essere: «Ci è stato insegnato che “il mio diritto comincia dove finisce il tuo”, ma non è così: il mio diritto comincia dove comincia il tuo e finisce dove finisce il tuo. Gli africani utilizzano una parola per spiegarlo: Ubuntu, che significa “io sono perché tu sei, la mia vita è dove c’è la tua”».

Barros parla in piedi: il suo sguardo è brillante, il sorriso riempie il suo volto, specchio della serenità interiore. Spiega chiaramente il suo concetto di sostenibilità e di ecologia: «Sostenibilità significa equilibrio, armonia di ognuno con se stessi, con gli altri e con la natura. Sono le tre dimensioni dell’ecologia: interiore, sociale e ambientale».

La nostra società è basata sul lucro, sul denaro. Con questo tipo di capitalismo non è possibile nessuna ecologia, perché se tutto ha un prezzo, tutto viene considerato merce: «Mia madre mi diceva sempre “arriverà il tempo in cui si venderà anche l’aria dell’atmosfera”. Ma l’uomo deve capire che la sua vita è interdipendente, dipende gli uni dagli altri, è una rete in equilibrio». Barros utilizza una metafora per spiegare le radici di questo individualismo: non c’è terremoto senza epicentro; questo vale per tutte le cose, a partire dai rapporti tra le persone fino all’ecologia, il cui epicentro è il capitalismo. Ma la faglia dell’epicentro è la cultura spirituale e per questo motivo ciò che serve all’uomo è un cambiamento culturale: «Serve una spiritualità, sia per credenti che non credenti, sia religiosi che non; una solidarietà di vita, una cultura di amore con tutti e con la natura, che ti faccia vedere tutti i beni come comuni, a partire da quelli fondamentali come l’acqua, l’aria, la natura. La vita intera è un bene comune, specialmente quella dei più deboli, piccoli e anziani».

Il teologo brasilano sottolinea come il problema non sia religioso, ma culturale: «I beni della Terra non ci appartengono, noi ne siamo i curatori, siamo gli amministratori dei beni che sono di tutti. I padri della Chiesa dicevano “Ciò che l’altro ha bisogno più di me, gli appartiene per diritto”. Il cristianesimo deve imparare dalle altre religioni, deve essere in dialogo e in rapporto con le altre religioni, perché a chi è cristiano, nulla di ciò che è umano può essere estraneo. Il cristiano deve essere capace di dialogare e entrare in rapporto con l’altro, non per essere necessariamente d’accordo con lui, ma per non essere estraneo all’umano, perché se Dio si è fatto umano, tutto ciò che è umano è anche divino». L’ uomo non deve possedere la terra, ma esserne il Giardiniere: «Questa è l’ecologia sociale, fondamentale per l’ecologia interiore e necessaria anche nel rapporto con i beni della terra. La cultura di collaborazione con gli altri non è naturale, va creata assieme. Ricordate la parola degli Indios, “l’uomo non deve perdere l’anima”».

Dopo il suo intervento, Barros lascia agli 80 presenti il tempo per discutere e riflettere assieme e poi chiede a tutti di parlare e intervenire. Il pubblico è composto in gran parte da persone impegnate in vari ambiti politico-sociali, dallo scautismo al commercio equo e solidale, dalla Caritas ai Trapeiros fino ai comitati No cava. «Dove sta l’epicentro del cambiamento possibile? Il profitto ha rubato l’anima all’uomo, come può l’uomo riprenderla?». Per rispondere a questa domanda, Barros parte da una frase di Gandhi: «Comincia da te stesso il cambiamento che vuoi per il mondo. Non basta, certo, ma è il punto di partenza. Partire dai piccoli comportamenti quotidiani, come lo spreco dell’acqua del rubinetto, e dalle piccole iniziative locali che possono essere molto importanti. In Italia il commercio equo e solidale, Banca etica, i bilanci di giustizia sono tutte iniziative che vanno in questa direzione». Alla base di questi ragionamenti sta l’individualismo, «Il primo grande problema che ruba l’anima. L’isolamento porta all’indifferenza nei confronti di tutto, ma quando si riesce a vincere questo comportamento si va nel senso di recuperare l’anima. L’individualismo è  anche nell’utilizzo della macchina tra vicini di casa, nella paura contro la capacità di esercitare la solidarietà».

Prendendo spunto da un intervento sul comitato a difesa del monte Cornizzolo, che la multinazionale Holcim vuole smembrare per creare una cava, Barros ha espresso la sua visione sulla Chiesa cattolica: «Mi pare che gesti come questo siano molto più importanti di tutti i culti che si fanno nella Chiesa, perché i culti devono essere il simbolo dell’impegno che si mette in pratica. Dio è ambiente, non fa differenza adorare uno dei due. Io sono cattolico e credo in una spiritualità cristiana, libera, evangelica, non inquadrata dentro un sistema». A chi chiede come poter cambiare la cultura capitalistica in cui viviamo, Barros spiega come sia fondamentale non essere idealisti, cioè proiettare una situazione perfetta e ideale, che non si può avere adesso e non si può raggiungere, perché questo porterebbe a non fare nulla: «l’idealismo elimina la possibilità di un cambiamento reale. La pace non è realizzabile, ma io devo cercarla dentro il mondo in cui vivo. La situazione che viviamo è difficile e conflittuale, impossibile da cambiare totalmente. Ma io ho vissuto la terribile dittatura militare, dove le persone venivano uccise per sospetto, non esisteva alcuna libertà e ho visto come le cose possano cambiare. Noi Teologi della liberazione pensavamo che questo potere militare non potesse mai finire, invece poi è caduto. Con il governo Lula in Brasile dal 2002 ad oggi 28 milioni di persone hanno lasciato la miseria. Io vorrei che nessun brasiliano debba più vivere nella miseria, 28 milioni rispetto all’intera popolazione sono pochi, ma c’è stato un miglioramento. Non si può dire che tutti i politici non valgono nulla, perché dicendo questo esprimo il mio disinteresse e allora posso dire che anche se le cose peggiorano non ho problemi. I giovani hanno il compito di agire adesso, non domani. Per volere un nuovo mondo possibile, dobbiamo fare la nostra parte». [Tommaso Marelli, Ecoinformazioni]  

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