
Caserme, miraggi, fantasmi
Così Chiara Braga, la parlamentare del Pd: «Un bella notizia che Como e i comaschi attendevano da anni. Grazie alla sinergia tra Agenzia del Demanio e Ministero della Difesa finalmente un immobile importante come la Caserma De Cristoforis potrà riacquistare una nuova funzionalità, a beneficio dei cittadini e della città» [Leggi il comunicato]. Un miraggio raggiunto ma sfuggente.
Il commento di Fabio Cani sui possibili sviluppi della cultura urbana a Como.
La notizia «della firma formalmente apposta ieri dal Ministero della Difesa e dall’Agenzia del Demanio al protocollo d’intesa che ridarà nuova vita al complesso dell’ex caserma comasca» è di quelle che, per un momento, fanno tirare un sospiro di sollievo.
Per una volta nella vita – si pensa – un’esigenza della città (un desiderio della cittadinanza, si potrebbe persino dire) non è condannata a una storia infinita, sottraendosi al ruolo di “miraggio” irraggiungibile. Un ruolo che, fino a ieri, ha condiviso con molti altri oggetti del desiderio urbano: musei, tesori, fabbriche, aree dismesse, ville, parchi, interi quartieri eccetera.
Bene. La caserma di Como inizia il percorso per rientrare, dopo anni di sostanziale abbandono, nella “disponibilità” cittadina. La notizia merita qualche riflessione anche con l’obiettivo di non spegnere troppo brutalmente gli entusiasmi.
1. La caserma è uno spazio da usare. Ma il suo riuso non obbligatoriamente si trasforma in una “rigenerazione urbana”. Tra riaprire un cancello, pesantemente segnato dalle servitù militari (e io – una volta – ho provato l’emozione di avere in mano le chiavi della caserma. già vuota per altro!…) e avviare un processo di rigenerazione urbana ce ne corre. Adesso si può seriamente cominciare a pensare cosa fare di quegli edifici, e soprattutto a come procedere. Non si dimentichi che, proprio nell’ambito dei progetti di rigenerazione urbana, è essenziale il processo che conduce al risultato finale, quale esso sia, sono essenziali i soggetti che si riescono ad attivare, i metodi di partecipazione reale, gli obiettivi di valore generale… Non è solo la teoria a dirlo, ma anche innumerevoli (ormai) esempi virtuosi sparsi un po’ per tutto il mondo, dal primo al terzo mondo, da Svizzera, Germania, Francia, Olanda, fino a Brasile e Senegal… Di tutto questo, vorrei sbagliarmi ma non mi pare tanto, nel percorso di avvicinamento al miraggio-caserma a Como finora non c’è grande traccia.
2. La caserma è per il momento intesa con un gigantesco volume “vuoto” da riempire con qualche funzione da trasferirvi. La “cittadella delle forze dell’ordine”, la “cittadella dei servizi pubblici”, la “cittadella degli archivi” eccetera. Certo, meglio uno spazio pieno piuttosto che vuoto e inutilizzato. Però bisogna pur avere coscienza che uno spazio “pieno” e basta non contiene grandi elementi di interesse sotto il segno del sostenibile e del futuribile. Il futuro è oggi, recita il titolo di un progetto cui come ecoinformazioni stiamo dando un fattivo contributo, ma non tutto l’oggi è futuro. DI nuovo, quindi, conta (o dovrebbe contare) più il “come” che non il “quanto”.
3. Una caserma è una caserma è una caserma. Per citare Gertrude Stein. Quella di Como – inaugurata nel 1914, in preparazione dell’ormai incombente guerra mondiale – è un caserma vera, cioè esibisce degli spazi non “neutri”, ma profondamente segnati dalle logiche militari, spazi che non così naturalmente possono essere indirizzati a utilizzi nuovi e democratici. Alla città serve una caserma aperta? Io non credo. Soprattutto se vogliamo sforzarci di immaginare una “rigenerazione urbana” degna di questa nome, e non banalmente intesa come redditività edilizia 2.0, serve una riprogettazione radicale di quegli spazi. Anche in questo caso, e mi ripeto, non mi pare che la riflessione in questi anni di avvicinamento al miraggio sia andata molto avanti.
4. Sullo sfondo restano (e qui non si tratta di miraggi, ma più propriamente di fantasmi, o forse addirittura di demoni, incubi e succubi) le logiche dello sviluppo urbano, di cui a Como non si parla gran che, fin dai tempi dell’ultimo piano di governo del territorio, particolarmente discutibile, anche a giudicare col senno di poi alcuni suoi esiti. Non sembra che a Como abbiano trovato terreno favorevole le riflessioni – tanto per fare un un paio di esempi – sulla “densificazione” urbana, né quelli sulla progettazione sostenibile integrata a livello di quartiere e di città (per intenderci: non basta qualche “cappotto” e qualche pannello fotovoltaico per fare smart un edificio). In questa prospettiva è risolutivo non solo il coinvolgimento, ma il ruolo di attivismo vero della cittadinanza, che su questioni come quelle del futuro della città non può essere semplicemente chiamata a “sottoscrivere” delle decisioni. Quello della partecipazione progettuale è un diritto-dovere essenziale: da parte della cittadinanza come da parte delle istituzioni.
Il “miraggio” non è finito: come in tutti i fumetti che si rispettino la caserma che ci è sembrata per un attimo a portata di mano, ci è di nuovo sfuggita. Prima si parlava di proprietà, adesso si deve parlare di funzioni, utilizzo, futuro. C’è molto da fare e da camminare.
Adelante, Como, con juicio. [Fabio Cani, ecoinformazioni]