Salvatore Borsellino: «Paolo è vivo in chi lotta contro la mafia»
Martedì 23 aprile si è tenuto a Lomazzo l’incontro-dibattito con Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso dalla mafia e fondatore del movimento delle Agende rosse. Oltre 200 persone hanno assistito all’evento organizzato dall’associazione Immagina Lomazzo
La serata inizia come non te la aspetti: un lungo applauso e Salvatore che a stento trattiene le lacrime, alzando al cielo la sua Agenda rossa. Le prime parole saranno invece il filo conduttore della sua storia e del suo racconto: «Molti mi chiedono a 20 anni di distanza da quella strage come mi sento. Non è il dolore che mi porta a serate come questa o nelle scuole o ovunque mi chiamino a ricordare la memoria di Paolo. È rabbia, è voglia di giustizia e verità». Una verità come ci ricorda troppo spesso negata in questa nostra storia repubblicana. Da piazza Fontana a Piazza della Loggia, dalle bombe sull’Italicus alla stazione di Bologna. La sua testimonianza ci riporta come catapultati negli anni del Maxi-processo, di come quella mafia «spesso usata dallo Stato come mano armata» avesse subito un durissimo colpo quando nel ’91 quasi tutti gli anni di carcere chiesti in appello fossero stati confermati in cassazione, con la crisi della Democrazia cristiana con l’assassinio di Salvo Lima e l’inizio di Tangentopoli e l’attacco della mafia allo Stato con la strage di Capaci dove cadde, il “fratello” di Paolo, il giudice Giovanni Falcone. Iniziano qui i 57 giorni di Paolo Borsellino, un uomo lasciato solo, un uomo che ripeteva «il prossimo sono io, devo fare presto», un uomo sulla cui agenda era appuntato un incontro con l’allora ministro dell’interno Nicola Mancino (lo stesso Mancino che è stato intercettato qualche mese fa al telefono con la presidenza della Repubblica, intercettazioni che sono state distrutte pochi giorni fa) e che ha sempre negato l’incontro col magistrato, un uomo che il 25 giugno 1992 ad un incontro alla biblioteca di Palermo disse «aspetto di essere chiamato dalla procura di Caltanissetta come persona informata sui fatti», cosa che non avvenne mai. E inizia parallelamente la trattativa che da “mai esistita” a “presunta” diventa “accertata” da un punto di vista giuridico con la collaborazione dei pentiti Massimo Ciancimino e Gaspare Spatuzza. Quella trattativa che porta prima alle bombe del ‘93-‘94 a Firenze, Milano e Roma e poi all’arresto di Totò Riina, il cui covo sarà perquisito solo due settimane “dopo che vennero anche imbiancati i muri” e all’insabbiamento della mafia armata. La testimonianza di Salvatore arriva fino ai giorni nostri con questo difficile processo di Palermo «di cui i giornali e telegiornali parlano poco, mentre sapete tutto di Cogne e Avetrana» in cui «lo Stato processa lo Stato» e che va avanti grazie al coraggio di magistrati coraggiosi e che vengono isolati, come accadde nel 1992, e minacciati dalle associazioni criminali come successo al Pm Nino Di Matteo.
La serata scorre ricca tra la storia recente del nostro paese e il ricordo di Paolo. Fa riflettere Salvatore: «Io sono scappato da quella città, da quella città dove si moriva, per strada, da quella città che negli anni ‘60 era chiamata “la conca d’oro”, una piana verso il mare riparata da colline che nei mesi invernali e primaverili fiorivano di limoni, aranci, mandarini e il cui profumo arrivava fino alla città, città dove si intrecciavano e mescolavano culture diverse, palme ville in stile liberty. Palermo che negli anni avevo visto sparire trasformata in una colata di cemento». Ci ricorda le parole di Paolo che in una lettera parla alle nostre coscienza e le graffia in questo modo: “Palermo non mi piaceva, per questo ho imparato ad amarla. Perché il vero amore consiste nell’amare ciò che non ci piace per poterlo cambiare”. «Nonostante il clima sia simile a quello del ‘92 anche per la crisi politica di questi anni» Salvatore è però fiducioso: «Paolo non me l’hanno ammazzato, Paolo è vivo e lo vedo nei tanti giovani che ho incontrato in questi anni, giovani che hanno capito e portato avanti nelle loro battaglie il messaggio di Paolo “Nella lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità». [Emanuele Acocella per ecoinformazioni]