Elogio dell’utopia abbandonata dalla politica/ Fermare la deriva

Un pubblico multicolore ha riempito la sala della Fondazione Avvenire giovedì 12 aprile per l’incontro Como sono anch’io, integrazione, reciprocità e sviluppo  in una città che cambia, organizzato dalla lista Amo la mia città.  All’iniziativa hanno partecipato un nutrito numero di cittadini italiani nativi e non nativi che hanno seguito la proiezione del video Monopolis su via Milano e gli interventi, introdotti da Marco Servettini e Mauro Meggiolaro, di Paolo Sannella e di Jean-Léonard Touadi, il dibattito  e le conclusioni di Gisella Introzzi.

Marco Servettini, impegnato nella Caritas e fondatore dell’Isola che c’è, è partito da alcuni dati: a Como nel 2010 erano 11.156 gli stranieri residenti, il 13 % della popolazione; la Caritas ha fornito aiuto a circa 1000 persone, per l’80 per cento stranieri. Ha fatto appello quindi ai relatori e soprattutto al parlamentare del Pd Jean-Léonard Touadi per la soluzione del dramma dei 200 profughi (provenienti dalla Libia) che a Como non potranno acquisire lo status di rifugiati. Per essi la via praticabile è la concessione di un permesso umanitario.

L’intervento di Paolo Sannella, già ambasciatore italiano in Costa d’Avorio, ha trattato di immigrazione e di Africa per suggerire, a 40 anni dalla pubblicazione de I limiti dello sviluppo, di acquisire l’ottica della globalizzazione e della esauribilità delle risorse per l’elaborazione di nuovi paradigmi che superino il punto di vista coloniale in una situazione caratterizzata dall’incremento demografico. Per Sanella il termine “integrazione” è fuorviante, meglio “accoglienza” e per realizzarla è essenziale la conoscenza delle culture dei paesi di provenienza degli immigrati.

Per Jean-Léonard Touadi «Il momento delle elezioni è il momento in cui la comunità ripensa se stessa, il proprio progetto collettivo in modo diacronico e prospettico». C’è quindi anche la dimensione dell’utopia che purtroppo la politica sembra aver perso. «La campagna elettorale non è il momento delle promesse della politica, ma per ripensare e immaginare il futuro collettivamente». Occorre per Touadi «puntare sull’utopia che è la costruzione di quello che non c’è, è il sogno che invece manca completamente alla politica di oggi. Il tema dell’immigrazione è in questa logica centrale per parlare della globalizzazione economica e della crescita della forbice povertà ricchezza che non si restringe, ma si apre sempre più non solo nei paesi poveri, ma anche nei paesi ricchi dove la classe media va verso le nuove povertà»,

Incarnato nei drammi dell’immigrazione per il parlamentare del Pd non c’è solo lo scandalo della ineguale distribuzione delle risorse nel pianeta, ma il problema del modello di sviluppo: «La Banca mondiale e il Fmi dettavano negli anni 70 ai paesi africani una ricetta [ndr. tagli ai servizi sociali, ai salari dei lavoratori]. Trenta anni dopo le stesse istituzioni economiche danno all’Italia la medesima ricetta. La “barca della globalizzazione” e dei modelli di sviluppo è unica».

L’immigrazione ci parla di un mondo non in Pace. I partiti progressisti avevano dedicato molta attenzione ai movimenti per la Pace oggi non è più così: «molta acqua è stata messa nel vino dell’internazionalismo proletario. Una barca con circa 200 milioni di persone vaga per raggiungere il diritto primario alla sopravvivenza». Per Touadi nel nostro paese non c’è abbastanza difesa di questa vita e ci si concentra solo sul feto e sul malato terminale.

L’immigrazione deve diventare un elemento di controllo della qualità politica. Anche l’urbanistica è centrale per questo progetto realizzando «Non frontiere, ma confini, luoghi di attraversamenti multipli. Un luogo plurale deve essere attraversato da identità diverse. Governare la città è evitare la formazione di non luoghi».

Abitare il confine e sviluppare la mediazione interculturale è la proposta del relatore: «La città è un organismo complesso che ha bisogno di strumenti di fluidificazione dei gruppi che la abitano. Questi si chiamo strumenti di mediazione interculturale. Già adottati in alcuni luoghi.

La legalità aiuta l’integrazione. Non è ancora stato sperimentato un modello di multiculturalismo italiano. Ma se il dibattito è antropologico è affidato a Calderoli e Santanché è certamente di corto respiro. L’Italia è essa stessa plurale abbiamo cinque lingue citate nella Costituzione. Non siamo monoculturali, un paese che teme la novità dell’innesto è un paese finito».

Particolarmente severo il giudizio di Touadi sulla politica internazionale europea e italiana: «Non dobbiamo più parlare con leggerezza del rapporto tra Europa e Africa. I due continenti si stanno allontanando come in una deriva. C’è rigetto dell’Europa da parte degli africani maggiore che del periodo coloniale. C’è il dramma dei 14 mila corpi di immigrati africani che giacciono sui fondali eruopei. Dal 1988 e ancora oggi il Mediterraneo è diventato un gigantesco cimitero marino che ha scavato un solco tra l’Africa e Europa».

Dopo il dibattito, nel quale sono intervenuti diversi esponenti delle comunità straniere a Como e candidati della lista Amo la mia cittàn la serata – assente Lucini, impegnato nel dibattito sullo sport  in biblioteca – è stata conclusa da Gisella Introzzi che ha sottolineato come la presenza degli immigrati costituisca anche una risorsa economica importante per lo sviluppo e che: «La città potrà migliorare con l’ascolto di tutti i soggetti. Il muro da abbattere e quello dell’isolamento e dell’auto referezialità». [Gianpaolo Rosso, ecoinformazioni] [Foto Gin Angri]

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