Memoria di Auschwitz e vergogna


imagesAuschwitz ci riguarda, non è solamente passato o un futuro da scongiurare. È presente, anche in chi 
non ha vissuto in quegli anni, ma se li trova consegnati in eredità dalla Storia. Come rapportarsi allora ad Auschwitz, e quali contenuti scegliere per dare senso alla giornata della memoria? Sabato ventisei febbraio si è cercato di rispondere a queste domande, proponendo una chiave di lettura e condividendo un momento di riflessione all’associazione ex libris in via Borgo Vico attraverso la presentazione del libro La neve nell’armadio. Auschwitz e la vergogna del mondo di Enrico Mottinelli. La presentazione è stata racchiusa dalle letture di Gabriella Bianchini e dall’esecuzione di alcuni brani klezmer interpretati da Tommaso Latis (violino) e Andrea Lietti (pianoforte e fisarmonica) [guarda il video]. La serata, seguita da circa cinquanta persone si è conclusa con un aperitivo.

 «Uso la parola Auschwitz come simbolo concreto dell’evento di cui sterminio, olocausto, shoah sono solo descrizioni parziali» ha detto Enrico Mottinelli. La nostra è la generazione che deve fare memoria, che si trova a confrontarsi con l’evento che Auschwitz racchiude. Nel momento in cui ci si interroga su questo fatto affiora la difficoltà ad afferrare l’entità di quanto è accaduto, espressa anche dalla mancanza di una parola veramente adatta capace di designarla.

 Solo uno sguardo e un’emozione riescono a dare voce all’indicibilità verbale di quello che Auschwitz rappresenta. È uno sguardo terrorizzato e impaurito che traspare nei sopravvissuti, riconosciuto da Mottinelli nel volto di Primo Levi all’interno del filmato Primo Levi ritorno ad Auschwitz realizzato dalla Rai nell’ottantatré. La stessa indicibilità dell’accaduto secondo Mottinelli viene espressa anche dai Sonderkommandos, deportati nei lager che si occupavano dello sterminio degli altri prigionieri.

 Tuttavia anche da queste testimonianze, ha detto Mottinelli, resta qualcosa che sfugge. E questo scarto è quello che distingue Auschwitz da altri avvenimenti drammatici della storia. Questa indicibilità secondo Mottinelli ha un volto, quello del musulmano». Il musulmano infatti nel gergo del campo era chi si trovava nella condizione di uomo prossimo alla morte, privato di tutto. «Il musulmano è un prigioniero cui hanno è stato tolto tutto. Casa, famiglia, nome, dignità, gioia e perfino ogni residuo umano di moralità . Il musulmano non ha più nulla, solo respiro. Cosa rimane allora di un uomo? Non rimane nulla.» Come ha detto Mottinelli questo vuoto, questa assoluta mancanza di senso genera imbarazzo e ripulsa. Questo imbarazzo è provato da tutti gli uomini che gli si avvicinano a loro, siano essi altri prigionieri, o medici, oppure soldati.

 Ma cosa significa questo imbarazzo? Mottinelli sostiene che esso sia l’imbarazzo di chi viene scoperto, di chi si vergogna di sé. «Guardare il musulmano dice qualcosa di noi stessi, dell’umanità dell’uomo. Il musulmano diventa un buco di senso, una finestra sul caos che ci abita». La vergogna è per Mottinelli come una barriera, che difende l’uomo dalla sua nudità. È infatti una vergogna ontologica e non causata dal senso di colpa quella che rimane presente nei sopravvissuti e impedisce di liberarsi da quello che è stato. Edith Bruck, scrittrice di origine ungherese sopravvissuta ai campi di sterminio nazisti ha detto durante una conversazione con l’autore che quando è tornata a Dachau, per la prima volta, si è sentita a casa. Questa affermazione tremenda secondo Mottinelli racchiude in sé l’impossibilità del ritorno, fino al punto che anche la testimonianza stessa, il racconto di ciò che è stato viene definito da Edith Bruck come «il continuare a portare nel grembo questo mostro che non riesco mai a partorire».

Anche noi, come ha detto Mottinelli, abbiamo il dovere di guardare Auschwitz in faccia, poiché l’Europa affonda le sue radici anche in questo, e dopo quanto è accaduto non siamo più gli esseri umani di prima, tanto che, come afferma Steiner, si potrebbe parlare di «homo sapiens post Auschwitz». La memoria quindi ci riguarda, e riguarda il presente, la vergogna viva che è in noi, che ricorda la nostra umanità.

A seguito dell’intervento è stato lasciato spazio a domande e a riflessioni dei presenti e a un momento di condivisione con un aperitivo. [Matilde Aliffi, ecoinformazioni]

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