Nella festa della Repubblica la Resistenza è un po’ fuori programma


luciniconcostituzioneL’indicazione è chiara da subito, la scandisce la maestra di cerimonie che la mattina del 2 giugno dal palco dell’Aula magna del Politecnico di Como (lo svolgimento al chiuso è imposto dal maltempo) conduce l’intera mattinata: «La cerimonia sarà improntata alla massima sobrietà; l’unico messaggio ufficiale sarà quello del presidente della Repubblica, letto dal prefetto».

Il messaggio diffuso in tutta la nazione è prossimo al minimo sindacale. Un ringraziamento agli “uomini dello Stato” per quanto fanno nell’adempimento del proprio dovere; un appello all’impegno contro la corruzione e il malaffare; un invito al dovere dell’accoglienza di fronte a quanti fuggono dalle guerre e dalle miserie. Nessun richiamo, nemmeno quelli dettati dalla consuetudini, ai valori della nazione, nessuna parola di approfondimento sulla fase storica di profonda crisi che attraversa l’Europa, la sua idea e la sua politica concreta, nessun auspicio di mettere in pratica quegli ideali che poco più di settant’anni fa condussero al riscatto dalla dittatura fascista, alla sconfitta dell’occupante nazista, alla scrittura di una costituzione tra le più elevate del mondo.

Del resto le parole “resistenza”,  “fascismo” o “antifascismo” non verranno mai pronunciate per tutta la mattina.

Si ricorda, è vero, l’importanza del voto alle donne, raggiunto appunto settant’anni fa (ma ci si guarda bene dal ricordare che quel voto non lo volle nemmeno lo Stato liberale e non solo il fascismo), si ricorda la nascita della repubblica, ma il come e il perché si preferisce metterlo tra parentesi.

faustaclerici
Se il discorso del presidente della Repubblica appare costretto nelle regole del politichese, assai meno ingessati sono gli interventi di Faustina Clerici, chiamata a sottolineare l’importanza del ruolo politico femminile, e del rappresentate della Consulta degli studenti (che sostituisce all’ultimo momento una voce femminile, Tiziana, che avrebbe dovuto a sua volta testimoniare del ruolo delle giovani). Anche questi due interventi non riescono però ad andare al di là di pochi, ovvi concetti («le donne sanno mettersi d’accordo meglio degli uomini», «la democrazia non deve essere data per scontata una volta per tutte», per finire con «la libertà è partecipazione» secondo le note parole di Gaber, ormai assurto – nel generale deserto del pensiero – a riferimento politico di primo piano). Francamente ci si poteva – e doveva – aspettare di più.

Esauriti gli interventi si va avanti con la consegna dei riconoscimenti: prima quelli a chi si è distinto nel lavoro (i “maestri del lavoro” sono quasi tutti maschi, una sola donna) e poi quelli alle persone che hanno sofferto la deportazione o hanno partecipato alla lotta di Liberazione. Sia chiaro: l’omaggio agli ormai pochi sopravvissuti è doveroso, e quindi vedere finalmente accomunati in un ringraziamento collettivo Ernesto, Gaetano, Wilma, Ottavio, Rosalinda e tanti e tante altre riempie il cuore di gioia. Ma non si dovrebbe nemmeno dimenticare che tale omaggio è tardivo (almeno una frase di scuse “istituzionali” non sarebbe stata fuori luogo) né si può fare a meno di notare che l’omaggio è completamente decontestualizzato, e che sul rapporto con le vicende della nazione (e della Repubblica che oggi si festeggia) è steso un velo di totale silenzio. Il breve “fuori programma” di Bella ciao cantata da una parte (una parte sola!) della sala non basta a rincuorare chi è lì soprattutto per festeggiare gli autentici artefici di questa Repubblica. Il cerimoniale si sforza soprattutto di ricondurre lo svolgimento nell’alveo di quanto stabilito. Si chiude con la concessione di una commenda per meriti culturali. Segue breve esibizione della Filarmonica cittadina.

La morale che si può trarre da questa stanca liturgia (che fa rimpiangere i pontificali conditi di incenso) è desolante: le istituzioni (le massime istituzioni, poiché la linea appare provenire dall’alto) non hanno alcun interesse ad approfondire i nodi problematici legati alla storia fondativa della repubblica, e ad attualizzarli. La storia è storia, distribuiamo qualche medaglia e mettiamoci una bella pietra sopra. Guardiamo avanti, ma senza fare troppe domande. E soprattutto “scurdammoce ’o passato”… [Fabio Cani, ecoinformazioni].

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