Giovanni Impastato agli studenti: “Non rassegnatevi alle ingiustizie: combattetele”

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«Oggi è una bella giornata per la nostra scuola: il percorso didattico dedicato al tema della legalità si arricchisce di un altro e prezioso contributo». Così ha affermato Angelo Valtorta, dirigente scolastico del Liceo classico-scientifico Alessandro Volta di Como, in apertura all’incontro con Giovanni Impastato, fratello di Giuseppe “Peppino”, ucciso per mano mafiosa il 9 maggio 1978 a Cinisi (PA), suo paese d’origine.

Hanno partecipato alla tavola rotonda organizzata dalle docenti del liceo ospitante Domitilla Iervolino e Domitilla Leali per la mattinata di lunedì 23 aprile anche Francesca Campisi, referente del Cpl di ComoFrancesco Paolo Ammirata, docente del Liceo delle scienze sociali “Teresa Ciceri” e referente Progetto didattico del Centro studi “Pio La Torre”, e Gianpaolo Rosso, presidente dell’Arci di Como e co-direttore di Arci ecoinformazioni, che ha anche svolto il ruolo di moderatore. L’incontro, seguito da classi dei licei “Alessandro Volta” e “Teresa Ciceri”, dell’Ites “Caio Plinio Secondo ” e dell’ Ipsscts “Gaetano Pessina” di Como che hanno riempito la Grand’aula del Liceo Volta, è stato trasmesso da ecoinformazioni in diretta streaming nel corso della mattinata. Il contributo della nostra testata alla copertura dell’iniziativa si arricchisce inoltre dell’intervista a Giovanni Impastato realizzata dagli studenti del liceo Volta Riccardo Soriano, Giovanna Mentasti, Tommaso Grisoni e Laura Brancato (i link al video in streaming e all’intervista sono in fondo all’articolo).

«Ormai da molti anni, le scuole del territorio di Como e della sua provincia si distinguono per un grande impegno nella lotta alle mafie attraverso l’educazione: un impegno che ha preso il via in tempi in cui parlare apertamente delle mafie era ancora problematico» esordisce Rosso, riconoscendo a Bruno Saladino  – ex dirigente scolastico dei licei Giuseppe Terragni e Alessandro Volta, presente all’incontro –  il merito di aver organizzato un incontro con Leoluca Orlando negli anni della sua presidenza dell’istituto di Olgiate Comasco, sfidando con successo una forte resistenza in senso contrario. Anche al di fuori del contesto scolastico – prosegue Rosso –  la società comasca si mostra attiva e interessata, come provato dalla contestazione pacifica a Marcello Dell’Utri, invitato a Parolario a presentare i diari di Mussolini, il convegno Liberté fraternité legalità, organizzato dal Coordinamento comasco per la pace nel 2008 e partecipato da circa 1200 persone, senza contare il prolungato sodalizio con la Carovana antimafie e le iniziative regolarmente organizzate in città e in provincia, la prossima delle quali,  l’incontro La ‘ndrangheta, dal sequestro di Cristina Mazzotti ad oggi, si terrà giovedì 3 maggio alla sala consiliare di Eupilio in via Strambio 9, nell’ambito della rassegna 4 colpi alla ‘ndrangheta.

Qual è la situazione attuale dell’educazione alla legalità negli istituti comaschi? Campisi riporta il dato positivo dell’adesione di sempre più classi e istituti al Comitato per la legalità, di cui è capofila l’Isis “Paolo Carcano”. Gli/le studenti e insegnanti della provincia di Como partecipano a sempre più iniziative di rete sul tema della legalità e della giustizia, alcune delle quali hanno un taglio sperimentale e pratico e avviano gemellaggi con scuole di altre località italiane (Campisi menziona il progetto Coppole per la legalità, presentato a Milano nell’ottobre 2016), diffondendo l’educazione antimafiosa in modo sempre più capillare. Per quanto riguarda, invece, la consapevolezza della presenza e delle attività della criminalità organizzata, i questionari anonimi sottoposti agli studenti delle scuole comasche e lombarde dal Centro “Pio La Torre” hanno rilevato un sorprendente livello di consapevolezza circa la presenza delle “mafie” e soprattutto della ‘ndrangheta in regione, che i più spiegano con gli alti livelli di corruzione della politica. I dati presentati da Ammirata evidenziano inoltre la consapevolezza di un legame tra la criminalità organizzata e la migrazione allo stato attuale (caratterizzata da un limitato accesso a percorsi di regolarizzazione e inserimento e un’alta incidenza di sfruttamento dei migranti in vari settori dell’economia: caporalato agricolo, accattonaggio, stupefacenti, sfruttamento e traffico umano). Ciò che forse colpisce di più, comunque, è la percezione – condivisa da poco meno del 70 per cento degli intervistati/e ritiene le mafie (nel loro insieme) più potenti dello Stato, peraltro manifestando non di rado un atteggiamento diffidente,  reticente a parlare apertamente della questione.

Proprio l’omertà, basata sulla falsa ma rassicurante correlazione “Se io non li denuncio, loro non mi attaccheranno” è un ostacolo strutturale del contrasto alle mafie. Non per questo si tratta di una barriera incrollabile, anzi c’è urgenza di abbatterla, non solo per la nostra sicurezza ma anche nell’interesse della società e, nel senso più “puro” della parola, dello Stato. Alessia Loi e Simone Ronchetti della Consulta provinciale degli studenti condividono le proprie riflessioni sulla percezione che gli/le attuali studenti di scuola superiore hanno delle mafie e della lotta alle stesse. La giornata del 21 marzo, istituita su iniziativa di Libera e partecipata, anche a Como, da un grande numero di realtà territoriali, tra cui l’Arci e il Comune di Como (rappresentato in sala da Anna Veronelli, presidente del consiglio comunale) per commemorare le vittime innocenti delle mafie, la Carovana antimafie annuale, i Campi della legalità promossi da Libera e dell’Arci sui beni confiscati in tutta Italia hanno certamente giocato un ruolo essenziale nel diffondere e rafforzare la consapevolezza dei giovani – e non solo – su un fenomeno che nella storia ha mietuto centinaia di vittime, molto spesso non direttamente implicate nella criminalità organizzata. Tuttavia, a tutte queste iniziative deve affiancarsi l’intervento educativo, nel contesto familiare e in quello scolastico, che ha il ruolo di decostruire i falsi miti intorno alle mafie e di consolidare, nell’attivarsi contro di esse, un comune senso di responsabilità : lo stesso di cui Peppino Impastato, attivista contro le mafie originario di una famiglia di mafiosi, ucciso a soli trent’anni per aver scosso dalle fondamenta il sistema omertoso che lo circondava, aveva fatto la propria missione personale.

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L’intervento di Giovanni Impastato prende il via dalle vivide memorie dell’infanzia nella bella tenuta dello zio Cesare Mansella, all’epoca al vertice di una mafia ancora circoscritta nel potere e nel raggio d’azione. Giovanni e il fratello maggiore Peppino crescono in un ambiente familiare in cui la mafia è vissuta come normalità, fino al giorno in cui lo zio rimane ucciso in un attentato. L’episodio colpisce profondamente Peppino, che compie la scelta che segnerà il resto della sua vita: se questa è la mafia, si batterà sempre conto di essa. Il giovane manterrà l’impegno, sia nell’attivismo politico “tradizionale”, come candidato di Democrazia proletaria, sia lanciando di propria iniziativa un nuovo giornale, La voce socialista, e un’emittente libera, Radio Aut. Da questi media, in anni segnati da un grande fervore controculturale e da un’ampia partecipazione politica dal basso, il giovane Impastato decostruisce la sacralità dei mafiosi. Lo fa con la sua caratteristica ironia, consapevole del fatto che essi sono, in fondo, umani come chiunque altro, ma che traggono la propria onnipotenza dal rispetto reverenziale che la società osserva nei loro confronti. Ovviamente, le posizioni di Peppino non sono serenamente accolte da tutti: il padre lo ripudia, gli viene sporta denuncia in seguito a un commento sardonico rivolto al sindaco di Cinisi per un episodio di cronaca locale. Nel maggio 1978 l’assassinio, camuffato da attentato terroristico: si era pur sempre negli anni della strategia della tensione, come confermato dal ritrovamento (la data è la stessa: 9 maggio) della salma di Aldo Moro, rapito dalle Brigate Rosse due mesi prima. La verità sulla natura del delitto emergerà grazie all’impegno del fratello Giovanni e della madre Felicia Bartolotta e sarà poi ufficializzata dai giudici Rocco Chinnici e Antonino Caponnetto (a loro volta vittime delle mafie).

Di Peppino Impastato rimangono vive le idee, l’invito a condurre una riflessione individuale e condivisa sul nostro ruolo di cittadini responsabili. Nell’incontrare ragazze e ragazzi in ogni parte d’Italia, suo fratello Giovanni affianca alla sua memoria un’analisi attenta della contemporaneità.  Certo non siamo negli anni Sessanta e Settanta, quando il messaggio di Peppino, pur dirompente e tutto sommato isolato, si inseriva in una cornice di generale frattura dalla società tradizionale; anzi sembra che il pensiero critico venga atrofizzato sul nascere da un’industria dell’intrattenimento disimpegnato e vacuo di contenuti, mentre la politica sembra non dare il giusto peso alla lotta alle mafie e alla corruzione, aspetto pressoché assente dalla campagna elettorale precedente il 4 marzo. Questi modelli mettono a rischio i valori, nel loro esercizio e anche nella loro interpretazione. Esempio chiave è la parola presentata come la cifra della lotta alle mafie e alle ingiustizie: legalità. «Ma che cos’è la legalità, di per sé? La storia è costellata di leggi sbagliate, sconfitte grazie a atti di disobbedienza civile.  Esiste, sì, una legalità giusta, ed è democratica, costituzionale, antifascista: ma il rispetto acritico delle leggi non contribuisce a sanare la società. Così come ha poco senso contrapporre “Stato” e “mafia”, visto che nella realtà sono, piuttosto, sovrapposti l’uno all’altra. Anche la parola “cultura”,  di per sé, dice poco: i mafiosi contemporanei sono spesso eruditi, tanto che si parla di “borghesia mafiosa”. Studiare è importante, è necessario, ma a fare la differenza è la capacità di svlluppare un pensiero critico e metterlo in pratica contro un problema che è reale e che ci riguarda tutti».
Il pur critico quadro sociale e valoriale già descritto da Giovanni Impastato mostra però importanti progressi: i giovani sono più consapevoli e interessati al tema mafie (e antimafie) di qualche anno fa: «La storia di mio fratello, per come è stata narrata nel film di Marco Tullio Giordana I cento passi (2000), inizialmente colpiva i ragazzi senza però farli sentire coinvolti, ora qualcosa è cambiato in meglio».  L’antimafia smette di essere una questione di eroismo individuale e diventa una battaglia quotidiana e condivisa. Quanto più forti e reali sono le relazioni tra chi si unisce a combatterla, tanto più facile sarà debellare la mafia e i suoi disvalori. L’importante è non cedere il passo all’indifferenza e alla rassegnazione, che ci abituano a cose terribili, scoraggiandoci a denunciarle e a sconfiggerle. [Alida Franchi, ecoinformazioni] [foto di Daniel Lo Cicero, ecoinformazioni]

Già on line sul canale di ecoinformazioni tutti i video di Vincenzo Colelli dell’iniziativa.

Già on line sulla pagina Facebook di ecoinformazioni la ripresa in streaming dell’intera iniziativa.

Guarda l’intervista a Giovanni Impastato a cura di Riccardo Soriano, Giovanna Mentasti, Laura Brancato e Tommaso Grisoni, studenti del Liceo Volta

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