Avvinta come l’edera

Se la storia è sintesi tra universale e particolare, ovvero vedere ciò che è universale attraverso esistenze irripetibili e, a partire dagli intrecci unici creati dalla vita, cogliere il generale; allora l’ultimo libro di Emilio Russo (“Avvinta come l’edera”, ExCogita 2019) è davvero un bel libro di storia. La storia di un anno, il 1958, osservato attraverso la lente d’ingrandimento del piccolo e immaginario, ma realissimo con la sua grande fabbrica di caramelle, paesello comasco di Onagro, sul confine italo-svizzero. Un “luogo dello spirito ma un posto reale”, come lo definisce l’autore; perché ogni realtà alla fine per l’uomo è anche un luogo dell’anima. La grande storia si riflette nella piccola storia, dove in ultima istanza solamente vive, nella carne e nel sangue degli uomini. Emilio Russo ci racconta con rapidi ed efficacissimi schizzi, conditi da tanta ironia, la storia di questa nostra Italia, del territorio comasco, agli inizi del boom economico, della grande trasformazione del “Bel paese” da agricolo ad industriale, alla vigilia dell’arrivo della società dei consumi quando ancora si mangiava poca carne, non si usava l’automobile, la guerra e il fascismo erano ricordi troppo freschi, un passato non ancora passato. Il libro ci parla del Nord in particolare, dove negli anni ’50 arrivavano le grandi correnti migratorie dal Sud, ma anche dal Veneto, che si presentavano innanzitutto col volto dei rappresentanti dello Stato verso cui gli abitanti del posto erano piuttosto diffidenti. Sono i volti del carabiniere, del finanziere che lotta contro i contrabbandieri, dell’insegnante, come quel professor Giacomo Collura, siciliano e detective per caso, protagonista del racconto. Sì perché il libro è un giallo, con tanto di morti ammazzati e non, che si sviluppa attorno ad un furto di volantini elettorali democristiani, avvenuto nell’oratorio di don Oreste Lavazza, parroco di Onagro. Nel ’58 ci sono le elezioni politiche che segnano il faticoso e contrastato avvicinamento alla formula di governo del centro-sinistra. Siamo nel cuore della guerra fredda, comunisti e anticomunisti, coi democristiani che costruiscono una democrazia a “sovranità limitata” raccogliendo al loro interno di tutto; siamo nell’anno dell’inizio del pontificato di Papa Roncalli, di famiglia contadina e col padre socialista, ma anche della legge Merlin che chiude le case di tolleranza, anch’esse protagoniste intriganti sullo sfondo del racconto. Il ’58 è l’anno in cui Domenico Modugno con il “Blu dipinto di blu”, più nota come “Volare”, vince il festival di Sanremo nato da pochi anni, seconda arriva “Avvinta come l’edera”, cantata da Nilla Pizzi in coppia con Tonina Torrielli. Il libro di Russo è infatti accompagnato, pagina dopo pagina e in modo originale, dalle colonne sonore della musica nazional-popolare, ma anche dalle prime note delle canzoni in inglese che arrivavano in Italia con la radio e soprattutto con la televisione che da pochi anni aveva iniziato le sue trasmissioni. Ogni libro è anche un’autobiografia e “Avvinta come l’edera” lo è senz’altro per chi come me conosce l’autore. Come non vederlo attraverso i due personaggi del professor Giacomo Collura e don Oreste Lavazza? In particolare come non ritrovare l’autore in quel “fondo di scetticismo che si agitava” nell’animo del parroco di Onagro “fin dalla prima giovinezza nei confronti di tutto ciò che muove le passioni del secolo, un sentimento piuttosto snob, se vogliamo, ma, nel nostro caso, del tutto autentico”. Insomma quello che è in scena nel libro di Emilio Russo è il teatro di un mondo, di un piccolo e grande mondo, quello che lo ha visto ragazzino. Il giovane Benedetto Croce disse che la storia si poteva ridurre sotto il concetto generale dell’arte; la differenza è che la storia parla del reale, l’arte del possibile. Dato che il reale è stato prima possibile, e il possibile potrebbe o si sarebbe potuto realizzare; allora “Avvinta come l’edera” è davvero un bel libro di storia, che poi è la più bella opera d’arte che possiamo scrivere, quella degli uomini e della vita che continua oltre e nonostante tutto. “Era così anche per la gente di Onagro. Quella era stata una parentesi che tutti, nel paese, avevano fretta di chiudere”. Un libro di storia, ma anche sui limiti escatologici della storia, come rivela l’autore quasi a mo’ di dettaglio nella chiusa della postfazione; perché  ogni storia è un istantanea rispetto all’eternità, “almeno agli occhi di chi ha inventato questa storia”, come scrive Russo. Insomma questo è il sugo di tutta la storia, per dirla col Manzoni. La politica deve pertanto avere consapevolezza del limite, al più contenere il male del mondo, come l’autore ha sostenuto nel suo libro precedente “La pace imprudente”(ExCogita 2015), al quale idealmente si collega quello attuale, pur mutando l’epoca storica, ma l’idea va oltre la storia.  “La fine della storia è riferibile solo in metafore, giacché si compie nel regno dei cieli, dove non esiste il tempo”, scrive J.L.Borges ne “L’Aleph”, posto come epigrafe nel libro di Emilio Russo. Un libro dunque senz’altro da leggere. [Gianfranco Giudice per ecoinformazioni]

[La foto di copertina del post è della presentazione con Emilio Russo e Gianfranco Giudice. Foto Celeste Grossi]

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